Salvatore Esposito (a cura di), Bob Dylan, Hoepli, 2017, pp.203, Euro 17,90

«Non possiamo chiudere Bob Dylan dentro la letteratura, ma dovremmo ringraziarlo perché ci porta a interrogarci su cosa sia davvero la letteratura, oggi», chiosa Alessandro Portelli nella prefazione al volume intitolato semplicemente “Bob Dylan”, coordinato da Salvatore Esposito per la collana “La Storia del Rock/I Protagonisti”, diretta da Ezio Guaitamacchi, dell’editore Hoepli. È sempre bene accetto un nuovo contributo critico su Dylan, soprattutto se va a comprendere l’intero arco di una carriera fitta e complessa arrivando fino alla primavera del 2017. Un secondo pregio, che salta subito agli occhi in questo libro di duecento pagine, agile e ben scritto, è l’impianto grafico con belle fotografie in bianco e nero e a colori, inserti e box (lo stile è quello di “Jam”, il mensile rock cartaceo diretto proprio da Guaitamacchi, che purtroppo ha fermato le pubblicazioni qualche anno fa), che ampliano la narrazione della biografia artistica dell’artista di Duluth. Esposito, direttore editoriale di “Blogfoolk”, critico musicale con alle spalle altri saggi su artisti italiani e internazionali, nonché sulle musiche di tradizione orale, ha radunato un team di studiosi provenienti da svariati ambiti (musicologi, musicisti, giornalisti e dylanologi): è il terzo pregio del lavoro, che avvia una riflessione fondata su una prospettiva plurima. Difatti, nei dodici capitoli, gli autori (Salvatore Esposito, che fa la parte del leone firmandone cinque, Daniele Cestellini, Alessandro Bratus, Peter Stone Brown, Gianluca Dessì, Michele Gazich, Michele Murino, Alessandro Cavazzuti) passano in rassegna la vita artistica di una personalità che non solo ha cambiato la storia della musica popolare, reinventando linguaggi poetici, ma ha anche modificato la nostra relazione con la parola scritta e cantata. Eppure molti, ancora oggi, riconducono Dylan – sarà anche per la massificazione della sua immagine – all’universo pop piuttosto che alla storia letteraria americana (sarà questo un motivo delle scomposte reazioni snob di qualche scrittore italiano all’assegnazione del Nobel?). Alessandro Carrera, studioso italiano di fama internazionale, ha definito l’opera di Dylan, soprattutto quella a partire dall’ultimo scorcio del Novecento, un grande esempio «poema modernista della letteratura americana contemporanea». Nel volume scorrono i tanti Dylan, se ne seguono i passaggi esistenziali, i cambiamenti di identità, le sfide, le contraddizioni, lo sparigliare continuamente le carte. Il lavoro si sviluppa attraverso le note biografiche, l’analisi dei dischi e delle canzoni, dei tour e dei film, la ripresa di stralci di interviste (qui avremmo gradito delle note che riportassero con precisione i riferimenti bibliografici di tempo e di luogo alle pubblicazioni), dichiarazioni a tutto campo e aneddoti riportati dalla stampa internazionale o da altre artisti. Inevitabili i cedimenti agiografici, considerata, però, la statura del protagonista, ci stanno tutti. Inoltre, se è vero che l’accesso al web consente di raccogliere subito informazioni sugli album di Dylan, avremmo gradito un elenco con la discografia completa da scorrere in fondo al lavoro. Ad ogni modo, si parte dal ritratto dell’artista da giovane, con il suo arrivo a New York nel 1961 e i formidabili anni in cui diventa voce generazionale (“A ruota libera”), si giunge alla ‘fragorosa’ svolta elettrica (‘Si può uccidere anche con gentilezza’), si parla dei leggendari “Basement Tapes”, degli anni Settanta di “Blood on the Tracks, “Desire” e “Street Legal”. Seguendo l’andamento metamorfico dell’artista del Minnesota, si raggiunge il controverso periodo da ‘cristiano rinato’ (“The Gospel Years”), si transita tra le luci e le ombre negli anni Ottanta (“Confusione straconfusa”), fino al ritorno al folk nei Novanta e al nuovo capitolo di autorevolezza rock compiuto da “Time out of mind” (“Non è ancora buio”). Ancora, ci si mette in cammino con il Dylan del Never Ending Tour (“La lunga strada del rock’n’roll”), approdando al nuovo millennio (“Amori e furti”), al recupero degli standard di “Great American Songbook”, a “Fallen Angel”, al Premio Nobel per la Letteratura e alla pubblicazione di “Triplicate” (“Sentimental Journey”). In conclusione, una postfazione di Alberto Fortis, chiude – per ora – il resoconto critico dell’avventura artistica di Bob Dylan. 


Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia