Speciale Galileo Music: Andrea Pancur Alpen Klezmer, Mames Babegenush, Otros Aires, Black Market Tune, Gjermund Larsen Trio

La label tedesca Galileo Music Communication è una piccola ma prolifica realtà di produzione musicale specializzata in jazz e world music. Nell’orizzonte contemporaneo delle musiche internazionali non mainstream si è ricavata uno spazio di tutto rispetto, selezionando artisti innanzitutto bravi e promuovendo musiche fondate principalmente su tradizioni espressive molto diffuse e conosciute (leggi prima di tutto flamenco e klezmer ), e una prospettiva sperimentale seguita a molti livelli. In alcuni casi si occupa anche di distribuzione in Europa di produzioni firmate DGM, Samadhisound, Grappa, Ozella, Smithsonian Folkway, oltre che di produzioni di artisti conosciuti al grande pubblico, come Dulce Pontes, Carmen Souza, Otros Aires e altri. In questa breve rassegna presentiamo uno scorcio del panorama nordeuropeo, attraverso artisti quali Andrea Pancur, Gjermund Larsen Trio, Black Market Tune, Sväng, Mames Babegenush. Si chiude con gli argentini Otros Aires, che connettono idealmente la Galileo Music con il suo primo amore, cioè la scena musicale world latino americana. 

Andrea Pancur Alpen Klezmer - Zum Meer (Galileo Music, 2016)
Ci troviamo a Monaco e Andrea Pancur sperimenta un nuovo genere sospeso tra yiddish e musiche popolari bavaresi. La traiettoria seguita è stata più o meno questa fino al 2014, quando la Punker, accompagnata dalla polistrumentista Ilya Shneyveys, vince il German World Music Award (Deutscher Weltmusikpreis). Si tratta di sovrapposizione e compresenza di tanti elementi, non solo ritmici, ma anche melodici, che definiscono il profilo di un racconto musicale denso, venato di molto pop e carico di richiami a uno scenario ampio, senza limiti formali. In “Zum Klezmer” la Pancur va un pò oltre, affiancando a una selezione di brani tradizionali - ovviamente rivisitati nel quadro di uno stile molto personale e con il supporto di una strumentazione molto articolata, sebbene sostanzialmente acustica - con brani originali. Da questi ultimi (ad esempio “Is do wos”) emerge una visione sufficientemente nitida di un orizzonte che sarà sicuramente solcato sempre più spesso dalla Pancur, e che può essere sintetizzato nel ricorso alle espressioni tradizionali ma sopratutto nello sviluppo di queste in senso sempre più personale. Non mancano alcuni richiami alle tradizioni del canto politico (la versione di “Bella Ciao”, suonata con arpa, fiati, accordion, percussioni e basso ha una veste molto fascinosa) e alla tradizione italiana, con una versione vagamente malinconica di “Alla fiera dell’est” (che qui diviene “Aufum markt in Obagiasing”).

Mames Babegenush - With Strings (Galileo Music, 2017)
Sestetto roboante infittito per l’occasione di questo album da una sezione di corde, i Mames Babegenush hanno definito uno spazio creativo alquanto composito, nel quale le suggestioni “nordiche” (sopratutto norvegesi, ma anche danesi) dialogano e si sovrappongono alla passione per le musiche dell’est Europa, in particolare quelle romene. La band è di base a Copenaghen, dove si è formata nel 2004 e ha iniziato a farsi largo nella scena etno-jazz, e dove qualche mese fa ha registrato dal vivo l’album in questione. L’ascolto complessivo della scaletta (molto densa e articolata) lascia emergere non solo le passioni dei sei musicisti, ma sopratutto la loro compattezza e la loro ormai comprovata competenza. Sebbene la struttura della band richiami una formazione tradizionale, basata sopratutto sul lavoro di fiati e accordion, (nonostante questo e forse proprio grazie a questo) ogni brano risplende di luce propria e tutti gli strumenti si danno da fare per sviluppare linee melodiche (spesso complesse, come in “Fundador”) che si allontanano dall’immagine e dagli elementi più conosciuti cui si fa riferimento. In questo particolare procedimento, la sezione dei fiati svolge un ottimo lavoro, riuscendo a uscire in quasi tutti i brani riesce in modo molto convincente dall’andamento zoppo e reiterato delle tradizioni esteuropee (vedi “Olympia”, “Tornado Albastru”, “View from a drifting room” e la bellissima “Mu turkish princess”). Al suo interno vi sono molte varianti, sia timbriche che melodiche (pocket trumpet, sassofono alto e tenore, clarinetto e flügelhorn), sulla base delle quali si riesce a ricostruire tutto senza esitare sulla tradizione ma, al contrario, proiettando il flusso musicale in una direzione priva di dogmi. Per concludere, il suono è perfetto, impeccabile.

