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Va riconosciuto ai Beoga di essersi imposti da subito come una delle band più innovative del panorama tradizionale irlandese, mettendo in fila quattro belle incisioni: “A lovely Madness” (2004), “Mischief” (2007), “The Incident” (2009) e “How to tune a Fish (2011)”. Dopo aver festeggiato i dieci anni di attività con una registrazione dal vivo (“Live at 10. The 10th Anniversary Concert”, CD +DVD, 2013), ora il quintetto della contea di Antrim presenta “Before We Change Our Mind”, nuovo album in studio – il sesto in assoluto –, contenente undici tracce (set strumentali di loro composizione, song e ballate tradizionali o d’autore contemporaneo) per poco meno di cinquanta minuti di musica pensata, ben suonata e decisa nell’impatto comunicativo. I Beoga allineano Eamon Murray (bodhrán e percussioni), Liam Bradley (piano e tastiere), Seán Óg Graham (organetto, chitarra, cori), Damian McKee (organetto) e Niamh Dunne (violino, voce); sono ospiti nel disco Conor McCreanor (contrabbasso e basso elettrico), Stephen McCartney e Rachel Coulter (cori) e l’Arco String Quartet (Clare Hadwen e Kathleen Gillespie al violino, Richard Hadwen alla viola e Nikolin Sokol Koka al violoncello). Il lavoro conferma l’assetto della band, il cui suono trad di disposizione contemporanea si avvale di una notevole confidenza compositiva e strumentale. Concorrono a fare del quintetto una delle formazioni di punta dell’Irish traditional music la combinazione di due organetti diatonici, i fraseggi puliti del violino, la ritmica sempre puntuale e guizzante, l’inventiva del pianoforte, e, non da ultimo, la bella voce della cantante. “The Homestead Hero” è l’effervescente biglietto da visita, mentre il passo slow di “Eochaid” riluce per le aperture insolite e le sequenze più eteree. Appeal vocale e arrangiamento di spessore per la prima ballata del programma, che è il tradizionale “The Bonny Ship, The Diamond”.
Gli strumentali “Aurora”, uno slip jig che porta la firma di Seán Óg Graham, e il set di rigogliosi reel, intitolato “The Convict”, sono fulgidi dimostrazioni della cifra strumentale della band, sempre abile nel tessere tele dai variegati ornamenti e spargere venature bluesy e swing. La successiva song brilla ancora per l’arrangiamento, ma anche per il lirismo interpretativo di Niamh Dunne: si tratta di “Farewell to Carlingford”, proveniente dal repertorio di Tommy Makem. Invece, “Jump the Broom” è una pagina più delicata, che si muove a tempo di slow waltz, e si distingue per il notevole interplay tra chitarra acustica, organetto, piano e violino; lo stesso clima carezzevole aleggia nella ballata “Like a Dime”, firmata da Eamon O’Leary”. La band si produce nel meglio del proprio eloquio strumentale con la title-track, che è un medley di tre straripanti e disinvolti temi da danza. Poi, ecco il cambio repentino, con la sola voce di Niamh a illuminare con il suo canto a cappella “Wexford Town”, canzone portata alla notorietà dal traveller Pecker Dunne. In “Valhalla” chitarra e organetto conducono la prima parte, che è lo slip jig “Nancy’s letterbox”; poi entra il piano a fare da collante per la combinazione degli altri strumenti nello sviluppo della seconda parte (“Valhalla”) e fino all’elegante scioglimento finale. I Beoga non hanno riposato sugli allori, molto più di un insieme di brillanti strumentisti, sono autori di ottima levatura, capaci di libertà e controllo, sanno ben amalgamare gli ingredienti del loro sound e – non dimentichiamolo – si dimostrano anche eccellenti dominatori del palco. Info su www.beogamusic.com
Ciro De Rosa
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