JNC James Senese & Napoli Centrale – ‘O Sanghe (Ala Bianca/Warner Music, 2016)

Nel disco dal vivo “Passione Tour – Live in Naples”, oltre alla bella versione del classico dei Napoli Centrale “Campagna” contiene una vera gemma. E’ la rilettura di James Senese di “Passione” di Libero Bovio, Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente, nella quale presente e passato sembrano incontrarsi, tradizione e rivoluzione diventano un tutt’uno nella sua voce increspata ed intensa, ma soprattutto nella struggente coda strumentale dove giganteggia il suo sax. James Senese, nell’arco di cinquant’anni di carriera, ha rappresentato tutto questo, essendo l’anello di congiunzione tra la tradizione napoletana e la sperimentazione jazz rock del Neapolitan Power di cui è stato l’indiscusso caposcuola con i suoi Napoli Centrale. Nella sua biografia “Je sto ccà” di Carmine Aymone pubblicata da Guida editore, c’è un passaggio illuminante in questo senso: “Io sono nato nero e sono nato a Miano, suono il sax tenore e soprano, lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx, studio John Coltrane dalla mattina alla sera, sono innamorato di Miles Davis, dei Weather Report e in più io ho sempre creato istintivamente, cercando di trovare un mio personale linguaggio, non copiando mai da nessuno…il mio sax porta le cicatrici della gioia e del dolore della vita”. Dai primi successi con gli Showmen di Mario Musella alla fine degli anni Sessanta, passando per gli straordinari dischi con Napoli Centrale dei Settanta fino a giungere ai lavori più recenti, James Senese ha ci ha raccontato in modo unico la sua città attraverso le note del suo sax. Lo intervistiamo raggiungendolo al telefono, qualche a pochi giorni di distanza dalla vittoria della Targa Tenco per il miglior album in dialetto con il suo ultimo album “’O Sanghe”. Come se ci conoscessimo da tempo, il sassofonista risponde alle mie domande con grande disponibilità, ora con poche parole, ora come un fiume in piena, nel ripercorrere alcune tappe della sua carriera. La trascrizione non rende giustizia al nostro dialogo, perché è difficile rendere a parole la passione con la quale si racconta a cuore aperto, rigorosamente in napoletano.

Ci puoi raccontare come è nato il nuovo album “’O Sanghe”?
Io suono e compongo in ogni momento, ogni nota che esce dal mio sax nasce da un sentimento molto forte del quale non posso fare a meno. Suonare per me è la vita. Ho cominciato a lavorare a questo disco due anni fa, e volevo raccontare quello che ci circonda nel mondo, quello che vediamo in televisione e nelle nostre città. Sembra tutto un film, mi capisci? Le guerre di religione che fanno milioni di morti, il dramma dell’immigrazione e quello di chi va all’estero per cercare lavoro, le donne che vengono uccise per motivi futili. Abbiamo perso ogni capacità di provare sentimenti. 

Come mai hai scelto questo titolo molto forte?
Ho scelto “’O Sanghe”, il sangue, come titolo perché volevo che si avesse subito di fronte un’immagine forte, estrema. Il sangue rappresenta la vita, il nostro DNA, ma allo stesso tempo è anche l’immagine della disperazione che avvolge la vita di tutti. E’ il sangue del popolo napoletano e di tutti quelli della terra, dei gli ultimi, dei povericristi che stanno in mezzo alla strada senza lavoro. Io non credo nella Chiesa e nella politica, ma so che c’è qualcosa di meglio dopo perché qua stamm troppo nguaiat. Tutto quello che abbiamo fatto non è servito a niente, stamm’ punt e a capo. Così cerco di pregare con il mio sax, e alla fine posso dire che in questo disco c’è anche la speranza che il mondo possa cambiare.  Le canzoni di questo disco sono una specie di preghiere, cerco di mettermi in comunicazione diretta con Dio. A Lui mi rivolgo per chiedergli: tu che l’è fatt stu munn, pecché è tutt’accussì sbagliato? Il miracolo che chiedo a Dio è che ci faccia capire che siamo sulla strada sbagliata. Abbiamo sbagliato tutto, abbiamo perso l’anima.  

