Fonni, il canto “a cuncordu”, unicum tra sacro e profano

A Fonni (NU), la polivocalità profana e paraliturgica viene eseguita “a cuncordu”. “(Su) cuncordu” è il nome utilizzato per indicare il gruppo dei quattro cantori. Abbiamo voluto dare rilievo musicale a questa incantevole comunità della Barbagia, a seguito di un dialogo-confronto sul campo avuto con cinque cantori di età variabile tra i diciotto e i sessantatré anni: Angelo Mureddu, figlio del cantore Michele Mureddu (soprannominato “Sonaggia”, deceduto nel 2000, noto per la versatilità vocale e la vena poetica estemporanea); Andrea Nonne (“vohe”, in passato attivo in diversi gruppi polivocali fonnesi e, attualmente, coordinatore del “Cuncordu de Onne”); Francesco Mulas (“mesuhoe”), da poco maggiorenne, discendente di un ceppo familiare che vanta numerosi esecutori “a cuncordu”; Fabio Mureddu (“bassu”), figlio di Angelo, e Alberto Mattu (“hontra”).
Situato a circa mille metri sul livello del mare, Fonni è il paese della Sardegna a più elevata altitudine. Ha circa quattromila abitanti ed è uno dei simboli della cultura pastorale barbaricina, localmente studiata dagli antropologi anche in relazione alla transumanza che, nei decenni e nei secoli passati, in autunno e in inverno, vedeva i pastori “in viazzu a irsverrare” (in viaggio a svernare) per portare il bestiame nelle pianure del Campidano, dove il clima è più mite.  Fonni è rinomata località sciistica (il Monte Spada si eleva fino a 1595 metri; il Bruncu Spina fino a 1829 metri), ricca di aree archeologiche (molte ancora da valorizzare adeguatamente). Il Paese ha un’economia prevalentemente agro-pastorale e nel territorio operano diverse attività artigianali, tra le quali quelle dei pani e dei dolci tradizionali. Fonni è nota anche per il carnevale, con le caratteristiche maschere denominate “s’Urthu” e “sos Buttudos”. 

Canto “a tenore” o “a cuncordu”?
Prima di entrare nel vivo della polivocalità fonnese, stilisticamente ben connotata e apprezzata in tutta la Sardegna, riteniamo indispensabile un chiarimento terminologico rispetto alla locuzione cantare “a cuncordu”. Nell’Isola, tale modalità esecutiva è prevalentemente riferita al canto polivocale paraliturgico e liturgico (più in generale, “religioso”), ma a Fonni è da riferirsi soprattutto al canto a più voci profano, in genere detto “a tenore”. Non è caso isolato poiché, ad esempio, la stessa denominazione è in uso a Ollolai, Lodine, Gavoi, Olzai e Ovodda, paese del quale su questo stesso Magazine abbiamo diffusamente trattato relativamente a “sar bídulas”, suonate da Peppe Cuga. Nella polivocalità profana, a Mamoiada, il gruppo dei quattro cantori viene chiamato “hussertu” o “cussertu”, a Silanus, “cuntrobbu”, a Seneghe, “cuntrattu”, ad Abbasanta e a Torpé, “cuntzertu”, a Dorgali, talvolta, è in uso “canto a proa” (da “proare”, sforzare, logorare le corde vocali); ad Aggius il canto polivocale è detto “tasgia” o “taja”, ed è eseguito da cinque cantori.   
La terminologia in uso a Fonni per definire il canto polivocale richiede di considerare come “unicum” il repertorio profano e religioso all’interno della ritualità comunitaria, che merita di essere valorizzata tenendo conto della propria specificità.  
Secondo quanto sino a oggi abbiamo potuto verificare, in termini storico-comparativi, riteniamo che in Sardegna le due versioni della polivocalità religiosa e profana siano espressione di un’organica concezione teorico-musicale, la quale verosimilmente affonda le proprie radici in epoche più remote di quanto una ragionevole e oggettiva ricerca storica lascerebbe intendere. Il canto “a tenore” e quello detto “a cuncordu” di tipo religioso rispondono a esigenze rituali differenti, ma presentano diverse analogie, non casuali e frutto di una consolidata pratica musicale codificata a livello comunitario. Vale a dire: i canti sono capillarmente diffusi a quattro voci; sono eseguiti da cantori maschili; sono polivocalmente simili; non sono accompagnati da strumenti musicali; hanno corrispondenza lessicale nelle voci; da un punto di vista melodico e armonico trovano riscontro con l’evoluzione diatonica del canto; dal punto di vista esecutivo sono entrambi caratterizzati da un andamento responsoriale tendenzialmente omoritmico; le voci cantano “di petto”, ma nel tenore si riscontrano sia la vocalità gutturale sia quella faringale. Vi sono prove abbastanza concrete di come anche i paesi della Barbagia entrarono in contatto con la latinità, di come la cultura cristiana (bizantina e cattolica) si affermò gradualmente nei paesi sardi, secondo consolidate tecniche di sincretismo religioso, ben documentato anche da storici, archeologi e linguisti.  Il canto polivocale profano sardo, per come lo conosciamo, può essere rimasto avulso da tali contesti e da altri influssi storici, qui solo di passaggio accennati?  
