Album raffinato e ricco di suggestioni, delicate, ariose, profonde. “Erdring” è un racconto declinato attraverso dieci brani straordinari, legati l’uno all’altro e connessi a una cultura musicale ed espressiva senza confini, ricca di immagini e di parole, di suoni ricercati, di strutture originali, di caratteri profondi e mai ripetitivi. Il trio Luftig si insinua così, sorretto da esperienza, visionarietà e ricerca, in uno scenario sonoro articolato, in cui ogni strumento ha una voce cadenzata e radicata in un quadro di elementi straordinari. Un quadro perfettamente definito, nel quale ogni immagine rimanda a un’esperienza - vissuta, suonata, trasformata - e ogni suono ha un peso determinante. Gli strumenti utilizzati, il modo in cui sono combinati e il ruolo che assumono nei brani, ci rimandano a una ricerca libera, che confluisce certo (se leggete le notizie sulla band si trova spesso) in una world music, ma che risuona in un ambito eminentemente sperimentale. La stessa voce di Simona De Gregorio (l’autrice degli otto brani originali dell’album) si configura come una sorta di freccia densa che stralcia, per intensità e dinamismo, i riferimenti più diretti (e meno critici) alla world music di etichetta. A ciò che spesso aderisce al concetto semplificante del multiculturalismo in musica, declinato e giustificato sempre più rapidamente attraverso la confluenza di qualche elemento riconosciuto dai più come dirimente. A ben vedere, pur riconoscendo la conoscenza di espressioni musicali “etniche” del trio, credo si debba sottolineare soprattutto la scelta narrativa, estremamente personale, ancorché assorbita in un etnicismo non di primo piano e solo vagamente riconoscibile. Certo, alcuni strumenti orientano in parte una timbrica che potremmo percepire come “popolare” (soprattutto organetto diatonico e tabla). Ma, se guardiamo all’insieme e analizziamo il modo in cui si integrano a vicenda e delineano i brani sul piano melodico e armonico, comprendiamo che si tratta di una percezione secondaria, che non ha cioè la forza di imbrigliare l’intero corso della scrittura e delle elaborazioni dei Luftig. È sufficiente fare qualche esempio specifico che riguarda i singoli brani, oltre che ricordare la presenza di chitarra e contrabbasso che, insieme alle tabla, spingono verso uno spettro ampio e inclusivo, piuttosto che irrigidirsi in una gamma definita e definibile di sonorità regolate. Spesso l’organetto - come ad esempio in “Voar” - sostiene anche ritmicamente l’andamento dei brani e, insieme al contrabbasso, addensa una base armonica che permette alla voce di allungarsi in una narrazione e un canto elastici, in cui si ha il tempo di declinare figure precise anche attraverso molte parole e una metrica libera. Qui si possono trovare alcuni degli elementi più interessanti dell’album: si tratta di uno spazio che pone in primo piano le parole e, di conseguenza, il racconto sia di immagini che di suoni. E che risuona in tutti i brani, attraverso una lirica equilibrata e la selezione di diverse lingue, come il tedesco, l’inglese, lo spagnolo (in “La Tarara” si cita Garcìa Lorca”), l’italiano e il siciliano. In questo quadro, alcuni dei dieci brani sono tradizionali (“‘U Giardinu”, “Furtuna”, “Papel de Plata”)) e, per rimarcare, con un’evidente naturalezza, la libertà esecutiva del trio, sono suonati grossomodo come gli altri, senza accennarne in modo evidente alla provenienza se non attraverso la lingua. Per concludere, tra i più interessanti citerei “L’Eveniente”, un brano particolarmente lungo ed evocativo. Le tabla hanno un ruolo di primo piano (sia ritmico che melodico) e sorreggono gli altri pochi strumenti fino alle fine. Chitarra e contrabbasso avvolgono la voce, che sviluppa una melodia morbida e avvolgente. L’atmosfera generale del brano, e di riflesso anche dell’album, si racchiude in alcuni passi del testo: “Le albe che sorgono sul filo/ del mare ceruleo/ mi trasmettono/ l’esigenza di aprire le braccia”.
Daniele Cestellini
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