In questo nuovo disco ritroviamo Napoli Centrale in formazione allargata, con la presenza alla batteria e in veste di autore di Franco Del Prete…
Questo disco sarebbe dovuto uscire solo a mio nome, ma in realtà è sempre la stessa cosa che venga pubblicato a nome di James Senese o a nome di Napoli Centrale. Questo gruppo è nato con me e Franco Del Prete, e in qualche modo li ho sempre voluti con me. All’epoca degli Showmen eravamo si può dire dilettanti che suonavano la musica americana, ma io sentivo che volevo andare da un’altra parte. Con Franco Del Prete facemmo i Napoli Centrale, il primo Lp fu un successo con “Campagna”. Avevo trovato quel qualcosa in più che con Mario e gli Showmen non avevo: la sperimentazione. La prima volta che ho composto un brano è stata una rivelazione, mi ha dato lucidità, ma avvenne tutto in modo molto naturale. Io ho fatto fino alla quinta elementare ma ho sempre studiato. A dodici anni sentii per la prima volta in un jukebox il suono del sax, non sapevo cosa fosse e andai subito a chiedere in giro. Poco tempo dopo, mi comprai il mio primo sassofono. In tanti anni mi sono sempre fatto un mazzo tanto per cercare quel suono che avevo nel sangue, nella pelle, non volevo copiare gli americani ma volevo cantare in napoletano. I Napoli Centrale sono un gruppo di avanguardia, e nelle mie composizioni vedo sempre oltre quello che ci circonda. Noi siamo abbiamo aperto la strada al Neapolitan Power, ma anche ai gruppi italiani del Nord Italia. In questi anni non ho mai smesso di cercare, di andare sempre oltre, sono rimasto quello che ero sempre. Con questo nuovo disco ho voluto far rivivere Napoli Centrale come è stata sempre e ritrovare Franco Del Prete è stata una cosa naturale perché è un fratello.

Questo nuovo disco arriva a quasi due anni dalla morte di Pino Daniele. Quanto ti manca?
Mi manca assai. Eravamo due fratelli, avevamo molti segreti in comune. Io Pino l’ho cresciuto perché ha suonato per due anni con Napoli Centrale, gli ho trasmesso tutta la mia esperienza, la mia vita. In tanti anni è stato sempre un amico sincero, ci chiamavamo sette, otto volte al mese per raccontarci le nostre storie, le nostre paure, proprio come due fratelli.

Tornando al disco. In apertura troviamo “Bon Voyage”, un brano dal testo molto attuale…
In questa canzone c’è quello che vediamo in ogni momento, che è sotto ai nostri occhi, c’è quello che abbiamo fatto nel passato e che oggi ritora in modo diverso. “Bon Voyage” racconta di chi lascia la propria terra per andare a cercare lavoro e fortuna lontano, e poi se ne pente amaramente. L’emigrazione è attuale oggi in Italia come lo era ieri, ma in questo brano potrebbe esserci anche la storia di chi viene in Italia per cercare un futuro migliore. Nessuno vorrebbe mai abbandonare la propria famiglia, la propria terra, il posto in cui è nato, ma bisogna farlo.

Prima parlavi di un mondo ormai senza sentimento, questo tema caratterizza “Addo' se va”...
Dove andiamo, con una società che chiude gli occhi di fronte ai problemi. La sensazione è che anche la speranza sia morte. Dove si va? Qual è il futuro che ci aspetta?

“Povero munno” nasce dalla collaborazione con Enzo Gragnaniello…
E’ un bel brano. Come Pino, anche Enzo è un fratello per me. Lui è venuto a casa a farmi ascoltare alcuni brani. A colpirmi fu proprio questa e gli ho chiesto di regalarmela per questo disco. Questa è un po’ una novità, visto che è la prima volta che prendo un brano di un altro artista. 

Dal punto di vista sonoro come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Credo che il mio suono sia molto attuale, anzi ti dirò di più credo di essere avanti anni luce. Io sono sulla scena da quarant’anni e in poche parole il mio suono è unico da sempre perché non copio nessuno. Il suono di Napoli Centrale nasce dalla mia vita, dal mio vissuto. Io sono figlio di padre americano e madre napoletana, da questo connubio è nata la mia unicità.

Dal testo alla musica, cosa dici con il sax che non riesci esprimere a parole?
Il sax è l’estensione della mia anima, di quello che tengo dentro. Non c’è separazione tra la musica e il testo, è un tutt’uno nella mia visione: come suono, così scrivo. Le mie canzoni nascono in modo naturale, quando comincio a scrivere non so nemmeno dove vado a finire, poi mi rendo conto che è nato qualcosa di bello. Mi commuovo quando sento questa cosa. E’ come se ci fosse dentro di me qualcosa che mi dice che devo suonare in un certo modo.  Quando hai una sensazione dentro devi fare in modo di trovare il modo giusto per comunicarlo, devi far uscire il suono che ti porti dentro. Questa è la sensazione più bella che si possa avere, fa parte del mio modo di essere. Io song accussì. E’ il mio modo di essere che da quarant’anni è vincente. Mi entusiasma continuare a cercare, anche se oggi navigo nell’oro, il mio camino prosegue sempre.

Hai appena vinto con “’O Sanghe” la Targa Tenco per il miglior disco in dialetto. Come si ci sente a ricevere un riconoscimento così importante a settant’anni? 
Ho ricevuto tanti premi, nella mia carriera, ma so che questo è molto più importante degli altri. Io però non sono abituato ad atteggiarmi, sono una persona vera. Quello che mi viene dato, quello mi spetta, in ogni caso meglio tardi che mai. La cosa bella è che questo disco è arrivato dove altri lavori non erano riusciti e non so nemmeno perché, ma di una cosa sono certo è un lavoro sincero, forte, nel quale c’è tutto quello che sento.

