(a cura di) Paolo Chiriatti e Luigi Chiriatti, Terra Rossa d’Arneo. Le occupazioni del 1949-1951 nelle voci dei protagonisti, Kurumuny 2017, pp. 276, Euro 23,00, Libro con due Cd

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“Da Nardò a Taranto non c'è nulla, c'è l'Arneo un’espressione vagamente favolosa come nelle antiche carte geografiche quei vuoti improvvisi che s'aprono nel cuore di quelle terre raggiunte dalla civiltà”. Così Vittorio Bodini ne “L’aeroplano fa la guerra ai contadini” descriveva l’Arneo, vasta area della costa ionica del Salento, compresa fra San Pietro in Bevagna e Nardò, i cui oltre quarantaduemila ettari di terreno appartenevano a latifondisti come il Barone Achille Tamborino di Maglie. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, le condizioni dei braccianti erano arrivate a livelli inaccettabili, tra povertà e sfruttamento del lavoro, così a trent’anni di distanza dalla effimera quanto intensa esperienza della proclamazione della Repubblica Neretina, si riaccesero con rinnovato vigore le rivolte dei braccianti contro i latifondisti locali che da secoli li dominavano. Contadini, braccianti, tabacchine videro nelle terre abbandonate dell’Arneo la speranza di emanciparsi dalla servitù feudale che li opprimeva, videro di fronte a loro l’alba di un futuro migliore, lontano dalla fame e dalla miseria. Andarono in massa ad occupare le terre delle “Fattizze”, di “Carignano”, di “Case arse”, resero quei terreni coltivabili, disboscandoli, togliendo le pietre ed arandoli. Prese vita una resistenza di quaranta giorni e quaranta notti, al freddo. La reazione del governo ed in particolare del Ministro degli Interni, Scelba, fu durissima. I contadini si ritrovarono a combattere fianco a fianco contro le forze dell’ordine, incalzati dai mezzi militari. Tra il capodanno del 1951 e il tre gennaio, avvenne lo sgombero dei braccianti tra lanci di lacrimogeni e blocchi. I cieli dell’Arneo furono attraversati anche da un aereo militare inviato dal Ministero della Difesa, e il 7 gennaio centinaia di contadini furono arrestati, le loro poche cose insieme alle biciclette vennero distrutte e date alle fiamme dalle forze dell’ordine. Come scrisse Remigio Morelli, quella fu la loro Resistenza, “la variante salentina della lotta per la democrazia e la libertà, non solo una lotta per l’emancipazione economica delle classi subalterne. Sancì una svolta epocale, determinò una radicale cesura nel rapporto tra cittadini e potere”. L’epilogo fu un processo che vide assolti quasi tutti i protagonisti delle rivolte e che Vittorio Bodini commentò, nel reportage per il settimanale Omnibus dal titolo “L’Arneide, ultimo atto”, cogliendone la portata epocale: “Questo processo non appartiene soltanto ai sessanta imputati, ma a tutti i braccianti del Sud e alle loro famiglie. Se patimenti e miserie che sono scritti in questi occhi si potessero contare ad anni come i reati ne avrebbero ciascuno per secoli”. Remigio Morelli dal canto suo evidenziò come quella vicenda giudiziaria “mise a nudo e colpì le scorie autoritarie che ancora sopravvivevano negli apparati dello Stato e nelle classi dirigenti, mobilitò una grande riflessione culturale sui diritti, aprì la stagione della solidarietà e dell’impegno civile delle forze intellettuali. E soprattutto diede per la prima volta forma e sostanza reali al tema della partecipazione diretta alla costruzione della democrazia”. Quando finalmente vennero concessi ai contadini pochi ettari di terra per alcuni fu l’inizio di una nuova vita, per altri invece rappresentò un incontro con il destino che li costrinse ad emigrare verso la Francia e il Belgio nelle miniere ad estrarre carbone. A gettare nuova luce su questo imponente movimento di lotta per la terra nel Salento è il volume “Terra Rossa d’Arneo. Le occupazioni del 1949-1951 nelle voci dei protagonisti”, curato da Paolo e Luigi Chiriatti ed edito da Kurumuny. Si tratta di un racconto corale che affianca la accurata ricostruzione storica e politica di quegli anni alle voci dirette dei protagonisti, nelle interviste co sindacalisti, politici e braccianti, raccolte negli anni Ottanta da Luigi Chiriatti nel corso delle sue ricerche sul campo. Il risultato è un affresco vivo di quella stagione, declinato multidisciplinarmente tra antropologia, iconografia, letteratura, cronaca giornalistica e musica. Aperto dalla presentazione di Luigi Chiriatti che racconta la genesi del progetto e l’approccio metodologico, e dai saggi di Dora Raho (“Concessione delle terre e speranza di riscatto”) e di Vito Antonio Leuzzi (“L’Arneo, le Assisi del Mezzogiorno e l’opera degli intellettuali”), il volume entra nel vivo con il prezioso contributo “Areno, la Resistenza dei contadini” di Remigio Morelli, corredato da una dettagliata mappa dei luoghi. Il secondo capitolo “Voci d’Arneo” raccoglie le trascrizioni delle interviste