La luna e i calanchi. Festival della Paesologia, Aliano (MT), 22 - 25 Agosto 2017

Chi da un po' di anni vive il festival di fine agosto a Aliano (MT), sa come vanno i fatti. Il programma scandito da controre, albe e orari accennati, “... verso le ... intorno alle ... a seguire ... dopo le ...” , è una specie di proposito ai limiti della possibilità di prevedere quello che sarà. La geografia musicale si incastra nella piccola geografia del paese. Prima ancora di avvicinarsi a un palco o a una piazza, coi suonatori dei vicoli sperduti la festa ti viene incontro. Quest'anno, in apertura, nella piazzetta Panevino, c’erano le note arcaiche dei cupa cupa di Rino Locantore, da lui costruiti con una personalissima tecnica, la fisarmonica e la limpida voce di Eduarda Iscaro, quella spessa e tagliente di Rosalba Santoro, che ricorda Rosa Balistreri. Tra una canzone e l'altra, le parole di Franco Arminio, direttore artistico del festival, insieme a quelle ufficiali dei rappresentanti istituzionali e a quelle sottosale del vocabolario poetico di Claudia Fabris. Nel corso delle ore, negli scambi di luce, la conformazione straordinaria del paese dalle argille bianche, in bilico sul precipizio, si è fatta cassa di risonanza dei paesaggi sonori di Antonio Infantino e dei suoi tarantolati, che hanno tenuto la piazza in una trance di puro ritmo primordiale, dopo di loro la forza indomita dei lucani Accipiter PMA.
Sul finire del primo giorno, negli incredibili volteggi delle fisarmoniche di Carmine Ioanna e del sax di Luca Roseto, all'Auditorium dei calanchi è risuonata l'Irpinia, titolo del recente disco del Duo. E, nel paese, tutto l'Appennino de La Piccola Banda dell'Osso. Dopo la mezzanotte sono arrivate le festose polifonie vocali delle Capere, quattro ragazze cilentane con un amore vero per la propria lingua. Interessanti e ricercate armonie vocali quelle di Enantino, Folksinger della Murgia e della sua band. Ricordando a tratti Dylan, e un po’ Woody Guthrie, ma con la morbidezza del dialetto di Noci, ci hanno raccontato vicende passate e presenti della Puglia interiore. Parlare di un secondo giorno di festival a Aliano è sempre un po’ fuori senso, nel succedersi delle ore, la dimensione spazio-tempo prende ritmi diversi dall’alternarsi convenzionale. Più o meno alla ventiquattresima ora, nella luce del pomeriggio e fino al tramonto, i calanchi sono tornati a essere, ancora una volta quest'anno, meraviglioso scenario naturale di suoni e voci e silenzi incantati. Eravamo a mille quando Amalia Franco, stagliata su una scala, in una performance che rimandava alla dualità dell'essere e della maschera, ha iniziato un corpo a corpo che ci ha reso muti, la bellezza di quel momento sta nell'azione di Amalia e nel silenzio improvviso di tutti.
Quando è arrivato Il canto dei nuovi migranti, la poesia di Constabile, poeta calabrese morto suicida, nella voce di Lara Chiellino, c'era un affiatamento, stavamo tutti dentro lo stesso fiato. Nei calanchi la Calabria ha risuonato anche nella chitarra battente e nella voce antica di Pierluigi Virelli, polistrumentista e ricercatore di suoni dimenticati. Per chi aveva indugiato per le strade del paese, intanto, le musiche ambulanti di Jaska Red e Manuel Miranda. Dopo la passeggiata, i corpi arresi al paesaggio e alle emozioni, hanno continuato il viaggio sonoro in terra: Mater Lucania di Antonio Onorato e Vincenzo Bavuso quartet ha aperto la serata in Piazza Garibaldi.   Poi il Gargano de I cantori di Carpino si è aggiunto alla geografia del festival. Battenti, voci e tamburi, forza e bellezza di una tradizione che porta il segno indelebile di Antonio Piccininno e Andrea Sacco.   E ancora, in Piazzetta Panevino, la voce elegante di Mirco Menna. E quella roca, sussurrata, di Canio Loguercio, sull’organetto di Alessandro D'Alessandro in Canti, ballate e Ipocondrie d’ammore, quest'anno vincitore della targa Tenco come migliore album in dialetto. Nella casa del confino, nell’incalzare della notte, le Devianze sonore, un incrocio di suoni diversi, un lieto intreccio tra mondi lontani con Aria, Luigi Libero Mazzoni, i Cleisure, i Nafrythm, Le Stanze.
Verso la cinquantesima ora, nel paese si sono alternate le varie perfomance dei brevi, ma intensi laboratori  che dal primo momento avevano animato le case del centro storico. E’ stato il momento dei canti prima della sera, seguito dalla bravura e la freschezza  della Compagnia voci InPopolari, musicisti e danzatrici allineati in uno spettacolo travolgente, a metà fra tradizione e “tradimento”.   Poi ha trovato spazio l'antica arte di strada della "posteggia" napoletana, rinnovata musicalmente da i Posteggiatori tristi. Nel susseguirsi dei minuti, nella Piazzetta Panevino, la potenza delle Assurd ha portato il pubblico a un festoso delirio. Dopo di loro lo s-concerto di Livio e Manfredi, con Giggio Borriello al trombone e Francesco Lapenna al clarinetto di Montemarano, un continuo “agguato” al pubblico, come  nell'immagine che resta, in cui è invertito per un attimo l'orientamento del corpo nello spazio, Manfredi disteso sul palco. In un luogo appartato, nelle case a ridosso della piccola piazza, l’animanimale di Ivan Fantini e l’arpa di Daniela Ippolito. Tra un popolo di insonni e un gregge di pecore, con infinita dolcezza, lo stesso strumento ha accompagnato il levarsi del sole tra i calanchi. Rito finale di questo festival che si conclude ogni anno all’alba necessaria, tra colline di argilla franose, con i corpi completamente arresi alla bellezza arcaica del paesaggio e alla stanchezza assoluta della carne. 


Grazia Coppola

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