BF-CHOICHE
Apprezzati da Francesco De Gregori che li ha voluti al suo fianco all’Arena di Verona per il quarantesimo anniversario della pubblicazione di “Rimmel”, L’Orage si è segnalata negli ultimi anni per il suo originale sound che coniuga la canzone d’autore italiana con un travolgente sound che affonda le sue radici nella musica tradizionale dell’arco alpino occidentale. Composta da Alberto Visconti (voce, chitarra classica), Rémy Boniface (violino, organetto diatonico, ghironda, mandolino, voce), Vincent Boniface (organetto diatonico, cornamuse, sax tenore, clarinetto, organo, bansuri, low whistle, voce), Matteo 'Memo' Crestani (chitarra elettrica, chitarra acustica, mandolino, charango, dobro), Florian Bua (batteria) e Marc Magliano (basso elettrico), la band valdostana ha debuttato nel 2010 con “Come una festa”, a cui è seguito due anni più tardi “La Bella Estate” e nel 2013 “L’Età dell’Oro”, che ha fruttato grandi consensi di pubblico e una lunga serie di concerti in tutta Italia. A tre anni di distanza da quest’ultimo, L’Orage torna con il pregevole “Macchina del Tempo” nel quale hanno raccolto nove brani originali e due riletture che cristallizzano in modo eccellente il loro folk-rock delle Montagne. Con il frontman del gruppo Alberto Visconti abbiamo ripercorso la storia del gruppo, per poi soffermarci sul loro ultimo lavoro in studio.
Apprezzati da Francesco De Gregori che li ha voluti al suo fianco all’Arena di Verona per il quarantesimo anniversario della pubblicazione di “Rimmel”, L’Orage si è segnalata negli ultimi anni per il suo originale sound che coniuga la canzone d’autore italiana con un travolgente sound che affonda le sue radici nella musica tradizionale dell’arco alpino occidentale. Composta da Alberto Visconti (voce, chitarra classica), Rémy Boniface (violino, organetto diatonico, ghironda, mandolino, voce), Vincent Boniface (organetto diatonico, cornamuse, sax tenore, clarinetto, organo, bansuri, low whistle, voce), Matteo 'Memo' Crestani (chitarra elettrica, chitarra acustica, mandolino, charango, dobro), Florian Bua (batteria) e Marc Magliano (basso elettrico), la band valdostana ha debuttato nel 2010 con “Come una festa”, a cui è seguito due anni più tardi “La Bella Estate” e nel 2013 “L’Età dell’Oro”, che ha fruttato grandi consensi di pubblico e una lunga serie di concerti in tutta Italia. A tre anni di distanza da quest’ultimo, L’Orage torna con il pregevole “Macchina del Tempo” nel quale hanno raccolto nove brani originali e due riletture che cristallizzano in modo eccellente il loro folk-rock delle Montagne. Con il frontman del gruppo Alberto Visconti abbiamo ripercorso la storia del gruppo, per poi soffermarci sul loro ultimo lavoro in studio.
Partiamo da lontano. Come nasce L’Orage?
L'Orage nasce, in embrione, nel 2006, quando il sottoscritto, Alberto Visconti, cantautore innamorato di Bob Dylan e Leonard Cohen, incontra Rémy Boniface, violinista di estrazione trad. E’ nata una bella amicizia e sono venuti i primi concerti in un clima caotico e scoppiettante. Dopo un po' ci siamo resi conto che volevamo fare sul serio, trasformarlo in un lavoro. Abbiamo coinvolto Vincent, polistrumentista fratello di Rémy e in breve tempo gli altri musicisti. La prima data "ufficiale" con L'Orage l'abbiamo tenuta all'inizio del 2008 alla Maison Musique di Torino.
Dal punto di vista musicale, le radici del vostro sound sono da rintracciarsi nell’intreccio tra la musica tradizionale e più in generale le sonorità world e irish con il rock. Quanto è stato importante il contributo dei vari componenti del gruppo?
Dal nostro punto di vista L'Orage ha tre principali radici: la musica folk, il trad delle alpi occidentali e quello europeo, il folk inteso anche come Bal Folk, il Trad dei Djal, dei Malicorne e dei Fairport Conventio. Questa influenza viene portata al gruppo, in una fase iniziale, dai fratelli Boniface, che nel mondo del Trad sono cresciuti, e dal percussionista Ricky Murray. Memo Crestani il chitarrista e Rémy e Vincent, contemporaneamente alla nascita del gruppo fecero dei viaggi di approfondimento musicale in Romania e in Grecia. Anche quelle influenze hanno contribuito alla definizione del sound de L'Orage. Una seconda radice è sicuramente quella più rock... Siamo tutti fans di Queen, Beatles, Stones ecc... Dal punto di vista "Rock" una menzione particolare va fatta al nostro batterista Florian Bua.