raccolte da Luigi Chiriatti (le cui registrazioni sono contenute nel primo dei due cd che accompagnano il volume) con Giuseppe Calasso, Antonio Ventura (segretario della Confederterra), Giovanni Leucci (segretario provinciale del Pci) e del suo vice Gianni Giannoccolo, Giorgio Casalino (segretario provinciale della Cgil), Antonio Casaluce (segretario del Pci di Nardò), Franco De Pace (militante socialista), Lucia Malinconico (attivista e membro della segreteria nazionale della Cgil), Fulvio Rizzo e i contadini Cosimo Ingrosso e Vincenzo Aprile. Il terzo capitolo presenta un corposo apparato iconografico tratto dalla mostra fotografica “Rosso d’Arneo. A 50 anni dalle lotte per le terre nell’Arneo”, ideata e realizzata da Mario Vantaggiato nel 2001. Completano il numero i testi dei canti selezionati per il progetto “Terra Pane Lavoro. Canti contadini d’amore e di lotta” e l’appendice con un focus di Simone Giorgino sull’occupazione delle terre nelle opere letterarie. Grande lezione di memoria civile da riscoprire necessariamente, questo volume, nelle sue pagine di racconti del passato racchiude una prepotente attualità, con gli innumerevoli casi di sfruttamento del lavoro nei campi da parte del caporalato. 
Cuore vivo e pulsante di tutta l’opera è il già citato disco “Terra Pane Lavoro. Canti contadini d’amore e di lotta” nel quale sono raccolti undici brani che nel loro insieme compongono un viaggio musicale nel tempo, attraverso il mondo contadino del Salento dall’Ottocento alle lotte per le terre del 1949-1951. Inciso da un large ensemble, diretto dal fisarmonicista Rocco Nigro, e composto dalle voci di Rachele Andrioli, Antonio Castrignanò, Massimiliano De Marco, Dario Muci, Giancarlo Paglialunga e delle sorelle Gaballo, nonché da alcuni tra i migliori strumentisti salentini: Massimiliano De Marco (cori e mandolino), Giulio Bianco (zampogna), Valerio Daniele (chitarre), Vito De Lorenzi (percussioni), Giorgio Distante (tromba), Mariasole De Pascali (flauto piccolo), Redi Hasa (violoncello), Francesco Massaro (clarinetto basso e sassofono) e Giuseppe Spedicato (basso e basso tuba), l’album segue nella successione dei brani l’ordine temporale degli avvenimenti dipanandosi tra canti sociali e di lotta e temi come la guerra e l’emigrazione. Ad aprire il disco è “Lu prima Maggiu”, ispirato al testo in dialetto gallipolino scritto con cui Vincenzo Cataldi nel 1891 invitava il popolo a prendere parte alla festa del lavoro. A raccontarne la storia e a riscrivere la linea melodica è Dario Muci, la cui potenza espressiva della voce è incorniciata dall’arrangiamento in crescendo con i fiati ad evocare la banda nel finale. Se “La Repubblica di Nardò” con la voce di Massimiliano De Marco rievoca l’insurrezione guidata dal socialista Giuseppe Giurgola e Gregorio Primitivo della lega dei muratori, la successiva “Sentiti tabacchine” superbamente cantata da Giancarlo Paglialunga, è un canto di lotta che arriva dalle registrazioni sul campo che effettuò Luigi Chiriatti negli anni Settanta. Rachele Andrioli è protagonista del canto di emigrazione “L’America” mentre la seguente “La Pacienza” con testo di Rina Durante e musica di Daniele Durante, vede Antonio Castrignanò impegnato al canto e alla narrazione. Si apre poi uno spaccato dedicato alla guerra con le Sorelle Gaballo, custodi del canto polivocale salentino, che interpretano per sole voc “Mi presi la cavalla” e Rachele Andrioli che rilegge con grande intensità “L’Albania”, il cui testo rimanda in più punti e nella tematica a “Sento il fischio del vapore”. L’esorcizzare le sofferenze del vivere quotidiano è al centro de “La mescianza” che presenta un elenco di differenze tra le maestranze in cui i più sfortunati sono sempre i contadini, e della tragicomica “Scusati amici cari”, registrato nel 1954 da Alan Lomax a Galatone, e qui proposta in un arrangiamento di grande spessore ad incorniciare la voce di Antonio Castrignanò. Il finale ci riporta ai fatti dell’occupazione delle terre d’Arneo con “La ballata delle terre occupate” su testodi Antonio Ventura rielaborato da Vittorio Raho, e “Sic transit gloria mundi. Quella storia di certi cafoni”, rielaborazione del testo di “Rosso l’Arneo” di Vittorio Raho, ispirata alla tradizione dei cantastorie. È l’unico brano in tonalità minore, in cui la voce di Massimiliano De Marco è sostenuta da un ritmo incalzante che accompagna un tema sofferto e malinconico. Pubblicato, anche come cd singolo, questo album è il compendio perfetto per il volume curato da Paolo e Luigi Chiriatti rappresentandone l’elemento primo che possa schiudere ad un pubblico più vasto queste pagine importanti della memoria collettiva del Salento. La speranza è che questo disco diventi materia viva anche sul palco per rendere ancor più incisivo l’obiettivo ultimo di quest’opera. 



Salvatore Esposito

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