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I suonatori di Viggiano, paese lucano di circa 3500 anime dell’alta Val d’Agri, hanno rappresentato a lungo il modello dei musicisti di strada, espressione di una consuetudine di artisti girovaghi il cui repertorio ibrido era costituito dalla fusione di elementi colti e popolari, comprendendo una miscellanea di tarantelle locali e arie d’opera, temi di danza e canzoni napoletane, romanze e musiche devozionali. Nell’organico strumentale viggianese un ruolo significativo è occupato dall’arpa: dal punto di vista morfologico si parla di un’arpa portativa diatonica di piccole dimensioni, costruita nelle botteghe artigiane in loco, e di arpe di foggia più grande dotate di un numero maggiore di corde e munite di pedali. Tanto si è scritto orami dell’arpa di Viggiano e dei viggianesi musicisti itineranti, analizzando fonti iconografiche, figure dei presepi napoletani settecenteschi, scandagliando le cronache e i resoconti sulla musica a Napoli, a Londra, in altre città europee e financo in America, passando in rassegna le liriche che immortalano la figura del musico viggianese. Per di più, le vicende di questa tradizione ‘perduta’ hanno attraversato la stagione più recente della ricerca demo-etno-antropologica e del folk revival in Italia, fino a incrociarsi con i processi di patrimonializzazione dei beni immateriali che interessano le politiche culturali locali. Di recente, l’arpa e la musica dei viggianesi hanno assunto il ruolo di icone di appartenenza, diventando volano di attrazione turistica e risorsa di sviluppo territoriale. Nel paese potentino oltre agli impianti di estrazione del petrolio, oggi c’è una scuola di musica che accoglie chi intende suonare l’arpa. Tant’è che appena entri in Viggiano, ti accoglie la targa: “Città dell’arpa e della musica”.
Qui non intendiamo fornire una rassegna esaustiva degli studi sulla musica viggianese e suoi suonatori, ma segnaliamo le ricerche di Leydi (Roberto Leydi e Febo Guizzi, “Strumenti musicali e tradizioni in Italia,1985), i contributi dei musicisti Vincenzo Izzi e Olindo Linguerri sul suonatore di Moliterno Luigi Milano, classe 1931 (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=k4e8oKAF_T0), quelle di R. C. Cipriano, di Lucio C. Corvino, di Andrea Piazza (già arpista del Canzoniere del Lazio), di Francesco De Melis e Francesco Giannattasio autori di un documento video (“L’arpa di Viggiano”, 1989) che incornicia l’altro suonatore Rocco Rossetti (1926-2004), detto ‘a Tosca’, nativo di Corleto Perticara, allievo di musicisti del primo Novecento Vincenzo Lapenta e Paquale Capobianco. Ancora, c’è l’approfondita rassegna di Giulia Rosa Celeste sul tema (“L’arpa popolare viggianese nelle fonti documentarie”, 1989).
Di particolare rilievo il contributo di Giuseppe Michele Gala (il CD “L’arpa di Viggiano”, 1991), il quale ha il merito di fissare su disco i due già citati musicisti, Rossetti e Milano, ultimi detentori del repertorio viggianese, mentre un’altra registrazione live di Rossetti è opera di Paolo Modugno (è inserita nel CD allegato al volume di Nicola Scaldaferri e Stefano vaja “Nel Paese dei Cupa Cupa”, 2006). Infine, degno di nota il volume di Enzo V. Allegro (“L’arpa perduta”, Argo), esemplare studio antropologico sui musicisti di strada. Sul fronte dei musicisti, oltre a Piazza, di recente ci sono stati l’interesse del noto arpista Vincenzo Zitello e del maestro paraguaiano Lincoln Almada. La ricerca di quest’ultimo si intreccia con il lavoro della materana Giuliana De Donno, il cui tragitto è quello di un’arpista classica, che è passata attraverso lo studio dell’arpa irlandese e sudamericana, prima di approdare al repertorio viggianese. Altra musicista lucana impegnata nella riscoperta dell’arpa di Viggiano è Daniela Ippolito, anch’ella fulminata dalla peculiare storia dei viggianesi. Si deve proprio a Giuliana De Donno il progetto di creazione della Scuola dell’arpa viggianese concepita con l’associazione Gli Amarimai tra il 2007 e il 2008, in una fase di grande fermento locale e di rinnovato riconoscimento della tradizione musicale locale maturato in seno alla società civile locale. Quindi, una scuola nata con un approccio community-based, che ha inteso proporre lo studio e l’approfondimento storico-musicale dell’arpa popolare viggianese attraverso corsi di studi dello strumento, ricerche sul campo, laboratori, convegni, eventi musicali con l’intento di riscoprire e recuperare la grande tradizione arpistica della Val d’Agri, formando nuove generazioni di arpisti, ma anche promuovendo la liuteria in loco dello strumento. In tal senso, centrale anche il metodo di insegnamento elaborato con il maestro Almada e fondato non sullo studio dello spartito musicale, ma su ascolto, apprendimento ed approfondimento (ritmico-armonico-melodico) dei brani della tradizione orale attraverso il suono, il canto e il movimento, nonché sull'acquisizione delle tecniche strumentali e soprattutto sull’arte dell'improvvisazione musicale propria della musica popolare. Come spesso accade in Italia, da nord a sud, rivolgimenti politici locali si ripercuotono sulle politiche culturali territoriali. Per fortuna a Viggiano il progetto culturale di rilanciare la musica per arpa non è naufragato o non ha cambiato del tutto di segno.
