Complice un viaggio compiuto a Tamanrasset, nel Sud dell’Algeria, proprio nel cuore del Sahara, Idir Aït Dahmane (voce, chitarra, mandola), cantautore e poeta di origine berbera, entrò in contatto con il polistrumentista francese Olivier Crespel (voce, chitarra, basso e percussioni), e dopo bene cinque ore e mezza di jam strumentale, nacque l’idea di dare vita ad un progetto musicale insieme. Una volta tornati a Bruxelles, il duo allargò l’invito al percussionista algerino Mourad Mouheb, il quale non si fece pregare troppo per aggiungere le sue poliritmie calibe al duo, dando vita così al trio acustico Idirad, con l’intento di rileggere la tradizione musicale Amazigh. La fortunata alchimia sonora, ma ancor di più l’amicizia e i tanti concerti messi insieme negli anni hanno rappresentato le marce in più per questo progetto musicale, il quale ha di recente trovato la sua più compiuta cristallizzazione discografica in “Zik”. Composto da nove brani originali, il disco nel suo insieme compone l’itinerario di un viaggio tra presente, passato e futuro che parte dal Mediterraneo e tocca il Nord Africa per raggiungere poi il profondo Sahara. Durante l’ascolto a colpire è la combinazione perfetta di tra la creatività dello slam francese, le esplosioni del rock, le melodie ipnotiche dei Tuareg e della gnawa marocchina e il folk della regione di Kabylia (Algeria”. A spiccare sono così brani come la struggente “Rose du Désert”, un canto sull’importanza delle donne e delle madri nel passaggio ancestrale tra generazioni differenti, la splendida “Amidini” ispirata al viaggio a Tamanrasset da cui partì l’avventura del trio, ma soprattutto le conclusive “Wiza” e “Soleil” che rappresentano, senza dubbio, il vertice di tutto il disco, con quest’ultima che si rifà addirittura al culto solare dei Faraoni Egizi, evocandone le danze nel suo ritmo ipnotico.
Salvatore Esposito
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