Questo disco e soprattutto questo successo arrivano in un momento di grande fermento creativo per la scena musicale di Napoli…
Napoli è una città molto particolare, lo sai bene. E’ piena di sentimento, e da qua sono nati tanti musicisti di talento, di cui Napoli Centrale può essere considerata la caposcuola. A Napoli non ci fermiamo mai, c’è sempre voglia di andare oltre. Sono contento che con me siano arrivati in finale anche gli Almamegretta e Daniele Sepe, così come mi fa piacere che ci sia questa bella generazione di giovani che fanno musica, e sono consapevoli del fatto che Napoli Centrale ha fatto la storia della musica a Napoli. Io mi sento un po’ come il loro fratello maggiore, diciamo.

Hai portato in tour il disco durante tutta l’estate e proseguirai anche in inverno. Com’è stata la risposta del pubblico.
I concerti sono molto belli ed efficaci perché gran parte del pubblico resta incantata per quello che ascolta, finalmente stanno capendo il sentimento forte che ha James e Napoli Centrale. Questo l’ho trovato in ogni contesto dal grande teatro alla festa di piazza.

Parlando di concerti. Come è andata l’avventura con il tour di “Passione” dal quale avete tratto anche uno splendido disco dal vivo?
Passione ha rappresentato un grande ritorno alla cultura napoletana, è stata una cosa importante. Non ci dimentichiamo, però, che io sono uno di quelli che hanno vissuto e fatto quella cultura. Il fatto è che io ho già sperimentato tutto, e dunque è difficile che trovi qualcosa che mi entusiasmi più di tanto.



JNC James Senese & Napoli Centrale – ‘O Sanghe (Ala Bianca/Warner Music, 2016)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

A settantuno anni e con alle spalle una discografia che conta oltre venti album, tante collaborazioni di prestigio tra cui quella con l’indimenticato Pino Daniele e una intensa attività live, James Senese non smette di regalarci belle sorprese e quest’anno ha dato alle stampe “’O Sanghe”, disco tra i più belli ed intensi degli ultimi anni, nel quale si conferma artista unico nella scena musicale italiana, per la sua capacità di spostare sempre più avanti il confine della sua ricerca sonora. Il suo percorso artistico ci racconta, infatti, di un musicista in continuo movimento in grado di spaziare dalla fusion al soul, dal funk al jazz rock, fino a toccare il blues e la world music ma con le radici ben salde nella tradizione della sua terra. Questo monumentale background artistico e il successo consolidato, che ne ha fatto una leggenda, non lo hanno mai distratto lasciando immutato il suo desiderio continuo di fare musica, e di raccontare la sofferenza, l’emarginazione, i problemi che affiggono il mondo e la sua Napoli sospesa tra bellezza e contraddizioni profonde. Rispetto ai dischi del passato, la musica di James Senese si è fatta ancora più sofferta, e per certi versi intimista, il ruggito incazzato nero di “Campagna” ha lasciato il posto alla riflessione e a suoni più tenuti. Nel titolo “’O Sanghe” è racchiuso tutto il senso del disco, il sangue raccontato dal sassofonista napoletano è quello di chi lavora, di chi soffre, di chi muore, ma anche di chi vive, resiste e spera dal Medioriente a Napoli in un mondo che ha perso ogni sentimento buono e ogni pietà. Il sax e la voce di James Senese intrecciano la denuncia e la preghiera laica, saldandosi alla perfezione ad un sound unico che mescola soul, jazz, funk e rock. Al suo fianco ci sono i compagni di viaggio di sempre, i Napoli Centrale nella formazione storica che vede protagonisti Ernesto Vitolo (tastiere), Gigi De Rienzo (basso), Fredy Malfi (alla batteria) e il ritorno in veste di autore e batterista di Franco De Prete co-fondatore del gruppo, ai quali per l’occasione si sono aggiunti come ospiti Agostino Marangolo (batteria), Franco Giacoia (chitarra) ed Enzo Gragnaniello (voce). Aperto dal groove lento di “Bon Voyage”, brano che apre uno spaccato sulla disoccupazione giovanile e l’esigenza di lasciare la propria terra per cercare fortuna lontano da essa, il disco è un susseguirsi continuo di belle sorpresa tra esaltanti spaccati sonori e liriche dense di poesia. Così passiamo dalla fusion dei Weather Report che spicca tra le trame di“Addò se va” al soul della splendida “Ch’ Jurnata” fino al soul rock de “Il mondo cambierà” in cui spicca la chitarra di Giacoia. Aperta dallo scat travolgente di James, il funk di “Mille Poesia” ci introduce alla seconda parte del disco dove spicca il potente soul della title-track, e i ritmi in levare di quel gioiello che è “Povero Munno” in cui spicca la partecipazione come autore ed alla voce di Enzo Gragnaniello. Verso il finale arrivano, poi la trascinante “Portame cu'tte”, e ancora il funk che ritorna in “Tutto e nientre”. Il ritmo incalzante di “Addo’vaje” chiude un disco superlativo che promette di restare a lungo tra i nostri ascolti. 


Salvatore Esposito

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