Smadj - Solotronic (Wax Records, 2017)

Jean Pierre Smadja, in arte Smadj, è un ottimo suonatore di ‘ûd franco-tunisino, conosciuto ai più per una lunga collaborazione con il percussionista Burhan Oçal e per DuOuD, palindromo duo con l’altro creativo oudista, l’algerino Mehdi Haddab (già mente degli Speed Caravan). Ora Smadj consegna alle stampe il suo nuovo disco, “Solotronic”, nel quale decide di fare tutto, o quasi, da solo. Un lavoro che si propone di esplorare e ampliare le possibilità sonore del ‘ûd, spesso confinato nelle gabbie del suono acustico. “Solotronic” è un album dove tradizione, nuove sonorità, beat percussivi (veri e campionati), effetti e distorsioni, creano una tavolozza varia e appetibile, sempre di grande qualità. L’‘ûd, acustico, elettrificato e addirittura trattato e filtrato con diversi pedali e effetti, è l’assoluto protagonista del CD e le composizioni sono tutte del musicista tunisino, tranne una bella versione del tema del musicista nubiano Hamza El Din, “Mwasha”, che fu anche uno dei brani meglio riusciti del gruppo andaluso Radio Tarifa, con il titolo di “Lamma Bada”. Alcune composizioni provengono da vecchi album, sempre risuonate e/o ridotte all’organico minimale dello strumento solista (vedi “Sel” riesumata dal primo disco “Take it and Drive”) o riproposte con un arrangiamento diverso (la stessa “Mwasha”, proveniente dal precedente “Spleen”, di appena un paio di anni fa). Nello scorrere delle diverse tracce, Smadj dimostra una grandissima personalità sia nei brani acustici (come “Bardezum”, “Papa” e la conclusiva “Dans la Ville”), che nei brani più sperimentali, dove ambient, jungle, groove di chiaro sapore rock e drum&bass (programmatico fin dal titolo il brano “D&B Lesson 1”) fanno capire che al nostro piace lavorare con i suoni di sintesi. Fra i numeri migliori l’iniziale “Rastaquere”, eccezionale performance all’‘ûd acustico, e “Alone” dove tutti i suoni, tranne il liuto, derivano dal trattamento sonoro di un arpeggio al pianoforte: approccio creativo, affascinante e mai forzato. Il momento più affascinante del CD è forse la lunga suite ”Vogue Experience”, con l’‘ûd che prende le sembianze di una chitarra elettrica in un contesto sonoro cangiante per tutto l’arco della performance. Alla fine dell’ascolto si ha l'impressione di ascoltare qualcosa di decisamente nuovo, lontano sia dai lavoro degli altri virtuosi tunisini ormai considerati di area jazz (Dhafer Youssef e soprattutto Anouar Brahem) che dagli estremismi sonori di gruppi come Speed Caravan. Un lavoro completo e raffinato, moderno ma che piacerà anche ai cultori dello strumento acustico. 


Gianluca Dessì

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