Il corto circuito immaginario e cromatico generato dal soffitto decorato del Massimo partenopeo, che incontra le luci e le ombre proiettate dalle animazioni di Alessandro Rak e gli spot da set rock, è una delle chiavi di lettura dell’elettrizzante nottata in cui il rock-blues a tinte napoletane dei Foja ci ha fatto pensare a una Napoli ancora capitale della musica. Dove le anime artistiche dialogano e nessuno è escluso dai luoghi sacri della cultura che un tempo si diceva ‘alta’. Nel dirlo, non neghiamo le difficoltà del fare musica a Napoli né le opportunità culturali negate alla Napoli delle periferie, neppure sappiamo se in questa nottata speciale è iniziata “Na Storia Nova”, come cantano i Foja. Tuttavia, è evidente che al San Carlo non c’è stata l’autocelebrazione di una parte di città che si guarda l’ombelico. Franco Dragone, direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia, ha voluto un evento site-specific molto speciale (Keith Jarrett o il Ligabue acustico, che pure hanno calcato in passato quel palcoscenico, appartengono a note di prestigio il primo, al mainstream pop il secondo: non sono riff chitarristici e ugole da folk&rock newpolitani). Al San Carlo ha preso forma un evento non comune, che ha portato i Foja sul palco e tra il pubblico una fetta di ‘absolute beginners’ che non si erano mai accomodati in platea o nei cinque ordini di palchi del più antico teatro d’opera d’Europa.
Così Dragone, nella sua breve introduzione allo spettacolo, dal palco ha chiesto al pubblico che entrava al San Carlo per la prima volta di alzare la mano e ha immortalato le diverse centinaia di braccia alzate con uno scatto. Un San Carlo pieno di giovani: fosse sempre così, oggi per vedere i Foja e domani per ascoltare Shostakowich. Di strada ne ha fatta tanta, il quintetto guidato da Dario Sansone (voce e chitarra), con Ennio Frongillo (chitarra elettrica), Luigi Scialdone (chitarre, mandolino, ukulele), Giuliano Falcone (basso) Giovanni Schiattarella (batteria): dai club e dalla strada a un luogo sacro della musica. «Facce sunà’», dice Dario, interrompendo Dragone in scena; e i Foja attaccano proprio le note di “Na storia nova”. Fabio Renzulli (armonica a bocca e tromba) soffia venature blues, la batteria di Schiattarella e le percussioni e i tamburi a cornice di Emidio Ausiello ci danno dentro, la chitarra di Scaldone è tirata su un rock verace, con “Cose e pazze” il pubblico inizia a battere le mani. “Marzo adda passa’ è segno delle speranze di riscatto della città intera: è proprio “’nata” storia stasera, ma è sempre grande musica. La band allargata (Renzulli e Ausiello), le immagini di Alessandro Rak sullo sfondo scandiscono il concerto, articolato in quattro movimenti “sinfonici”: il desiderio dell’individuo di condividere la propria esistenza confusa e solitaria, l’incontro con l’amore, il ritorno alla solitudine, la rinascita e l’amore senza tempo.
La tromba apre la ballata sui soprusi visibili e oscuri di “Tu me accire”, che il pubblico accompagna cantando. Una chitarra blues prima e poi a tinte rock psichedeliche e una tromba per “A ballata do diavolo”, che accoglie le coreografie degli ImmaginAria (due i loro interventi nel corso del concerto). Pino Daniele e la canzone napoletana, Carosone e i Pearl Jam, l’indie folk e la melopea del Golfo: ma che importano formule, etichette e richiami artistici? Questa è espressione della Napoli di oggi, che non dimentica il passato e che anche nel tempio della lirica «si sente a casa». Così, “Che m’he fatto” è il canto-cover-tributo dei nipotini che omaggiano gli indimenticabili The Showmen. Seguono “Da quale parte staje”, la tiratissima “Da sule nun se vence maje”. Niente paura: non c’è pericolo per gli stucchi, come temevano i tecnici «perché stanno dalla parta nosta», rassicura Dario. Parte lenta, adagiata sulle corde della chitarra acustica e del basso “Dimme ca è overo”, per poi assumere una fisionomia più aggressiva. Dopo “Se po’ sbaglia’”, arriva quello che è stato il primo singolo dei Foja, “‘O sciore e ‘o viento”, portato al successo anche dal videoclip di animazione firmato Alessandro Rak. Il teatro si trasforma in un giardino di petali di carta piovuti dal… cielo. Altra sorpresa scenografica e interattiva sono le lucine arancioni che Sansone invita il pubblico a cercare sotto poltrone e sedie. Il teatro si illumina su “Nun è ccosa”, uno dei quattro inediti della nottata (Lo spettacolo è iniziato alle 23.15 e finirà dopo un’ora e mezza).
Sansone indossa un tricorno, si fa nostromo e saluta Capitan Capitone (alias Daniele Sepe) in platea – uno degli artefici di quell’altro grande evento per la cultura musicale napoletana che è stato il suo CD con i fratelli della Costa (e se quello del sassofonista Capitone diventasse una futura performance speciale creata proprio per il San Carlo?) –, e poi sulle corde di un mandolino si snoda “Maletiempo”, la splendida ballata marina dagli echi blues & western. Altri hit sono, naturalmente, “‘A malia” (che ricordiamo arrivata, ancora grazie a Rak, al David di Donatello come colonna sonora de “L’Arte della felicità”) e “Donna Maria”, scorcio di una storia d’amore, d’attesa e di solitudine, ambientata nei vicoli napoletani in cui è inevitabile non andare con la dolce memoria alla danielana “Donna Concetta”. La scaletta non può che chiudersi con “Cagnasse tutto”, ”l’inedita rock ballad che dà il titolo allo spettacolo. Tutto finito? No. C’è tempo per due nuovi brani, “Tutt’e duje” e “A chi appartieni”, dalla colonna sonora del film d’animazione, made in Napoli, della “Gatta Cenerentola” (firmato, come registi, da Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone e Alessandro Rak), le cui immagini in anteprima scorrono sullo schermo. Concerto sold-out, entusiasmo nel parterre di celebrità, nei palchi e nelle balconate; è una sfida vinta, Napule è… una nuttata di malìa con i Foja, da ricordare.
Ciro De Rosa
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