Sul versante della canzone d’autore, invece, quali sono i vostri riferimenti?
La terza "radice" è quella che ci porta alla grande storia della canzone d'autore. Qualche nome? I già citati Leonard Cohen e Bob Dylan sicuramente. George Brassens da una canzone del quale prendiamo il nostro nome. Silvio Rodriguez, Donovan, Brel, Serge Gainsbourg (la grande passione del nostro bassista Marc Magliano), Hubért Félix Thiéffaine, Guccini, De André, Rino Gaetano, Lucio Dalla, I Violent Femmes, Louise Attaque, Noir Désir, questi sono un po' di nomi di gente che ci ha nutrito e che volentieri suoniamo ancora dopo cena o in prova. La verità è, però, che le "influenze" hanno un peso determinante quando sei molto giovane. Una volta iniziato il percorso ti attacchi con le unghie coi denti alla tua musica, al tuo mondo e cerchi di elaborare quello nel migliore dei modi. Non capita mai, in sala prove, di sentire qualcuno di noi che dice "Cerchiamo di fare una cosa che suoni come... quel disco dei Fairport". La nostra conoscenza e le nostre influenze sono oramai parecchio stratificate e mischiate, badiamo solo al risultato!
Generalmente io mi presento con una canzone, o con un abbozzo di canzone (qualche parola e una griglia di accordi) e cominciamo a lavorarci insieme in sala prove. Il processo può essere molto lungo e possiamo intraprendere un sacco di strade che poi decidiamo di non percorrere, siamo diventati dei buoni editor di noi stessi. Ad ogni modo cerchiamo un sound e un'identità sonora riconoscibili per ogni pezzo e lavoriamo con cura tutti i suoi aspetti, dalla scelta degli strumenti solisti alla tessitura della parte ritmica, cassa e basso, agli incastri delle parti di chitarra. Quando il sound e la struttura sono a posto passo alla stesura definitiva del testo, per la quale, invece, ho bisogno del massimo isolamento. Una volta finito i testi mi ripresento in sala prove, le canto, e siamo pronti per andare a registrare! Quanto al discorso ispirazione... beh fratello, lo sai... la risposta soffia nel vento!
Dal vostro disco di debutto “Come una festa” allo splendido “La Bella Estate” fino al più recente “La Macchina del Tempo”, come si è evoluta la ricerca sonora del gruppo?
Fin da subito ci siamo ritrovati uniti dall'interesse per lo studio di registrazione e per le tecniche di microfonatura e captazione del suono per il live. In questo senso il nostro suono si è evoluto grazie alla collaborazione, fin dall'inizio, con ottimi tecnici del suono: Pippo Monaro che ha registrato i nostri primi due dischi, Raffaele Neda D'Anello che ha fatto parte del terzo e infine il grande Gianluca Vaccaro che ha registrato e mixato Macchina del Tempo. Lavorare con un fonico per un musicista è incredibilmente stimolante anche dal versante live. Se il tuo suono cresce dal vivo cresce automaticamente anche in studio, ti si aprono nuove possibilità. Per questo noi siamo fortunatissimi a lavorare costantemente con i nostri due fonici Enrico Fumasoli e Marco Zaffuto.
Quanto è stato importante l’incontro con Francesco De Gregori? Ci potete raccontare questa esperienza?
Abbiamo incontrato Francesco a Musicultura 2012. Noi eravamo il gruppo vincitore, lui il superospite della serata. Mi sono avvicinato timidamente: "Posso stringerle la mano?" e lui "Ma se sei qui siamo colleghi! Dammi del tu". L'Incontro con Francesco è stato un po' il jolly tirato fuori nella nostra carriera perché ha acceso qualche riflettore su di noi. Ma è stato veramente meraviglioso dal punto di vista umano... Hai idea di come possa cambiare il tuo approccio a questo mestiere lavorare due settimane a stretto contatto con il più grande di tutti? Vedere come usa il microfono, a cosa bada di più in prova, come usa la voce? Inoltre Francesco e veramente simpatico!
Avete pubblicato i primi due album come indipendenti e hanno fruttato oltre seimila copie. Un risultato notevolissimo considerando anche i tempi. Quali sono state le difficoltà incontrare e soprattutto quali sono le vostre aspettative per il futuro in seno alla Sony con la quale avete pubblicato “Macchina del Tempo”?
