C’è un luogo speciale nell’alto Salento: San Vito dei Normanni, una cittadina di ventimila abitanti in provincia di Brindisi, nella pianura che scende al mare incastrata tra la valle d’Itria e la provincia di Lecce. Non c’ero mai stato prima dello scorso agosto. Ero stato invitato a partecipare a una discussione sul tarantismo, nell’ambito delle iniziative della residenza artistica intitolata “Coreutica”, organizzata all’ExFadda da Arkhé Danza e da World Music Academy e dedicata alle tarantelle del Mediterraneo. Una settimana di danza, musica e storia della cultura popolare, tra Aragona e Salento. Pensavo fosse una delle solite iniziative che costellano le estati salentine, dove si prova a non sciorinare le consuete quattro banalità sul tarantismo e sulla pizzica. Invece è stata una folgorazione. Mi son ritrovato in un paesaggio umano e culturale che pensavo non esistesse più, ormai irrimediabilmente dissipato dal consumo turistico e pseudo-culturale. Ho scoperto, invece, in quest’occasione una comunità che scruta curiosa nel proprio passato e vuole trasformarlo in un vero patrimonio, in un bene comune da condividere; ho visto adulti e anziani che donano e trasmettono generosamente ai più giovani quello che sanno e hanno vissuto; c’erano ragazzi bramosi e entusiasti che valorizzano e rielaborano le storie, i gesti e i suoni che gli sono stati donati; ho visto tanta gente assiepata ad ascoltare assorta, discutere, e poi, in una masseria sperduta nella campagna circostante, suonare e ballare nella corte in una notte stellata, come si faceva una volta, con una partecipazione viva e consapevole che esprime gratitudine col cuore e diffonde gioia.
San Vito è uno dei luoghi storici, benché ai più sconosciuto, del tarantismo: basti pensare che ancora negli anni Sessanta, in questo paese relativamente piccolo, erano ancora attive tre squadre di musico-terapeuti. Uno di costoro, Lino Sabatelli, ormai novantenne, è tornato a suonare e cantare venerdì scorso, 29 gennaio. Si è esibito nella Pizzica di san Vito, accompagnato da Mario Ancora, colui che ha riscoperto, completato e arrangiato questo brano, divenuto uno dei più noti e amati successi del repertorio della musica popolare salentina. Perché, da ormai trentanove anni, Mario Ancora e i Taricata ritessono tra filologia, reinvenzione e scrittura la tradizione musicale sanvitese, opera a cui dà un contributo essenziale anche il circolo mandolinistico locale. Mentre oggi la World Music Academy, in sinergia con le generazioni precedenti, propone una scuola in cui i giovani (ma non solo) hanno l’opportunità di elaborare quella tradizione, tra riproposta e sperimentazione, grazie all’ausilio di un corpo insegnante d’eccellenza. Da quest’estate, poi, si sviluppa una proficua collaborazione di tutti questi attori locali con Arkhé Danza: i corsi di Manuela Adamo e di Miguel Angel Berna sono non soltanto una palestra per la professionalizzazione della danza popolare, in primis la pizzica, ma anche un volano per la creazione di spettacoli di contaminazione mediterranea e per la proiezione europea del patrimonio coreutico-musicale di questo paese dell’alto Salento.
Ecco una realtà socialmente, culturalmente e musicalmente ricca e articolata, che tuttavia rimane genuina e incorrotta. Essa ha trovato nell’ExFadda uno spazio pubblico ideale d’aggregazione e di promozione socio-culturale, e nell’amministrazione cittadina un sostegno attento e partecipativo, a dispetto delle difficoltà in cui ogni ente locale italiano oggi versa. Grazie a tutto questo, nell’ambito delle celebrazioni nazionali per il cinquantenario della scomparsa di Ernesto de Martino (Ernesto de Martino 50), ci siamo ritrovati il 29 gennaio per un’iniziativa intitolata “Musica, danza e psicopatologia: nuovi scenari oltre de Martino”. Artefici dell’operazione, innazitutto, Lorenzo Caiolo (Taricata) e Vincenzo Gagliani (WMA). L’ExFadda era gremita all’inverosimile: la comunità che avevo scoperto qualche mese prima era lì, ancora più numerosa, più presente, più assorta, occhi e orecchie protese ad ascoltare idee e progetti su quello che è stato definito lo specifico sanvitese nella cultura, nella musica e nella danza popolare del Salento. E sì: perché, come ha ben spiegato Eugenio Imbriani (antropologo), non c’è stato un solo modo di essere tarantati e di celebrare il rituale di guarigione. A San Vito, ad esempio, non era previsto il passaggio dei malati in una cappella consacrata a San Paolo, ma il rito era soltanto domestico; inoltre i tarantati danzavano spesso vicino o addirittura in una tinozza d’acqua. La pizzica di San Vito è detta, non a caso, pizzica d’acqua.
E la danza, la pizzica appunto, a San Vito ha dei passi particolari che la distinguono da altre tradizioni coreutiche del basso Salento, come ha ricordato Manuela Adamo, ballerina e coreografa di Arkhé Danza. Inoltre lo specifico sanvitese – come Alessandro Arcangeli e il sottoscritto hanno segnalato - si addensa, dal punto di vista storico-antropologico, intorno al toponimo stesso, al nome e alla figura di Santu Vitu, un santo la cui agiografia e devozione si articola intorno a una serie di sindromi – il tarantismo, la rabbia idrofoba, il ballo di San Vito – che consentono di ampliare nel tempo e nello spazio la ricerca sulla storia delle diverse forme assunte dalla possessione in Europa (dalla Sicilia al Salento, dalla Franca e dalla Germania meridionale all’Aragona), sulle patologie dell’immaginazione e sulle terapie adottate, siano esse musicali e non. Si disvela così un orizzonte di ricerca e di riflessione che a partire dallo specifico locale si volge al globale, introducendo un’apertura spendibile non solo sul piano degli studi, ma anche su quello operativo delle interazioni con altre culture.
Così se Nandu Popu dei Sud Sound System ha insistito sull’importanza del legame con “le radici ca tieni” e – come gli è tipico - sulla difesa della propria terra, oggi spesso minacciata, e se Vincenzo Gagliani (WMA) e Roberto Covolo (ExFadda) hanno dato il senso di come il lavoro sul patrimonio e sull’identità culturale costituiscano dei formidabili strumenti per lo sviluppo di una comunità consapevole e per la fabbricazione di un’immagine coerente di essa, Anna Nacci (Tarantula Rubra) ha illustrato il potenziale della musica come mediatore culturale, come mezzo che sollecita lo scambio e la solidarietà tra mondi socialmente e culturalmente diversi.
Ancora una volta: dal locale al globale…
Insomma, nel volger di una giornata, è miracolosamente apparso a San Vito un orizzonte nuovo, tracciato da circostanze storiche specifiche e da una ricca tradizione coreutico-musicale, da attori culturali e istituzionali impegnati e generosi, da una comunità sempre più consapevole. Si riapre così un cammino che credevo ormai perduto, dove studi, ricerca, musica e spettacolo, operando e cooperando, danno alla parola cultura il suo senso intero di lavoro rigoroso, serio e appassionato al servizio di una comunità, anche, ma certo non solo, per farla divertire….
Andrea Carlino
Università di Ginevra e Patr’Act
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