Nel caso di Fonni e di numerose altre comunità tali premesse sono indispensabili per chi non è avvezzo alla composita realtà musicale sarda poiché, troppo spesso, si tende a generalizzare e a ragionare per macro sistemi teorici che, nelle analisi di comunità, possono risultare improduttivi e fuorvianti. Di conseguenza, riferendoci a Fonni e a “su connottu” (al conosciuto, secondo la tradizione locale), nel rispetto della cultura della comunità, scriveremo di canto “a cuncordu”, sebbene ormai il termine “a tenore” sia entrato in uso nel parlare comune, mediato, nei decenni, dalla comunicazione generalista dei mass media e forse da quella di alcuni ricercatori che, non sempre, hanno saputo porre la giusta attenzione nell’impiegare la specifica terminologia tipica delle differenti comunità.  

Il canto polivocale nella comunità di Fonni
Angelo Mureddu ha sessanta tre anni e il canto “a cuncordu” l’ha conosciuto sin da bambino, essendo figlio del citato Michele Mureddu (“Sonaggia”), deceduto all’età di settantotto anni. Michele era sa “ hontra” di un “cuncordu” assai quotato, i cui componenti erano Pietrino Puddu (ancora vivente), “vohe”, Bernardino Curreli (detto “Venale”), “mesuhoe”, Raffaele Cugusi (detto “Peccioi"), “bassu”. 
Ha riferito Angelo Mureddu: "Il canto “a cuncordu” l’ho conosciuto a casa mia, ascoltando mio padre … il quale sapeva cantare di tutto; era “sa hontra” del gruppo, ma poteva liberamente cantare da “bassu”, da “vohe” o da “mesuvohe”. Aveva orecchio e voce formidabili, e con qualunque voce del “cuncordu” cantava sempre bene; è raro trovare voci così capaci… chiunque in paese potrà testimoniare la sua bravura. Peraltro noi in famiglia abbiamo una lunga discendenza di cantori e poeti che risalgono almeno a Matteo Mureddu (1760-1841), famoso poeta locale, un mio trisavolo di cui sono stati tramandati diversi componimenti".
Angelo ha spiegato che, quando era bambino, nella comunità erano principalmente attivi tre gruppi polivocali, ma il canto “a cuncordu” era piuttosto praticato tra i pastori, soprattutto in concomitanza della tosatura delle pecore, che avveniva tra la fine di maggio e la prima quindicina di giugno. I gruppi, in passato, non avevano nomi specifici e a Fonni venivano genericamente indicati citando il nome o il soprannome della voce solista. Gli altri due gruppi a cui ha accennato Angelo facevano capo a l’omonimo Michele Mureddu, detto “Baralla”, e a Cristoforo (Cristòlu) Bòttaru (cantore e poeta). Questi i principali, ma a Fonni vi erano altri esecutori che possedevano “unu bellu traggiu ’e hantare” (un bel modo di cantare).  Praticamente ogni settimana vi erano incontri in casa Mureddu, “si cantava non per mostrare di essere bravi, ma soprattutto per passione, per il desiderio di stare insieme tra amici”. Cantare “a cuncordu” (la cui etimologia è indicativa) implicava il concetto di unione, di amicizia, all’interno di eventi festivi o conviviali, nei quali il cibo diveniva mezzo di condivisione: "La sera si mangiava e si beveva in allegria, in una serata si consumava un fiasco o due… e il vino faceva partire il canto (…). Spesso gli incontri tra cantori avvenivano, a turno, nelle loro case, ma la sera era in uso cantare anche in “su cilleri” (soprattutto al bar “Cadau” poi bar “Moro”, particolarmente frequentato dai cacciatori), dove era talvolta possibile sentir cantare i componenti dei differenti gruppi “a cuncordu”"
In tali occasioni, le voci potevano essere interscambiate.  La concorrenza a fini esecutivi era limitata, poiché il canto era un tratto caratteristico della socialità condivisa, non momento in cui ostentare bravura. Questa aveva maggior modo di essere espressa durante le feste, nelle quali gli ascoltatori della comunità si moltiplicavano. In tali situazioni ogni gruppo cantava separatamente, ma talvolta singoli cantori potevano intervenire in sostituzione di altri indisposti o impossibilitati a partecipare a eventi canori, nel paese o fuori da questo, ad esempio, durante le manifestazioni folcloriche.  Mureddu ha ricordato che era tradizione (e lo è tuttora) trasmettere le conoscenze dai più grandi ai più giovani “per lasciare la radice” (“po lathare s’arradica”), come i componenti del Gruppo del padre fecero con quello che è verosimilmente considerato il Gruppo storicamente più rappresentativo di Fonni, denominato “Sos Battor Moros”. 
