Demdike, MACRO, Roma, 24 novembre 2016

Avete presente quella pubblicitร  di un noto brandy dove, durante una festa piuttosto scialba, un famoso dj francese fa cadere del ghiaccio sul vinile e “scratchando” (involontariamente?) nel tentativo di raccogliere il cubetto, trasforma radicalmente il party? Bene, questo spot potrebbe rappresentare perfettamente l’aspettativa comune quando la cosiddetta “musica colta” o “accademica” incontra l’elettronica. “Ginc Remix”, titolo dell’appuntamento dello scorso 24 novembre nell’ambito del 53° Festival di Nuova Consonanza si prestava molto bene a questa ingannevole lettura. L’incontro fra le registrazioni inedite (datate 1980 e 1984) del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza e il duo inglese Demdike Stare, perรฒ, ha seguito tutt’altro copione. Il Ginc, fondato nel 1964 da Franco Evangelisti, รจ passato alla storia come primo e (allora unico) collettivo sperimentale di compositori-esecutori. Non solo il ruolo di ciascun musicista non era definito, ma si avvalevano di strumenti “preparati”, oppure suonati in maniera non convenzionale, oltre a ricorrere a tutte le soluzioni elettroniche dell’epoca: alterazioni, manipolazioni, creazione di suoni ex novo. La parola d’ordine era improvvisazione. La grande dote di questa musica, giร  all’epoca per certi versi troppo libera, รจ quella di aver inaspettatamente prodotto oggi un’appassionata riscoperta da parte del pubblico dei giovani. Gli stessi Sean Canty e Miles Whittaker, dj e produttore artefici di una miscela arcana di dub, techno, psichedelia, drone e ambient, ammettono candidamente di essere ammiratori della formazione di Evangelisti e di possedere tutti i loro dischi. 
La loro operazione nella serata romana diventa cosรฌ non un semplice riordinare le componenti dei brani in un altro modo, ma riscrivere, remixare inteso come dare una nuova codifica a un brano. Sicuramente il lavoro diventa piรน facile quando il materiale di base possiede giร  una sua carica propulsiva imprevedibile e innovativa, come gran parte della produzione del Ginc. Al pubblico in sala รจ richiesto di abbandonarsi alle suggestioni e sensazioni sonore piuttosto che a un ascolto razionale e ragionato. Tutto รจ dominato da un battito cardiaco potente e struggente, con l’effetto di fruscio del vinile che si sostituisce al regolare tintinnio dell’elettrocardiogramma. L’inizio della performance sembra una registrazione di Steven Feld nella foresta della Papua Nuova Guinea, in realtร  di naturale non c’รจ nulla, si tratta invece di voci elettroniche risvegliate dai due stregoni di Burley. Dopo almeno una ventina di minuti d’inquieto rapimento piรน che di ascolto, spostando lo sguardo sulle persone intorno, nella singolare cornice della piattaforma rossa sospesa del Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO), si ha quasi l’impressione di essere in un film di David Lynch. Un ritmo quasi tribale e sonoritร  distorte avvolgono l’intero uditorio, filtra solamente, come proveniente dal fondo di un pozzo, il suono di un pianoforte. รˆ pura illusione. La sensazione di familiare rifugio che il pianoforte poteva rappresentare scompare quando questi viene riassorbito perdendosi in un’allucinazione elettronica. Sui volti dei presenti serpeggia l’irrefrenabile curiositร  di sapere che cosa stanno pensando i maestri e reduci del Ginc, Ennio Morricone, Alessandro Sbordoni, Giovanni Piazza, Giancarlo Schiaffini presenti in sala. I pareri saranno inevitabilmente discordanti e forse anche piuttosto perplessi, difronte a questa improvvisazione sull’improvvisazione, al remix di libertร  creativa passata. O piรน semplicemente davanti ad un’affascinante seconda vita musicale. 

Guido De Rosa

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