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La Earth Records procede con la retrospettiva sul catalogo di Bert Jansch, il grande chitarrista e songwriter scozzese mancato nel 2011: lo scorso anno la ristampa, con una veste grafica inedita e curatissima, dello strumentale Avocet, disco del 1979 piuttosto sottovalutato nella discografia janschiana, attribuibile a Bert e a Martin Jenkins, il cui violino è fondamentale nello sviluppo dei brani, e del bellissimo From the Outside del 1985, fino allo scorso anno rarissimo e pressoché irreperibile, ma una delle più lucide prove del Bert Jansch songwriter, in una decade che lo vide scomparire dai riflettori. Ora due cofanetti di quattro CD cadauno (disponibili anche in vinile) con i tre titoli usciti negli anni '90 e i tre dati alle stampe nel nuovo millennio più due bonus-disc contenente versioni alternative, alcune session con John Renbourn per un disco in duo continuamente rimandato e mai uscito e alcuni brani completamente inediti di Bert solo o con alcuni chitarristi che a Bert si sono dichiaratamente ispirati, come Gordon Giltrap o Johnny Marr degli Smiths. Il primo CD del primo box è il misconosciuto “The Ornament Tree” del 1990, disco prodotto da Steve Tilston, che segna il ritorno di Bert alla musica tradizionale: un disco bello con gli arrangiamenti costruiti da Tilston e dalla moglie Maggie Boyle insieme al violinista Richard Curran. In questo lavoro almeno tre capolavori, la title track (il cui titolo originale è “Bonny Portmore”), il tradizionale scozzese “The Mountain Streams” e il celebre brano di Dave Goulder “The January Man”, già eseguito da Jansch nello splendido “Moonshine” quasi vent'anni prima. Il disco “When The Circus Comes to Town” del 1995 segna il ritorno di Jansch all'attenzione generale: una casa discografica, la Cooking Vinyl, che era la più prestigiosa fra le etichetta indipendenti dell'epoca, apparizioni televisive, recensioni entusiastiche anche dei giornali mainstream e, finalmente, un presente importante, oltre che un passato glorioso, quel passato storicizzato dal documentario “Acoustic Routes”, da poco disponibile su DVD, uscito nel 1993 e che vede Jansch protagonista con tutti i colleghi della scena folk-revival degli anni '60. “Circus” comprende numerose tracks registrate con solo voce e chitarra e alcune con un parco arrangiamento ed è un lavoro eccellente sia dal punto di vista del songwriting, che dell'esecuzione vocale e chitarristica, con lo strumentale “The Lady Doctor” che ricorda i fasti del folk-baroque di trent'anni prima.
Molti dei brani del disco faranno parte delle scalette live di Bert anche negli anni successivi, da “Walk Quietly By”, a “Summer Heat” a “Morning Brings Peace of Mind”, destinata a diventare uno dei brani più amati dai fans e forse l'ultimo vero classico inciso dal songwriter scozzese. Tre anni dopo seguirà “Toy Balloon”, che nelle intenzioni dell'etichetta doveva essere una celebrazione del talento di Jansch, ma la mancanza di ospiti di prestigio, fra cui il lungamente inseguito Jimmy Page, e il continuo rimandarne l'uscita ne hanno minato l'entusiasmo che doveva accompagnarne la disponibilità. Eppure il disco è sugli stessi livelli del predecessore con l'esclusione di un paio di tracks più ammiccanti e forse inutili, ma la cover di Jackson C. Frank “Carnival”, “Paper Houses” e “Born and Bred in Old Ireland” sono episodi di grandissima qualità in un contesto generale comunque sempre molto buono. Il disco di inediti, come spesso accade ai bonus-cd, aggiunge poco al lavoro. I veri inediti sono tre, fra cui una bella “The Merry Priest”, il resto è materiale for-completists-only. A completare il cofanetto, anche stavolta in un packaging più librario che discografico, le note di Colin Harper, autore anche del bellissimo libro “Dazzling Stranger”, sempre puntuali e accattivanti.
Il secondo volume, con una veste grafica del tutto simile al precedente, ripubblica i tre dischi usciti negli ultimi dieci anni di vita del chitarrista di Glasgow, “Crimson Moon” del 2000, “Edge of a Dream” del 2002, forse il più bello dei tre, e “The Black Swan” del 2006, celebratissimo dalla critica e intrigante per la presenza di numerosi ospiti, da Beth Orton a Devendra Banhart, ma complessivamente uno dei capitoli trascurabili della discografia di Bert.
