Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana, Loano (SV), 26-28 Luglio 2017

Dunque, il “Viaggio” della XIII edizione esprime la capacità della musica popolare di leggere la contemporaneità, di delineare una geografia del movimento, di dispiegare mappe sonore che si sviluppano nel tempo e nello spazio, di ascoltare liriche, strumenti, stili ed espressioni musicali che interagiscono nel passato e nell’oggi. Come accade nel progetto Liu’ud prodotto da Fabbrica Europa, un itinerario immaginifico tra confluenze di musica rinascimentale, mediorientale e contemporanee in cui convergono due simboli della cultura musicale occidentale e mediorientale: l’’ūd e il liuto, suonati a Loano da Ziad Trabelsi, già cantante e musicista dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Ad accompagnare i due strumenti nello showcase-dibattito, condotto dal musicologo e musicista Jacopo Tomatis, c’erano Fabrizio Cardosa, esperto di musica antica, al colascione e alla viola da gamba, e Simone Pulvano, versatile percussionista di respiro mediterraneo. Passaggi paradigmatici, come quando Ziad racconta della negoziazione tra i musicisti nella scelta di usare o meno certi intervalli musicali che non sono conciabili tra gli strumenti – ecco nella concretezza il dialogo tra culture, ieri come oggi –; 
oppure come quando lo stesso artista tunisino legge e canta i versi del poeta e filosofo medievale Ibn Arabī, che invocano il rispetto tra le religioni e grazie ai quali capisci che tutto è stato già detto, che occorre solo mettere in pratica gli insegnamenti e rinsaldare la memoria. La prima serata del festival (26 luglio) ha portato sul palco del Chiostro di Sant’Agostino (nuova bella sede per la rassegna, la cui struttura residenziale ospita oggi dei migranti richiedenti asilo: gente fisicamente in viaggio tra miserie, sfruttamento e speranze di vita) il concerto di Rachele Colombo, in trio con Marco Rosa Salva (flauti dolci) e Domenico Santaniello (violoncello), e con gli inserti ironici e veraci dell’attrice Chiarastella Seravalle nella parte della ‘puta venexiana’. La cantante e ricercatrice veneta ha portato in scena le suggestioni delle canzoni veneziane da battello contenute in “Cantar Venezia”, il bel disco che è risultato il più votato dalla giuria. L’album non soltanto costituisce un traguardo significativo per la carriera di Rachele, ma è un rannodare fili secolari compositivi che non vanno perduti. Un progetto pienamente in sintonia con gli intenti del Premio, esemplare per studio delle fonti: 
Colombo è intervenuta musicalmente sui manoscritti settecenteschi in maniera accorta, restituendoli con una finezza che esalta il portato melodico e testuale di questa popular music del diciottesimo secolo che accoglieva suoni, arie, umori che affollavano la città lagunare, crocevia di genti. Va detto, tuttavia, che al recital avrebbero giovato maggiori cambi di ritmo e una più consistente temerarietà negli arrangiamenti, per andare oltre la riproposta del disco nella dimensione live. L’incontro del pomeriggio del 27 luglio, condotto da Enrico de Angelis, con la ‘fratellanza del canto’, vale a dire Lorenzo e Enzo Mancuso, ha ripreso il filo rosso del viaggio, perché la poetica dei due musicisti attori di Sutèra, migranti loro stessi nel passato, attinge al patrimonio sacro e profano contadino siciliano, ma si arricchisce di melopee, di ritmi e di timbri del Mediterraneo, utilizza strumenti ance turche e harmonium indiano accanto a chitarre, violino e ghironda. Un’esibizione da brividi – come sempre – con una manciata di brani, tra cui “Nesci Maria”, “Mi chiamo Forse” e “Deus Meus”. Ah, che meraviglia, se avessero suonato anche loro al Chiostro la sera stessa a suggellare il riconoscimento alla carriera (più che mai attiva con un nuovo disco in arrivo), invece che su un palchetto del lungomare! 
Ad ogni modo, le suggestioni del viaggio sono proseguite alla grande nella serata all’Arena Giardino del Principe con Stefano Saletti e Banda Ikona, protagonisti del progetto “SoundCity”, che ascolta il respiro delle città del Mediterraneo e lo restituisce in un affresco sonoro meticcio che è un invito al dialogo usando anche il sabir, l’antica lingua franca del ‘piccolo mare’. Con Saletti (‘ūd, bouzouki, chitarra, voce) c’era un super gruppo composto da Barbara Eramo (voce), Mario Rivera (basso acustico), Carlo Cossu (violino), Giovanni Lo Cascio (batteria), Arnaldo Vacca (percussioni) e arricchito dagli ospiti vocali Gabriella Aiello, Yasemin Sannino e Nando Citarella (anche alla tammorra), da ney e daf di Pejman Tadayon e dall’organetto diatonico di un superlativo Alessandro D’Alessandro. Il 28 pomeriggio il festival di Loano ha ospitato Sandro Portelli e Valter Colle per la presentazione della collana “Crossroads” pubblicata dall’etichetta Nota in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio (incontro coordinato dallo scrivente). La collana discografica documenta i canti migranti della nuova Italia, “dell’Italia multiculturale e ibrida che si sta formando sotto i nostri occhi”, come ha scritto Sandro Triulzi. 
Pur nella cornice informale, quella di Portelli – rileva Enrico de Angelis – è stataudellaQQQ una “lectio magistralis di antropologia”, perché attraverso l’analisi degli stili, delle espressioni, dei repertori di questi musicisti, raccolti per ora in due CD – ma già è in arrivo il terzo, dedicato ai ‘rumeni romani’ – si è condotti a ripensare il significato da attribuire ad autenticità, identità, tradizione ne memoria. Protagonista musicale è stato il curdo Serhat Akbal (voce e baglama), nato al confine tra Turchia e Iraq; dopo arresti, persecuzioni e fughe, oggi è in Italia, fa il cuoco a Rovereto, ma è musicista dal tocco strumentale potente e raffinato e dalla voce che lascia il segno. La festa finale, nella quale c’è stata anche la premiazione di “Blogfoolk” come realtà culturale 2017, è stata il concerto ‘classico’ di Enzo Avitabile (voce e saxofono) e dei Bottari di Portico, con tutto il loro armamentario di botti, tini e falci. Il disco del musicista napoletano, “Lotto Infinito”, è stato con merito il quarto piazzato tra le produzioni del 2016, nella linea di “Black Tarantella”. Il mestiere del sassofonista-compositore lo conosciamo: Avitabile è un animale da palcoscenico, arringatore di folle da portare ad allinearsi ‘soul & ‘ccore’ sul groove, “n’copp ‘o ritmo”. La sua è la poetica del riscatto dal degrado della quotidianità e dell’anima, espressa a ritmo di pastellessa e tammurriata. Certo avremmo desiderato qualche parentesi acustica nel solco di “Napoletana”, ma quando nel finale Enzo omaggia il Pino Daniele di “Terra Mia”, anche la nordica Loano si scioglie nella commozione, ricordandosi di essere un porto del Mediterraneo. 


Ciro De Rosa

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