Si cantava nelle case, nel cilleri e durante le feste, le principali concentrate tra la fine di maggio e giugno: La Madonna dei Martiri (“sos Martirese”), San Giovanni Battista (“Santu Juanne”, patrono), San Cristoforo (“Santu Gristolu”), inoltre, “sa Ida Santa” (la Settimana Santa, a Pasqua). A settembre, vi era la festa della Madonna del Monte (“Nostra Sennora ’e su Monte”). Tali feste avevano connotazione religiosa, ma quelle di maggio e giugno coincidevano con il ritorno dei pastori dalla transumanza, con il quale il paese tornava a essere popolato di uomini. Diversi scritti e filmati d’epoca hanno documentato come Fonni, nei mesi autunnali e invernali, in passato, fosse abitato in prevalenza da donne, bambini, anziani e da contadini.  Oltre alle feste cui si è accennato, è necessario soffermare l’attenzione sulla tosatura delle pecore. Angelo Mureddu, dall’età di sette anni, vive in un agro denominato “Francolovai”, dove ancora risiede e gestisce una ben avviata azienda agricola e un agriturismo, situato ad alcuni chilometri dal centro del paese.  Ha evidenziato che la tosatura delle pecore era un importante evento comunitario, nel quale tra l’altro si rinsaldavano i vincoli di solidarietà e amicizia tra i pastori. Nel caso del territorio di Francolovai e viciniori, i pastori erano almeno una quindicina, ognuno con un proprio gregge. Dal 25 maggio, a turno, si riunivano per tosare le pecore “a orthiès” (a forbice) e ogni pastore portava con sé le proprie. Il taglio avveniva dopo la mungitura, di conseguenza iniziava mediamente dopo le sette e trenta della mattina. Si proseguiva ininterrottamente fino alle tredici e trenta. Intanto le donne preparavano il pranzo. Cibo tipico della tosatura era sa “pecora a buddhiu” (in cappotto), pecora bollita, con patate. Dell’animale, venivano arrostite le interiora intrecciate ( dette “sa horda”, la corda), inoltre, nella tavola non poteva mancare pane, formaggio e vino. 
Dopo essersi lavati, i pastori mangiavano e bevevano, poi partiva in libertà il canto “a cuncordu”, parallelamente si discuteva, si raccontavano storie, si ballava e si giocava a “sa murra”, una musica di suoni e numeri detti in rapida successione, intercalata da esclamazioni del tipo “a linna!” (a legna), “a sa muda!” (letteralmente alla muta, cioè stai in silenzio, “mudu”, zitto, hai perso, fatti da parte). L’evento conviviale durava fino alle diciotto, dopo bisognava adoperarsi per la mungitura che, per l’occasione, veniva straordinariamente ritardata di circa un’ora.  Essendo almeno quindici i pastori (più alcuni aiutanti), tale evento si ripeteva per altrettante volte nei differenti ovili, fino a metà giugno.  In pratica, si lavorava intensamente, in gruppo, e si festeggiava per due settimane di fila, ogni giorno in un luogo diverso.  Ha osservato Mureddu che, proprio a causa dei numerosi incontri annuali per la tosatura, il canto “a cuncordu” era praticato da diversi pastori, senza necessariamente essere parte di un gruppo stabile.  