“Crimson Moon” è un buon album, ma ha il difetto di arrivare dopo due album ottimi, ben prodotti, ben registrati e ben distribuiti. Registrato in buona parte da Bert stesso, il disco fatica a potersi definire un capolavoro, nonostante la presenza di ospiti come Johnny Marr e Bernard Butler dei Suede, e la presenza di alcune canzoni che costituiranno l'ossatura dei concerti degli ultimi anni della carriera di Bert, come la gloriosa ballata di Owen Hand “My Donald”, dedicata alla caccia alle balene e affidata purtroppo qui alla voce di Loren Auerbach, o l'epocale “October Song” di Robin Williamson. Un disco onestissimo, ma decisamente inferiore ai due precedenti, e dove il già-sentito e lo stucchevole affiorano a più riprese ma che vede comunque la presenza di almeno due brani notevoli: la lunga e psychedelica ballata “The Fool's Mate”, e “Neptune's Daughter”, oltre alla riproposizione del tradizionale americano “Omie Wise” già presente in “Reflection” dei Pentangle. L'inizio del disco “The Edge of a Dream”, vede Jansch accompagnato da una una vera e propria rock band, guidata da Bernard Butler e dal figlio Adam, ottimo bassista e deus-ex-machina della realizzazione di questi due cofanetti. Anche questo album vede la presenza di numerosi ospiti, come Hope Sandoval, allora vocalist dei Mazzy Star e oggi celebratissima solista, poi il chitarrista flamenco Johnny Hodge, personaggio particolarissimo della scena londinese, il grande Dave Swarbrick, ospite nei brani più belli dell'intera raccolta, lo strumentale “Gypsy Dave” e la fosca “Sweet Death”, il chitarrista Paul Wassif, complementar a Bert nel chitarristico “Black Cat Blues” e un inedito Ralph McTell all'armonica nella conclusiva “Bright Sunny Morning”. “The Quiet Joys of Brotherhood” è una versione bellissima, persino la voce di Loren Auerbach, nel frattempo diventata Loren Jansch, non stona con l'atmosfera e il pathos fornito dalla chitarra di Bert.
“The Edge of a Dream” è un lavoro che ha nella varietà il suo maggior pregio e anche il suo peggior difetto: si fatica a trovare un respiro comune fra gli undici brani che compongono la raccolta: rock, blues, folk ballads, country, persino un brano spagnoleggiante rendono la raccolta ondivaga e difficile da catalogare, tanto che riceverà parecchie critiche benevole ma mai accompagnate da vero entusiasmo. Entusiasmo che invece riceverà il successivo “The Black Swan”, prodotto da Noah Gergeson, abituale collaboratore di Devendra Banhart, che sarà anche uno degli ospiti del disco, marginalissimo nell'economia del lavoro, ma utile perchè i giornalisti possano dare un appiglio promozionale al CD. Il disco, nonostante un eccellente inizio (la delicatissima “Black Swan” e l'ottima “High Days”) non mantiene lo stesso profilo per tutta la sua durata. La presenza di brani già del repertorio Pentangle (“Watch the Stars”) o già incisi da Jansch (“A Woman Like You”), ambedue in versioni molto inferiori all'originale, così come la presenza di classici del repertorio del revival britannici come “Katie Cruel” (cantata da Beth Orton) e l'anthem di Brendan Behan “The Old Triangle” non rendono il disco più interessante. La presenza a fianco di Bert di idoli della scena indie come Banhart o la stessa Orton che canta ben tre brani, forse avrà procurato a Bert qualche ascoltatore in più, ma il disco non ne beneficia particolarmente. Il CD di demo e brani inediti che completa il secondo cofanetto regala un paio di perle: i duetti fra Jansch e Johnny Marr in “It Don't Bother Me”, classico del repertorio del primo Bert, e una “Cocaine Blues” che assomiglia a “Angie”, altro classico, e , soprattutto, insieme a un altro grande della chitarra acustica, Gordon Giltrap, la rivisitazione di “Chambertin”, immortale brano strumentale di “L.A. Turnaround”. Un cofanetto che rivisita il periodo della seconda giovinezza del musicista di Glasgow e un secondo che si focalizza su un periodo più recente ma non privo di spunti interessanti, fra collaborazioni e, grazie a queste, la riscoperta da parte di un pubblico più giovane. Imperdibili, entrambi, vuoi per il contenuto e vuoi, ancora di più, per la veste editoriale di gran pregio.
Gianluca Dessì
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