Di fatto nel 2009 l’amministrazione comunale viggianese ha assunto il ruolo promotore nella strutturazione della scuola, accentuando l’enfasi sull’aspetto identitario ma rinnovando l’impegno nella diffusione dell’istruzione musicale. Dal gruppo di allievi arpisti già avviati è nato un ensemble impegnato nella pratica musicale centrata sul repertorio di tradizione viggianese. Proprio da questo progetto didattico e di ricerca, oggi sotto la direzione artistica degli arpisti Sara Sìmari e Lincoln Almada, scaturisce il bel disco “Fremer l’arpa ho sentito per via… Canti e danze dalla tradizione viggianese”, inciso per la prestigiosa etichetta Tactus. Si tratta, dunque, di una ricerca volta alla ricostruzione del repertorio musicale di questi mediatori culturali che sono stati gli arpisti viggianesi – in maniera non dissimile dai musicisti rom altri girovaghi europei –, che si avvale di documenti storico-letterari e fonti d’archivio. Si ricostruisce così un corpus vasto e variegato, in cui entrano in contatto tradizione agropastorale e tradizione operistica, musica devozionale con canzoni urbane (dalla tradizione napoletana alla produzione internazionale.
Gli esecutori protagonisti delle ventidue tracce dell’album sono Gloria Birardi, Claudia Flacone, Vincenzo Giannini, Valeria Lofiego, Dafne Nardella, Antonella Pecoraro, Mattia Priore, Caterina Setaro, Francesca Stella, Flora Tedesco, Paola Testa con Andrea Lombardo (tromba e percussioni). L’ensemble si avvale della partecipazione di Caterina Pontrandolfo (voce), Magda Muscia (flauto), Antonio De Paoli (violino) e Sandro Moro (violoncello). Lo stile esecutivo risente di elementi espressivi della musicalità popolare meridionale (il carattere fortemente espressivo dell’esecuzione melodica per mezzo di una dinamica intensiva e di accentazione ritmica) e di elementi dell’armonizzazione colta, mentre il repertorio dà conto dello stile musicale e dell’assortimento di temi e canzoni che caratterizzavano la musica di strada dei viggianesi.
La prassi esecutiva si basa, infatti, sui documenti audio-video degli ultimi due arpaiuoli, capaci di passare da tarantelle tradizionali a brani ‘commerciali’ moderni. Scrive l’arpista Sara Sìmari nella presentazione del CD: «La tecnica prevede un ampio uso dello staccato, arpeggi con rivolti e spesso per terzine e quartine discendenti, accordi a tre o quattro dita arpeggiati brisé o spezzati, e tutti quegli elementi componenti la tecnica di base. Interessante è l’uso dei suoni gravi, dalle semplici note fondamentali agli accordi spezzati, dal basso albertino a brevi scale veloci ed incisivamente scandite con il pollice della mano sinistra. Le alterazioni fisse sono prodotte previa accordatura, per quelle mobili, invece, la mano sinistra sposta il capotasto esercitando una pressione sulla corda contro il legno del modiglione».
L’ensemble della Scuola dell’Arpa Viggianese propone tarantelle di carattere tradizionale (Stiglianese, di Armento, Lucana, Capuanese) e una tarantella napoletana di gusto seicentesco. Un’altra tarantella è frutto del cimento in stile dello stesso Almada. Ci sono poi i repertori da ballo ottocenteschi (polka e valzer), che entrarono nel repertorio viggianese, i brani legati alla pratica devozionale (una pastorale di Natale e i canti mariani). Naturalmente, è presente l’altrettanto variegata cultura delle canzoni napoletane, declinata dai viggianesi secondo la propria cifra artistica (“La carolina”, “Lo cardillo”, “Fenesta ca lucivi”, “Te Voglio bene assaje”). Il programma comprende anche le arie d’opera di Paisiello (“Carciofolà”) e Bellini (“Ah non giunge”) e due brani del napoletano Aldo Bellipanni (“Il Viggianese” e “Il ritorno del Viggianese”): non si tratta di motivi direttamente riconducibili al materiale suonato dai musicisti girovaghi, ma la storia delle due composizioni legittima, in un certo senso, l’inserimento nella scaletta del CD.
Una storia musicale nobile antica di almeno quattro secoli che ritorna, risemantizzata, all’interno delle dinamiche culturali del XXI secolo: la speranza è che il repertorio viggianese diventi di nuovo internazionale, e che gli arpisti di tutto il mondo, oltre a “Brian Boru’s March”, suonino anche il canzoniere lucano per riconsegnare onore al sound dei viggianesi.
Ciro De Rosa
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Basilicata