“Macchina del Tempo” è il secondo album che pubblichiamo con la Sony essendo preceduto da "L'Età dell'Oro". Lavorare con una grande e vera casa discografica rende possibile quello che prima avevi sempre e solo sognato: molto semplicemente hai il disco in tutti i negozi e su tutte le piattaforme. Se uno vuole li può ordinare. E' tutto incredibilmente più semplice rispetto ai tempi delle autoproduzioni in cui dovevamo badare noi a ogni singolo intoppo burocratico. Lavorare con la Sony ci permette di concentrarci esclusivamente sulla parte artistica. Molti ci chiedono preoccupati se quelli della Sony cerchino di renderci più "commerciali" e a noi viene da ridere. Abbiamo a che fare con persone coltissime e piacevoli che ci hanno lasciato da subito libertà creativa assoluta. Quanto all'essere commerciali siamo noi che vogliamo esserlo. Non piegandoci alle regole dello showbiz ma convincendo lo showbiz ad accogliere le nostre!
Venendo più direttamente al vostro nuovo album “Macchina del Tempo” che come lascia intendere già il titolo, è una vera e propria macchina del tempo tra passato, presente e futuro, rock e musica tradizionale. Come ha preso vita questo nuovo lavoro?
Per la prima volta ci siamo trovati a scrivere un disco partendo da zero. E' stato stimolante mettersi alla prova in questo modo. Abbiamo cominciato in una saletta allestita per noi in cima alla Valgrisenche, una delle valli più fredde e isolate della Valle d'Aosta e abbiamo finito al Terminal 2 Studio di Roma, dove Gazzé aveva appena finito il suo "Maximilian" e Silvestri si apprestava a cominciare "Acrobati". Tra i due c'è stato "Macchina del Tempo". Volevamo un lavoro maturo, per scrollarci di dosso l'etichetta di esordienti.
Avete finanziato la realizzazione del disco con una campagna di crowdfunding i cui risultati sono stati straordinari. Ci raccontate questa esperienza?
Un mese di lavoro a Roma, quindi in trasferta, per 6 persone costa parecchio. Dovevamo trovare un modo per rientrare delle spese. Abbiamo timidamente cominciato a interessarci al foundrasing... Eravamo un po' scettici. L'Amore della nostra fan-base ci ha fatto rimangiare lo scetticismo. L'Obiettivo era quello di raccogliere 10000 € in quaranta giorni: ne sono arrivati 21.000!!!
Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di arrangiamento del disco? In questo senso, quanto è stato importante il contributo di Erriquez come produttore?
Abbiamo cercato di asciugare il più possibile. Di sottoporci a un editing spietato: sul disco doveva rimanere solo la parte migliore del nostro lavoro. Era necessario avere uno sguardo esterno e autorevole. Qualcuno che potesse dirci "Hey quella parte di chitarra o di tastiera o di voce è assolutamente inutile, toglila!". Erriquez si è rivelato la persona giusta per questo ruolo. Lui è una persona gentilissima e dolcissima, ma quando si tratta di musica salta fuori il George Brassens che è in lui è allora sa esprimere le sue opinioni senza peli sulla lingua. Un balsamo per dei vanitosi come noi!
Il disco si apre con “I Piedi Più Belli del Mondo”, ispirata ad un racconto di Heinrich Böll. Come è nato questo brano?
In "Diario D'Irlanda" di Heinrich Böll c'è questo racconto, "I Piedi più belli del Mondo", che parla di Mary McNamara, la donna della canzone, che vive sola, con quattro figlioli settembrini (perché il marito torna a casa solo a Natale) e che possiede i piedi più belli del mondo. E' un racconto meraviglioso che ho indicato per anni come uno dei più belli che io avessi mai letto senza aver mai pensato di scriverci una canzone malgrado, il racconto stesso dica che i piedi di Mary erano così belli che un giorno o l'altro qualcuno avrebbe dovuto scriverci una ballata. Avevo questa musica un po' Irish che mi ronzava in testa da un po'... poi, l'estate scorsa, una notte guidando in autostrada ho avuto l'idea di mettere insieme le due cose... Ed ecco fatto!
Tra i brani che più mi hanno colpito del disco c’è, senza dubbio, “Giulio Verne”. Cosa ha ispirato questo brano?
Quei due grammi di fama da rock star di provincia accumulati fin qui. E' una canzone che parla della buffa sensazione di essere nel mezzo del turbine, fatto di gioia e dolori, della propria vita e del trovarsi di fronte a qualcuno che invece ha di te un'idea completamente falsata dal fatto che tu sia l'artista, il cantante, il personaggio parla dell'effetto vagamente straniante che mi fa questo tipo d'incontro...
Uno dei brani più pungenti del disco è invece “La Gelosa”. Potete parlarcene?
La “Gelosa” è un brano scritto per fare male. E' una canzone che parla della brutta sensazione che si prova a pensare che la persona che amiamo e con cui ci addormentiamo tutte le sere ci stia raccontando un sacco di bugie. Parla di un determinato tipo di legame che io reputo profondamente sbagliato e della sensazione d'implacabile vertigine che si prova ad esserci nel mezzo.
