Giorgio Signorile – Via Mellana 12/D (CNI/Ut Orpheus, 2017)

Un album solo chitarra e ben posato, una serie di immagini che scorrono, che coincidono con una serie di panorami, di prospettive legate alle corde e alle visuali di Giorgio Signorile. Nove brani fluidi, densi e pieni di aria, nove passaggi che si lanciano dalle corde e si dirigono verso un orizzonte che si fa via via più ampio e, allo stesso tempo, più intimo e confortante. “Via Mellana 12/D” è innanzitutto un album solista, nel senso più letterale del termine. Un album in cui tutto ricade sullo strumento, anche se le soluzioni sono diverse e mai ridondanti. Un album che suggerisce, attraverso lo scorrere semplice e diretto dei brai che lo compongono, non solo una posizione, quasi una postura, ma anche una scelta di osservazione, la selezione di un punto da cui guardare, lasciarsi attraversare, spalancare gli occhi su un orizzonte profondo e ricco di suggestioni. Signorile riesce a comunicare queste distanze, come se ci parlasse con le sue parole, calibrando pochi suoni, scelti con la precisione di un osservatore concentrato su ciò che fa muovere le sue mani e che esplicitamente ci riconduce a una dimensione allo stesso tempo personale, familiare, e infinita. Non è affatto scontato e non stupisce che in uno spazio conosciuto si possa riconoscere un’ispirazione che fa coincidere due prospettive formalmente opposte, ma che nel loro insieme definiscono un flusso musicale organico. Ce lo dice lo stesso Signorile, che fa i conti con il suo spazio, lo suona e lo compone, come se non potesse fare altro. E come se riuscisse ad assumere ogni volta una forma diversa, definita attraverso le variazioni della chitarra, che assorbe e riflette allo tesso tempo gli elementi che la circondano e che di quello spazio costituiscono dei confini trasparenti, delle linee permeabili e cangianti. La dimensione che ne risulta è rappresentata attraverso una specie di mappa, che si lascia leggere sempre più nel dettaglio man mano che si entra in sintonia con l’album, e alla quale si accede anzitutto attraverso i titoli dei brani, come se questi fossero dei punti di repere: “Shakkei, un paesaggio preso a prestito”, “Una canzone d’inverno”, “My new landscape”, “Le colline di Karen”, “Quel mare che non c’era”. In questo spazio si “vedono” certamente i suoni, sempre compiuti e decisi, ricercati e delicati. Ma si scorgono le forme di tutti gli elementi che attraversano e imprimono alla visuale i tratti di un panorama concreto e straniante, stretto intorno a un mondo articolato, che è interiore e oggettivo, intimo, evocato, immaginato e visto, riconosciuto. “Il mio mondo dall’alto più che dall’interno” - ci lascia scritto Signorile nell’album - descritto approfondendo “aspetti musicali differenti, direi quasi minimalisti per certi brani”. Si tratta di un minimalismo interessante, sia perché riflette gli elementi di cui si è detto, sia perché sembra il risultato di una riflessione compiuta proprio sulla chitarra. In questo senso ogni brano sembra richiamare gli altri, definendo così una circolarità rassicurante e allo stesso tempo di grande respiro. Gli ultimi due brani in scaletta assorbono perfettamente l’andamento generale dell’album, con una pienezza fluida e una strutturazione più decisa. “Variazioni su un respiro” è un brano dritto che confluisce in una frase più intensa e sostenuta, senza irrigidirsi, per poi riaprirsi in una melodia più morbida e avvolgente. Lascia lo spazio a una trama melodica più articolata che, in “Ancient lights”, raccoglie tutto il resto con decisione, fino a spegnersi in poche note delicate e rallentate. tra i brani più rappresentativi si possono citare “La mia piccola gioia”, “Febbraio 97” e la bellissima “Ma quel mare non c’era”. 


Daniele Cestellini

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