Come s’imparava a cantare “a cuncordu”?  La risposta di Mureddu è stata categorica: “Basta provare e migliaia di uomini hanno provato, ma … questo tipo di canto non è per tutti, o uno ce l’ha ed è portato per questo canto, e si sente subito, … oppure i più bravi lo facevano notare e quando capivano che uno non era portato lo invitavano a mettersi da parte. Uno nasce per fare questo canto.  “Unu bassu” che non è portato può provare e riprovare, ma dopo un po’ anziché cantare continua a tossire e non riesce a proseguire. E poi si deve allenare di continuo, perché anche un cantore portato, ma senza allenamento, dopo un po’ tossisce e basta. Lo stesso discorso vale per sa “’hontra” e “sa mesuhoe”, devi essere portato per queste voci, sono rari i casi (ma ci sono) come quello di mio padre che ovunque lo mettessi cantava bene (…). Inoltre, le prove non possono essere fatte da soli, ci vuole su “cuncordu” al completo per capire se si va bene o si sbaglia … uno può provare da solo e pensare che tutto va bene, poi prova con gli altri cantori e subito capisce che quello che aveva provato non andava bene”.  Diverso è il discorso per la voce solista, quella di Mureddu. Ci ha ricordato che da piccolino lui cantava a imitazione dei grandi (“… le voci dei bambini, però, nel “cuncordu” non servono”), poi, un giorno, quando aveva circa quindici anni, durante uno dei momenti di svago della tosatura, il padre esclamò: “Prova a hantare! Prova sa vohe!” (Prova a cantare! prova la voce!). Andò tutto bene e da quel momento iniziò a cantare “a cuncordu” e, ancora oggi, intona per diletto e insegna tale modalità di canto ai più giovani.  Per esercitarsi e per passione lui cantava spesso, durante i lavori nei campi o stando sul trattore durante l’aratura. Una voce solista può allenarsi da sola anche perché deve abituarsi a memorizzare i versi dei vari canti. Nel canto fonnese l’andamento della voce principale è riferita anche alle cosiddette “alzate”. Dice Angelo: "Nel nostro canto, si parte bassi e lenti, poi, poco per volta, ci si alza e quando si è arrivati in alto ci si abbassa gradualmente, secondo le richieste de sa vohe. Sono tre i principali livelli (“arthiadas” o “pessadas”) del canto, che la voce deve saper regolare e sui quali il resto del “cuncordu” deve sapersi regolare. Ogni voce deve saper tenere il “ritmo e la cadenza” e deve saper tenere “su ilu zustu”, il giusto filo".  
Effettivamente il canto fonnese è particolare, con un ricamo solista e un timbro vocale molto ben caratterizzato e non facilmente imitabile. La voce solista deve avere una certa esperienza in ambito poetico, per la scelta dei testi da selezionare e memorizzare, che a Fonni sono ripresi in parte da poeti colti o semi colti di tradizione “logudorese” (“lingua dei poeti sardi”), in parte da poeti locali. Tipico è il canto in “ottava”, ma altrettanto lo è quello dei “mutos”, forme poetiche particolarmente studiate da Alberto Maria Cirese (negli anni Sessanta e Settanta).  Il canto “a cuncordu” fonnese ha definiti parametri di riferimento, ma la voce principale di ogni gruppo possiede precipue caratteristiche intonative. Angelo ha più volte sottolineato il concetto che “il canto del solista s’impara ascoltando”, ma con margini di variazione, secondo personale estro e stato d’animo del momento. Di conseguenza, uno stesso canto non sarà mai uguale a se stesso. Il modo di cantare degli esecutori più anziani, varia sensibilmente rispetto a quello dei più giovani. Tuttavia le parole poco possono spiegare, è indispensabile conoscere il repertorio locale e saper ascoltare, avendo la possibilità di udire uno stesso “cuncordu” ripetere le esecuzioni in occasioni diverse.  In merito, pare indispensabile segnalare che i canti “a cuncordu” tipici di Fonni sono  “su ballu sartiu”, “su ballu torrau”, “sa vohe ’e notte”, “su ballu ’e duos”, “su ballu ’e trese” (gli ultimi due prendono il nome da specifici passi del ballo locale). Uno dei modi coreutici è “a ballu tundhu” (a ballo tondo). Nel repertorio “a cuncordu” vi sono i canti religiosi, altrettanto importanti, tra cui spiccano “sor gosos” o “coggios ” (tipici del repertorio paraliturgico), “su Pipieddhu” (canto natalizio) e  “su hantíu ’e Maria” (canto di acclamazione, “Viva Maria”). 
A un certo punto, Angelo Mureddu ha richiesto di proseguire il dialogo solo dopo aver ascoltato dal vivo il “Cuncordu”. Li chiama “i giovani cantori” (tra i quali un suo figlio), che invita nell’agriturismo per fare le prove con frequenza almeno bisettimanale.  Vi è un posto magico nel quale i cantori provano, all’interno di una sorta di cupola adornata “a sa sarda”, realizzata da Angelo, i cui pilastri d’ingresso sono dei tronchi, vere opere d’arte naturale.  I cantori, in inverno o in estate, intonano sempre davanti al camino, dove l’acustica è particolarmente indicata per mantenere raccolta la polivocalità del “cuncordu” ricca di armonici. Il camino, in inverno, dà loro calore, ma spesso è utilizzato per arrostire le carni secondo la tradizione pastorale. 
Nella seconda parte del contributo etnomusicologico, esporremo un’articolata sintesi del dialogo con Angelo Mureddu e i quattro giovani cantori del “Cuncordu de Onne”. Un incontro significativo che aiuterà a meglio raccordare il diacronico con il sincronico, con l’obiettivo di dare valore alla realtà musicale locale, avendo come prospettiva un confronto sempre più internazionale e “glocalizzato”, con il quale i giovani del paese dovranno rapportarsi, mantenendo solide radici nel solco della tradizione fonnese e, più in generale, di quella musicale sarda.



Paolo Mercurio
Copyright Foto: Paolo Mercurio

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