“Il Temporale” è l'esatto opposto de “La Gelosa”... E' una canzone che parla della fiducia totale in amore, della sensazione di immensa libertà e leggerezza che si prova ad abbattere le proprie difese, le proprie paure per accogliere "L'altro". E' una sensazione sulla lucidità e la calma che ci pervadono una volta che abbiamo capito che noi e la persona che amiamo ci apparteniamo reciprocamente.
Concludendo, come sarà in concerto “Macchina del Tempo”?
Dal vivo Macchina del Tempo sarà una grande festa. Durante il tour di presentazione dell'album che abbiamo tenuto tra gennaio e febbraio abbiamo scoperto che i nostri fans in tutta Italia hanno già imparato a memoria le canzoni dell'album. E' una sensazione meravigliosa vedere tutto il lavoro e la fatica fatti per realizzare questo disco trasformati nei sorrisi delle persone sotto al palco. E' la nostra più grande gratificazione. E prestissimo annunceremo le nuove date...
L’Orage - Macchina del Tempo (Ph.D./Sony Music, 2016)
A tre anni di distanza da quel gioiellino che era “L’Età dell’Oro”, L’Orage torna con “Macchina del Tempo” quarto album in studio, prodotto con Enrico ‘Erriquez’ Greppi, e realizzato attraverso una fortunata campagna di crowdfunding. A differenza degli album precedenti nei quali erano confluite man mano canzoni già ampiamente rodate dal vivo, questo nuovo lavoro ha preso vita da un serrato lavoro di scrittura collettiva, nel ritiro invernale in Valgrisenche, dove la band si è riunita per comporre i nuovi brani, in cui determinante resta comunque il contributo del frontman Alberto Visconti, e dei talentuosi fratelli Remy e Vincent Boniface alle cui sapienti mani è affidata la cura degli arrangiamenti. Quasi fosse una “macchina diacronica”, L’Orage lega nel suo sound il passato della musica tradizionale della Valle D’Aosta ed il bal-folk, il presente della canzone d’autore e le sperimentazioni in chiave rock del futuro, trovando in questo album un equilibrio perfetto con melodie orecchiabili e trascinanti, ma allo stesso tempo caratterizzate da una scrittura elegante ed originale. Registrato in analogico tra il Terminal 2 Studio di Roma e il MeatBeat Studio di Sarre, “Macchina del Tempo” raccoglie nove brani originale e due riletture che si svelano in tutto il loro fascino, durante l’ascolto. Ad aprire il disco è “I piedi più belli del mondo”, ispirata al racconto di Heinrich Boll in “Diario d’Irlanda” e nella quale, sulle ali di un ritornello ad uncino, viene raccontata la bella storia di una donna tenace e coraggiosa che sfida la povertà crescendo i suoi figli nati a settembre e concepiti a Natale, unico momento in cui riabbraccia suo marito, emigrato a Londra per cercare lavoro. Il brillante pop, colorato di folk, di “Giulio Verne” ci conduce nel cuore del disco in cui spiccano il rock di “Non risparmiare energia”, e i due scottish della bella canzone d’amore “Il Temporale” e della pungente “La Gelosa”, alla quale Visconti ha affidato il compito di svelare a tutte le donne i mezzucci, le astuzie e le bugie a cui ricorrono gli uomini nel rapporto di coppia. Se “Skyline”, scritta per l’edizione 2014 dei Piolets d’Or e dedicata a Walter Bonatti, si caratterizza per il bel duetto tra Alberto Visconti e Naif, talentuosa cantante valdostana Naif, la successiva “Le Storie di Ieri” è un omaggio al tanto amato songbook di Francesco De Gregori, già affrontato in passato con la bella versione de “Il Panorama di Betlemme”. Uno dei vertici compositivi del disco arriva con la riflessiva “Com’è come non è”, il cui brillante testo racchiude un divertissement dedicato a Mina, il cui nome ricorre in modo occulto nelle liriche. L’organo di Roberto Procaccini che impreziosisce “Volevo Andarmene” ci conduce verso il finale in cui spiccano la bella riletture de “L’Orage” di George Brassens, e la splendida “Monsieur Thiébat”, dedicata al cantautro e cabarettista Enrico T., amico e collaboratore Trouveur Valdotèn, il gruppo di famiglia dei fratelli Boniface. “Macchina del Tempo” è, dunque, un disco da ascoltare con grande attenzione, non solo per scoprire tutto il talento de L’Orage, ma anche per cogliere la ricchezza musicale e poetica della loro musica.
Tags:
Valle D'Aosta