I Soballera nascono nel 2005 a Bari dall’incontro tra Stefano De Dominicis (voce e chitarra battente), Francesco Savino (voce e tamburi a cornice), Salvatore Simonetti (chitarre e cupa cupa), Giuseppe Volpe (fisarmonica) e Gianni Gelao (flauti, ciaramella, zampogna, piva e bifara), cinque strumentisti dal diverso background artistico ma accomunati dal desiderio di intraprendere un percorso di ricerca volto alla rilettura della tradizione musicale dell’Italia meridionale, partendo dalla riscoperta di sonorità, stilemi e strumenti legati al mondo contadino. Dopo oltre un decennio di intensa attività dal vivo che li ha portati ad esibirsi nel corso dei principali festival di musica popolare italiani, ma anche in piazze e feste di paese, il gruppo pugliese ha dato alle stampe “Avast”, interessante album di debutto nel quale hanno raccolto brani di nuova composizione e rielaborazioni di canti e filastrocche tradizionali. Abbiamo intervistato Stefano De Dominicis per ripercorrere insieme a lui il cammino del gruppo e la genesi del nuovo disco.
Dall'incontro tra musicisti di estrazione musicale e geografica diversa è nato il progetto Soballera. Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto ad unire le forze?
Credo che la motivazione che ci ha spinti a una collaborazione che dura da oltre un decennio sia insita proprio nelle nostre origini diverse. Ciascuno di noi è portatore del suo vissuto, del suo essere del sud in un modo differente rispetto agli altri. Un lucano, un vesuviano, un salentino e un murgiano uniti dalla passione per la musica popolare che, gravitando a Bari, soprattutto per ragioni di lavoro, decidono di scambiarsi, attraverso i propri repertori, una parte importante della loro anima musicale.
Quali sono stati e quali sono attualmente i vostri riferimenti musicali?
Ognuno di noi è cresciuto con il tappeto sonoro della musica tradizionale della propria terra d’origine indagandone, nel tempo, i repertori attraverso la frequentazione dei riti, delle feste. Abbiamo, inoltre prestato un attento ascolto delle registrazioni degli etnomusicologi che, negli anni Cinquanta, hanno fatto le loro campagne di studio.
Abbiamo ascolti molto diversi fra noi ma, nell’ambito della musica folk, anche molti riferimenti comuni quali, ad esempio, Matteo Salvatore, Tonino Zurlo, i Cantori di Carpino. Nell’ambito della riproposta cito sicuramente l’Officina Zoè, il Canzoniere Grecanico Salentino, gli Aramirè, gli Uaragnaun, i Totarella e gli ‘E Zezi.
Come mai avete scelto il nome Soballera che in ostunese vuol dire "sull'aia"?
Utilizzando questa espressione dialettale, abbiamo voluto richiamare l’aia come luogo fisico della trasmissione orale. Fino a non molti anni fa, all’esterno delle masserie che punteggiano la Puglia e la Lucania, dopo la vendemmia, la mietitura o la trebbiatura, si faceva festa, suonando, cantando e ballando. In questi luoghi si tramandavano di voce in voce, da nonna a nipote, da padre in figlio i canti, le suonate e i balli.
Ci puoi presentare i vari componenti del gruppo?
Io canto e suono la chitarra battente. Francesco Savino canta e suona i tamburi a cornice che sapientemente, nell’ambito della sua professione di liutaio, costruisce per sé e per molti importanti tamburellisti della scena della musica popolare.
Alla fisarmonica, c’è Giuseppe Volpe di Terlizzi, l’unico di noi ad essere diplomato al Conservatorio che, scherzosamente presentiamo, alla fine dei concerti, come il poeta del mantice. È stato l’ispiratore del lavoro di ricerca degli “Isse e trase”. Nell’ambito della musica popolare, collabora con Nico Berardi e Ruggero Inchingolo. Salvatore Simonetti da Palma Campania suona la chitarra classica, insegna Lettere ed è un virtuoso suonatore di putipù. Gianni Gelao, polistrumentista barese (zampogna, ciaramella, piva) da anni suona con Antonio Castrignano e gli “Escargot”.
Come si è indirizzato il vostro lavoro di ricerca sulla tradizione musicale del sud Italia?
Oltre alla ricerca sui materiali scritti e sulle registrazioni sul campo, non abbiamo mai abbandonato la frequentazione con i portatori di tradizione, per imparare, oltre ai canti e alla musica, i loro racconti di vita. Abbiamo iniziato a fare musica insieme nel 2005 con un approccio molto filologico alle esecuzioni che, via via, ha lasciato spazio al nostro gusto musicale. Nel tempo, non abbiamo mai “tradito” gli strumenti tradizionali.
