La Cantiga De La Serena – La Serena (Workin' Label/I.R.D., 2016)

La Cantigas de la Serena è un trio, di base in Puglia, nato nel 2008 con l’intento di recuperare, rielaborare e riproporre la musica antica del bacino del Mediterraneo, unendo strumenti tradizionali e classici a momenti di improvvisazione. Il loro esordio discografico “La Serena” è un bel disco dedicato in massima parte alla musica degli ebrei sefarditi, cacciati dalla penisola iberica (“Sefaràd”, appunto, in ebraico) dopo la cossidetta “reconquista”, alla fine del quindicesimo secolo. La diaspora sefardita si è diretta verso Italia, Grecia, Balcani, Turchia e persino Nord-Africa. Nella migrazione, le popolazioni hanno connotato le proprie espressioni musicali contaminandole con la cultura musicale locale; ecco spiegato l’uso di strumenti musicali propri della cultura araba come ûd e tamburi a cornice e a calice, di strutture modali che si rifanno ai maqam e di tempi asimmetrici. “La Serena” è un lavoro sobrio negli arrangiamenti, ma entusiasmante, ben suonato, e, soprattutto cantato benissimo da Fabrizio Piepoli, già cantante dei Radicanto e, senza dubbio, una delle migliori voci del panorama italiano. La parte strumentale è affidata ai flauti di Giorgia Santoro, protagonista assoluta nei due strumentali ed eccellente nelle parti improvvisative, alle corde (ûd e cittern in particolare) del bravissimo Adolfo La Volpe, anche lui membro dei Radicanto, e ai tamburi a cornice dello stesso Piepoli (che suona anche il santur), spesso rinforzati dal riqq di Roberto Chiga dei Kalàscima. Siamo lontani insomma dall’affollamento sonoro a volte quasi irritante di progetti come come “Amàn Amàn” de L'Ham de Foc, (comparare la loro versione di “Si Verias” con quella del trio per comprendere quello che dico) o dalla veste pop di arrangiamenti come quelli del disco “Flamenco Judaico” di Timna Brauer, eppure la sensazione è che all’impianto sonoro del trio non manchi veramente niente, che suoni perfetto già così. Il repertorio comprende alcuni classici (la title-track, conosciuta anche come “Si la Mar era de Leche”, o le bellissime “Hija mi Querida” e “Asentada in mi Ventana”, già sentite nelle versioni di Françoise Atlan e Yasmine Levy) e alcune sorprese come la già citata “Si Verias”, che suggerisce come la migrazione dei sefarditi verso l’Est-Europa (Sarajevo era denominata “la Gerusalemme dei Balcani”) abbia favorito l’assorbimento anche di comportamenti musicali (es. l’uso dei tempi dispari) tipici della zona, e i due brani non sefarditi: l’evocativa “Reis Glorios, Verais Lum e Clartatz”, canzone del trovatore provenzale Giraut de Bornell (1160 ca.), emozionante nella resa vocale e essenziale nel tappeto strumentale affidato al bouzouki, all’harmonium e a un flauto basso, e la finale “A Madre Do Que a Bestia”, facente parte del corpus delle Cantigas di Santa Maria di Alfonso “El sabio”. Il repertorio è affrontato con idee chiare e perizia, tanto da non poter muovere nessun tipo di osservazione all'esecuzione e, tantomeno, agli arrangiamenti: un disco maturo, appassionato e consapevole. Il lavoro è pubblicato dalla Workin, giovane label leccese, già titolare di un catalogo importante fra jazz, “etno-world” e songwriting. 


Gianluca Dessì

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