Orchestra Baobab – Tribute to Ndiouga Dieng (World Circuit, 2017)

“Tribute to Ndiouga Dieng” segna il rientro in scena della leggendaria orchestra, che intorno alla metà degli anni Settanta ha tracciato nuove vie nella musica senegalese con la fusione di tradizioni musicali senegalesi, soprattutto wolof, e stili afro-cubani, rumba e son in primis. A dirla tutta, questa è l’ennesima ‘reincarnazione’ della band che, dopo una separazione durata sedici anni, aveva deciso di ricalcare i palcoscenici nel 2001 con un tour (e la riproposta dell’album “Pirates Choice” in nuova versione dalla World Circuit), ed entrare in studio per “Specialist in all Styles” (2002), per poi prendersi un’altra pausa di riflessione e dare alle stampe cinque anni dopo “Made in Dakar” (2007). In una storia ultra-quarantennale, nessuna meraviglia, allora, se la formazione è cambiata nel corso della lunga vicenda artistica, e poi per l’Orchestra non si può dire che il fato si sia risparmiato. Infatti, la dedica del titolo del nuovo album (“Tribute to Ndiouga Dieng”) è per Ndiouga Dieng, voce della band, scomparso a sessantatré anni nel novembre 2016, che a sua volta i cantanti originari del Casamance, Balla Sidibé e Rudy Gomis, avevano chiamato a sostituire Laye Mboup, artista di origine wolof, morto in un incidente d’auto. Nel disco canta Alpha, il figlio di Dieng, che è accanto agli altri due storici vocalist, alla sezione ritmica di lungo corso (il bassista Charlie Ndiaye e il conguero Mountaga Koite), ai sassofonisti Issa Cissoko e Thierno Koite, ai chitarristi Oumar Sow e ai nuovi arrivati René Sowatche (dal Benin) e Yahya Fall (dagli Etoile de Dakar), che hanno rilevato la sei corde del togolese Barthélémy Attisso, un altro membro fondatore del gruppo, che ha lasciato per dedicarsi alla sua attività di avvocato in patria. Completa la sezione fiati il nuovo trombonista Wilfried Zinzou, mentre per la prima volta ascoltiamo le note scintillanti della kora, suonata da Abdouleye Cissoko. I dieci brani, in larga parte frutto della scrittura di Sidibé, attingono ad una formula efficacemente metabolizzata, familiar, seppure a tratti stagionata, ma sempre avvincente per le procedure ritmiche e melodiche messe in conto dall’Orchestra. Di tanto in tanto si avverte l’assenza della chitarra di Attisso, ma ecco che le note cascanti dell’arpa-liuto mandingo entrano a dare peso alle linee melodiche come nel brano di apertura, dal tratto gentile, “Foulo,” in “Fayinkounko” – composizione dai fiati R’n’B e notevole corpo percussivo, sviluppo di una canzone fula della Guinea che chiama al rispetto degli anziani – , nel classico “Mariama” o nella conclusiva “Alekouma”. Il canone dei Baobab contraddistingue la dolce “Natalia”, “Caravana” (dove le liriche avvertono dell’inesorabilità della morte che non si ferma davanti alla bellezza e al successo) e la potente “Woulinewa”, canzone sul senso di mancanza di una persona amata. Oltre, “Douga” è un canto mandingo che omaggia il coraggio dei guerrieri. In “Sey” Thione Seck, un’altra vecchia conoscenza del gruppo, diventata stella canora africana, ritrova i vecchi compagni. L’altra guest è Cheikh Lô, che canta in “Magnokouto”, numero delizioso, costruito alla perfezione dall’arrangiamento della band. Come è giusto che sia, c’è un’altra Africa, giovane, che si esprime su altri ritmi e altre versificazioni, ma in questa confluenza di lingue, storie, liriche, stili e strumenti musicali c’è poesia inossidabile, ci sono solidità, gioia e mestiere musicale. È indubbio che trapeli pure una dose di nostalgia à la Buena Vista; comunque sia, bentornati Baobab! 


Ciro De Rosa 

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