Avevamo da anni l’esigenza di registrare i pezzi del nostro repertorio, ma l’idea di fare l’ennesimo disco di riproposta non ci ha mai convinto sino in fondo. Spontaneamente, in un periodo di intensa frequentazione della Lucania ho iniziato a dare forma al progetto che ha dato vita ad “Avast” che consideriamo come un viaggio di andata e ritorno tra le due regioni. Partendo dai linguaggi musicali appulo-lucani, ho recuperato filastrocche cariche di suggestioni immaginifiche della Lucania più interna e antichi testi dimenticati della Capitanata. La sovrapposizione dei testi a semplici linee melodiche, che avevo cristallizzato nel tempo, è avvenuta naturalmente. Attraverso un lavoro corale, ispirato agli stili tradizionali, sono venuti fuori i brani di “Avast”.
“Pizzica avvelanta” rimanda idealmente alle pizziche del violinsta delle tarantate Luigi Stifani…
“Pizzica avvelenata” richiama solo nel nome la pizzica tarantata o la pizzica indiavolata ma, in realtà, è un brano di mia composizione che ho scritto qualche mese prima del referendum “No triv”. Il ritmo della pizzica ci sembrava adatto per esprimere la rabbia e l’indignazione che sentiamo per chi, senza coscienza e lungimiranza, fa sfregio della nostra bellissima terra. L’uso di un dialetto non salentino non vuole essere poco rispettoso per il Salento ma piuttosto dimostrare che il linguaggio della pizzica è ormai universalmente riconosciuto.
Il disco vede la presenza di “Damme nu ricciu”. Cosa vi ha spinto a rileggere questo?
“Damme nu ricciu” è uno dei brani d’amore al quale, per diverse ragioni, siamo maggiormente legati. Francesco ha voluto arrangiarlo con le sole percussioni richiamando il lavoro dei cazzapetre della meravigliosa registrazione di Lomax a Martano nel 1954.
Cuore pulsante del disco sono le vostre composizioni originali. Quali sono le ispirazioni alla base di questi brani?
Ci ha sicuramente ispirati lo straordinario lavoro di ricerca sul campo, realizzato in Capitanata da Giovanni Rinaldi che è confluito ne “La memoria che resta” e il lavoro compiuto dal filologo lucano Michele Feoche, negli stessi anni, ha raccolto nel volume “Canti di Banzi”, le esecuzioni vocali di filastrocche, canti di lavoro e d’amore del suo paese. Più o meno consapevolmente abbiamo seguito questa traccia che ci ha portato a compiere un viaggio immaginario. In particolare, “Accummenza a candà” è la rilettura di un canto della mietitura, una filastrocca dei contrari molto comune nella poesia popolare. “Na masseria nova” è, invece, un canto rituale che veniva eseguito in occasione della “questua delle uova” il Sabato Santo. “Ièsciuta all’acqua” è una rielaborazione di una meravigliosa filastrocca, della quale, solo in questi giorni, ho saputo dal Prof. Feo esistere una registrazione vocale. “Zica Zica” è una successione di brevi filastrocche lucane che venivano eseguite alla vigna, all'acqua e sull'aia, raccolte nei paesi del potentino, arricchita dal distico “Vuliastà ‘na notte a lu sereno, vulia cuntà li stelle a una a una”.
Ciò che colpisce del disco è la genuinità e l'immediatezza degli arrangiamenti. Quali sono gli ingredienti che caratterizzano il vostro suono?
Il lavoro di arrangiamento è stato lungo e meditato, e si è pensato di non rendere troppo sofisticata la leggerezza che caratterizza la maggior parte dei brani. Nell’arco di un anno e mezzo i canti che via via prendevano forma sono stati continuamente modificati, rivisti, provati con varie sonorità, ma sempre con l’intento di togliere e mai di aggiungere, per non appesantire l’ascolto. Sì, leggerezza ed essenzialità credo che definiscano bene il nostro lavoro musicale.
Negli anni avete collaborato con diversi musicisti. Quanto vi hanno arricchito questi incontri?
L‘incontro con Gianni Gelao, che spesso ci accompagna nei live, è stato fondamentale. Lui ci ha seguito dalla fase di registrazione a quella del master, si è occupato di molti arrangiamenti dei brani, inserendovi, grazie alla sua esperienza e al suo talento, le sue invenzioni sonore ed utilizzando un vasto campionario di strumenti a fiato. Giovannangelo de Gennaro, da due anni al fianco di Vinicio Capossela, è un amico dei Soballera da tanti anni. Ci ha accompagnato spesso in alcuni concerti e abbiamo voluto con cuore e anima, che con la sua viella, fosse presente nel brano “Mond’mond’”.
La collaborazione con Loredana Savino che da anni è dedita alla ricerca e alla diffusione della cultura e della musica popolare dell’Alta Murgia è recentissima. Abbiamo pensato che la sua splendida voce fosse quella adatta ad impreziosire “Iè sciuta all’acqua”.
Come si inserisce il vostro lavoro nel variegato panorama musicale pugliese, nel quale la musica di matrice tradizionale sta pian piano scivolando verso un mainstream senza forme e contenuti? Quali sono gli elementi di novità della vostra cifra stilistica?
Il nostro lavoro musicale entra in punta di piedi nel panorama musicale pugliese, dove peraltro ci sono lavori di validi musicisti e ricercatori che hanno proposto, in modo fedele, e riproposto, in forma originale, i canti della tradizione. E’ il nostro piccolo contributo, con molto materiale nuovo ed originale, alla ri-scrittura della tradizione e magari al suo rinnovamento. Ripeto: la leggerezza, l’essenzialità, il cercare di ricreare delle atmosfere terse e pulite, questo è stato il nostro intento e ci auguriamo di esserci riusciti.
Concludendo, state presentando il vostro primo album, cosa deve aspettarsi chi verrà ai vostri concerti?
Abbiamo iniziato le presentazioni del disco e la risposta è stata molto positiva in termini di coinvolgimento emotivo. Abbiamo la fortuna di avere un pubblico che ci segue e si diverte aspettandosi sicuramente di ballare ma anche di ascoltare un repertorio vario, originale.
Soballera – Avast (Digressione Music, 2017)
Nato dall’esigenza di cristallizzare dieci anni di intensa attività artistica spesa dividendosi tra la ricerca sulle fonti tradizionali e l’attività concertistica sul palco, “Avast” è l’opera prima dei Soballera, nel quale il quintetto pugliese ha raccolto nove brani, tra rielaborazione di canti tradizionali e composizioni originali. Come si legge nelle note di copertina, il disco è “un viaggio musicale immaginario” attraverso i diversi linguaggi della musica popolare dell’Italia Meridionale, che conduce l’ascoltatore dalle campagne assolate della Capitanata alle coste del Salento, dalle alture della Lucania ai colori della Campania. Antichi canti, balli e filastrocche riemergono dall’oblio del tempo per vivere una nuova vita attraverso arrangiamenti prettamente acustici in cui l’uso di strumenti tradizionali si accompagna ad una grande cura per le timbriche e le ritmiche. Le voci e le chitarre di Stefano De Domincis e Salvatore Simonetti danno vita a brillanti tessiture sonore in cui si inserisce la fisarmonica di Giuseppe Volpe e i fiati del talentuoso Gianni Gelao, il tutto supportato dall’incedere dei tamburi a cornice e della cupa cupa. Aperto dal canto di mietitura “Accummenza a candà” nella quale spiccano le belle armonie vocali, il disco ci conduce prima all’intreccio di filastrocche lucane di “Zica Zica” raccolte da De Dominicis, e poi al canto rituale di questua “E’ na massaria nova” in cui brilla la linea melodica tracciata dalla fisarmonica impunturata dagli interventi dei fiati. Se lo strumentale “Trumentu” è un evocativo ballo sull’aia, la seguente “Ièsciuta all’acqua” è certamente uno dei punti di eccellenza del disco non solo per la partecipazione alla voce di Loredana Savino ma anche per la bella costruzione in crescendo dell’arrangiamento. Il canto d’amore “Damme nu ricciu” per soli voce e tamburo, ad evocare il canto dei cazzapetre di Martano, ci introduce a “Mond’ Mond’” nella quale fanno capolino la viella suonata da Giovannangelo de Gennaro e la ghironda di Nicola Cicerale. La trascinante “Pizzica Avvelenata” ispirata dalla battaglia per il referendum No Triv, e una gustosa “Tammurriata” chiudono un disco di ottima fattura che certamente sarà un ottimo punto di partenza per il cammino discografico dei Soballera.
Salvatore Esposito
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