Baba Sissoko, Nicodemo feat Lilies on Mars - Djelibit (Irma Records, 2016)

“Djelibit” apporta alla ricca discografia di Baba Sissoko una nuova linea, anche se, come ci ha abituati da sempre il polistrumentista maliano, personale e antiretorica. Perché ciò su cui si insiste nelle nove tracce che compongono l’album è l’idea dell’incontro, che si trasfigura dentro composizioni aperte e sovrapposizioni che non guardano a nessuna forma. A nessuna formula. Perché Sissoko guarda proprio lì - chi lo ha seguito fin qui lo sa bene, pur riconoscendone uno stile proprio che tocca tutti i poli della world music - e cioè la sperimentazione e la scomposizione, spesso inquadrate in uno studio attento degli elementi più affascinanti della sua formazione musicale: il ritmo e la melodia vocale. A ben vedere “Djelibit” è proprio ritmo e voce, ma dentro una veste nuova, anche se, in termini generali, non del tutto innovativa. D’altronde è forse più auspicabile la novità in coerenza con la prospettiva di ricerca di un musicista che un’innovazione sfrontata, che rischia di scivolare in un’alternanza di soluzioni appunto incoerenti e anche distorcenti. Per arginare il rischio Sissoko utilizza gli stessi elementi che gli permettono di spingersi un pò più in là. Partendo da Nicodemo, a cui affida la regolamentazione delle misture elettroniche (e non solo) dell’album, e arrivando a Lilies on Mars. Quest’ultimo è un duo vocale di base a Londra, formato da Lisa Masia e Marina Cristofalo, attivo nella scena elettro-pop internazionale con tre album e che può annoverare una una collaborazione con Franco Battiato (nell’album “Il Vuoto” del 2007 e partecipato al tour che ne è seguito). Il risultato di queste sovrapposizioni è interessante oltre che piacevole. Interessante perché l’etnicismo di Sissoko non viene mai meno (“Dje Gnua Gna”), anzi si propone con più forza dentro una narrazione sempre densa di elementi significanti e mai ripetitiva. Piacevole perché la successione dei brani si configura come un racconto più profondo, nel quale ogni passo risuona negli argini di uno scenario musicale più ampio e descrittivo. Questo lo si percepisce nettamente innanzitutto ascoltando l’album e scomponendo, man mano che si comprendono tutti gli agenti coinvolti e il peso che ognuno di questi ha guadagnato dentro il processo compositivo e di produzione, le parti dei suoni sovrapposti. In alcuni casi l’equilibrio che si raggiunge è straordinario (Tarà Tarà”), specie se si assorbe la distorsione che ne è alla base. “Tarà Tarà ci spinge proprio a questo, perché definisce una dimensione sospesa tra un andamento pop e plastico (si riconosce una leggerezza composta che chiama in ballo un pop irriverente e compatto), radicato in una striscia melodica indimenticabile, legata a un immaginario sonoro sicuramente “africano” ma proteso in un nuovo spazio. Il radicamento africano è uno dei puntelli che stringe l’intero flusso musicale, ma Sissoko ha voluto scoprirne alcune delle prospettive implicite. Come dicevo prima puntando sul ritmo e sulle melodie della sua voce sopratutto. Alla fine della scaletta arriva anche qualcosa di meno straniante (“I Yele I Yele”). Ma non arriva a suggerire una specie di sosta nello spazio meno mistico della world music tradizionale. Al contrario, credo che si possa dire che alzi il tiro. Perché potrebbe rappresentare il segnale di una direzione che seguirà quella attuale: gli strumenti sono di meno, la voce è più presente, le corde si intrecciano in un contesto acido e rarefatto, la melodia è più “tradizionalmente” circolare. Ma il suono non è scontato e va ancora più a fondo, alimentando ancora di più (se possibile) la distanza con un espressionismo docile e rassicurante. 


Daniele Cestellini

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