Otros Aires - Perfect Tango (Galileo Music, 2016)
Nuovo album per gli argentini Otros Aires, votati sì al tango ma in modo molto libero e spesso interessante. Dentro ci si trova innanzitutto una malcelata vena autoironica che, a partire dal titolo, mette tutti in guardia su un programma evidentemente antistorico, anti-retorico e per niente celebrativo della tradizione. Direi che la formazione è imperniata sul pianoforte (suonato da Diego Ramos), che qui sposta l’asse della produzione del quartetto di Buenos Aires in un ambito più delicato e, allo stesso tempo, ritmato e pop. In quest’ultimo caso la voce aiuta molto, rimbalzando senza inibizioni tra melodie orecchiabili, una narrazione spesso profonda e qualche richiamo agli innovatori del canto legato alle sonorità tradizionali sudamericane. Poi ci sono gli strumenti più classici, come il bandoneon (suonato da Matías Rubino ed Ernesto Chino Molina), la batteria (con Martín Paladino), le chitarre e le sequenze elettroniche (appannaggio del cantante Miguel Di Genova). A fare da cornice un’atmosfera generalmente acida e rarefatta (“Perro Viejo”, “Sola sta poche”), nella quale i moduli elettronici hanno un ruolo predominante, vi sono sopratutto il ritmo incessante (anche se mai pesante, anzi quasi sempre delicato, ancorché coerente) e un lavoro dettagliato sugli arrangiamenti. Nell’insieme l’album ha molti picchi ottimi, non solo per la distanza da un’omologazione pericolosa, ma anche per l’attenzione alla costruzione di una forma canzone equilibrata, in cui tutti gli elementi (a partire dalla voce fino agli arrangiamenti) sono incastrati con una leggerezza che fa pensare alla spontaneità (“Todo baila”, “Digital ego”) e a una partecipazione  di grande intesa.

Black Market Tune - Drifters & Vagabonds (Galileo Music, 2017)
“Drifters & Vagabonds” è l’album con cui si presenta questo nuovo ensemble, capitanato da Paul Dangl (fiddle e voce) e composto da John Somerville e Colin Nicholson (accordion), Christian Troger (chitarre) e Johanna Kugler (fiddle, viola e voce). L’intenzione dei Black Market Tune è chiara fin dal primo brano, anche se bisogna aspettare almeno “Kind of Swedish” per comprenderne in pieno le sfumature: andare in giro in cerca di traditional songs (sopratutto in Scozia e in Svezia), arrivare a comprendere alcuni aspetti dello jodel e inserire tutto in un’idea coerente e, possibilmente, innovativa. Allora sulla coerenza non ci sono dubbi, perché dal primo all’ultimo brano (in tutti in scaletta ce ne sono undici) la band riesce ad accorpare tutte le suggestioni in modo equilibrato e convincente. Gli elementi sono pochi e così anche gli strumenti, per questo non si può non apprezzare il suono che riescono a costruire, sempre compatto e mai ripetitivo, nonostante il flusso morbido e reiterato dei violini. Gli elementi di novità si intercettano meglio in alcuni brani (“Willie-O”, “Ba’ Humbung”) e poggiano soprattutto sul dialogo tra le voci e gli innesti di chitarra elettrica. Ma, in generale, non la fanno da padrone. Ciò detto, l’album ha il merito di asciugare nelle relazioni tra quattro strumenti un repertorio molto ampio, nel quale figurano brani non proprio diffusissimi che, per vari motivi, hanno però una corporatura forte: dalle “death songs” della tradizione musicale svedese alle “drinking songs” scozzesi.

Gjermund Larsen Trio - Salmeklang (Galileo Music, 2017)
“Salmeklang” è un album importante per il trio norvegese guidato dal violinista e compositore Gjermund Larsen. Innanzitutto perché celebra il decennale di una carriera che è stata fin dall’inizio orientata dalla ricerca e da una composizione intimistica e profonda. In secondo luogo perché, per la prima volta, al trio si aggiunge Nordic, un ottimo trio (anch’esso norvegese) formato da Anders Löfberg (violoncello), Erik Rydvall (nyckelharpa) e Magnus Zetterlund (mandolino). Il trio di Larsen guarda molto alle musiche popolari, ma lo scopo principale è quello della scrittura, che potremmo anche considerare come ri-scrittura votata ad espandere un orizzonte sonoro definito dal suono struggente e raffinato del violino (suonato da Larsen), del pianoforte e armonium (suonati da Andreas Utnem) e del contrabbasso (Sondre Meisfjord). La visione di questo trio ci porta a un ascolto concentrato, perché ogni strumento ha un ruolo imprescindibile, sebbene il violino determini il suono complessivo dell’album. Ogni brano è organizzato seguendo uno sviluppo quasi emotivo, che porta a percepire un flusso quasi unico, in cui il piano sorregge il violino e il contrabbasso tiene insieme l’intero andamento. Alcuni brani sono struggenti e talmente profondi da ingoiarti fino alla fine (“Fars Iå”, “November”), al punto che, dopo alcuni ascolti, si comprende l’ampiezza dello spettro indagato da Larsen. Uno spettro estremamente uniforme e compatto, anche quando con i Nordic si espande sul piano strumentale. Tra i brani più interessanti (tutti composti da Larsen) vale la pena indicare i due in sestetto (“Vals assai” e “Kind of polska”), quello in chiusura (“Duet”) e “Salmeklang”.



Daniele Cestellini

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