Polonia plurale. Ritmi regionali tradizionali, impronta world e contemporaneità in quattro dischi della scena nu trad polacca
Nella seconda metà degli anni Novanta del ‘900 la rinnovata scena folk della Polonia aveva visibilità soprattutto grazie alla notorietà dei Trebunie Tutki – provenienti dall’area dei monti Tatra, in prossimità alla Slovacchia, noti per la collaborazione con Adrian Sherwood – all’attivismo culturale della Orkiestra św. Mikolaja di Lublino, che ha contribuito a ridefinire la nozione stessa di folk polacco, e alla riproposizione in chiave hardcore folk della tradizione musicale e canora della Polonia centro orientale di Kapela ze wsi Warszava, la band entrata, dopo cambi di organico, nei circuiti world come Warsaw Village Band. Oggi, il Paese est europeo vanta una vibrante scena musicale, che esprime una molteplicità sonora fatta di revival di danze, di espressioni musicali e strumenti delle diverse anime culturali (una visione miope che ignora la storia, porta molti a pensare la Polonia come un unico blocco linguistico e religioso), scambievoli influenze tra reminiscenze rurali, suoni metropolitani, jazz, elettronica e gusto world. Corpose anche le manifestazioni festivaliere, da Nord a Sud, da Est ad Ovest, e l’interesse mediatico ufficiale che culmina del festival Nowa Tradycja, organizzato dalla radio nazionale, che quest’anno giunge alla diciannovesima edizione. Qui, passiamo in rassegna quattro album che ci hanno impressionato per approccio stilistico, originalità dei materiali, perizia strumentale.
Provenienti dalla regione montuosa dei Piccoli Beschidi (in polacco Beskid Niski), Kapela Maliszów è una band acustica di estrazione familiare, originaria di Męcina Mała, messa su da Jan Malisz con i due giovanissimi figli – non arrivano a vent’anni – Zuzanna e Kacper. Voce, violino, ghironda, fisarmonica, violoncello, chitarra e percussioni sono l’armamentario strumentale del trio. Dopo l’esordio di “Lot na Karpatami” (2010) e l’apparizione al Womad festival nel luglio 2015, hanno realizzato “Mazurki Niepojete” (Karrot Kommando, 2015), disco in cui si producono in un set di mazurche, polche e altre danze della regione di Pogórze (dove confluiscono elementi polacchi, ucraini, ebraici e lemki, ossia ruteni), con la voce già autorevole della giovane Zuzanna, che si appoggia a percussioni implacabili e a archi ispidi. Per di più, Kapela Maliszów reinventa la tradizione, inserendo composizioni originali dal forte impatto, che si impongono per estro strumentale, influenze jazz ed improvvisazione. Mandano potenti segnali anche i Tęgle Chłopy, il cui titolo dell’album d’esordio non lascia dubbi sui loro intenti: “Dansing” (Muzyka Odnaleziona, 2015). Provengono dalla regione di Kielce e sono cresciuti con la musica e la figura mentore del fiatista e a volte cantante Stanisław Witkowski e di altri musicisti tradizionali, da cui hanno appreso stili esecutivi e repertori. Sono animatori di un’intensa settimana di workshop coreutici che si svolge annualmente a Sędek. Il nome del gruppo rimanda al chłopy, che è una melodia da danza in tempo ternario, generalmente cantata, tipica della regione orientale di Kielce. L’album presenta un variegato menu danzante, poiché accanto al repertorio di balli locali più antichi, i dieci musicisti coinvolti suonano anche valzer, foxtrot, polche e tanghi. Tra gli strumenti, oltre a tuba, tromba, sax e clarinetto, fisarmonica e baraban (un tamburo basso tradizionale), troviamo lo skrzypce, un violino le cui corde si premono con le unghie anziché coi polpastrelli). Un programma gioioso, che si riempie della gamma di colori del mondo musicale polacco, non privo di contrasti e chiaroscuri melodici che portano alla mente il klezmer.
Due membri del gruppo, il fiatista Michał Żak (componente anche della Jan Prusinowaski Kompania) e il violinista Maciej Filipczuk sono protagonisti, con Marcin Pospieszalski (contrabbasso) e Jacek Hałas (pianoforte preparato e fisarmonica), del quartetto di Poznan Lautari, che ha dato alle stampe “Vol. 67 - Live 2014” (Wodzirej, 2015). Il disco è stato registrato dal vivo nella sala da concerti della Filarmonica di Lódź. Si tratta di un ensemble di impostazione folk-jazz che sviluppa la propria musica a partire dai materiali della monumentale e fondamentale raccolta ottocentesca di trascrizioni dell’etnografo e compositore Oskar Kolberg(1814-1890). I Lautari ineriscono anche brani provenienti dal volume 23 di Kolberg (dalla regione di Kalisz, Polonia centrale) e da loro ricognizioni sul campo. Diversamente dai lavori dei gruppi precedenti, i ricostituitisi Lautari, con un organico in parte modificato rispetto ai primi due CD ascrivibili a un folk da camera, si muovono su sentieri sonori più ibridi, colti, tra jazz, avant-garde, puntate rock acide (ascoltate il lungo finale di closing "Do Tego Tu Domu Wstepujeny"). Nella loro ipotesi decostruttiva dei materiali raccolti dal folklorista, al fine di elaborare un’espressività contemporanea, di certo sono meno immediati dei gruppi precedenti, ma non meno interessanti. Peccato, per la scelta di lasciare gli applausi alla fine di ogni brano, che interrompono il flusso sonoro. Non da ultimo, ci piace segnalare che i tre album di cui sopra si impongono anche per l’artwork: confezione cartonata contenente illustrazioni ed esaustive note in lingua inglese. Non suonano musica polacca i Čači Vorba (“Parole Vere” nella lingua romanes delle comunità dell’area di confine romeno-ungherese-serba): a guidarli è l’indiscutibile carisma vocale di Maria Natanson, nipote d’arte (il nonno è un noto compositore e musico-terapeuta), con una lunga esperienza di vita nei villaggi carpati ucraini (aveva quindici anni, quando se ne andò, pensando che il Conservatorio certo non le avrebbe dato tutto…), in cui ha appreso direttamente alle fonti rom.
Dopo due album – “Szczera Mowa” (Oriente, 2010) e “Tajno Biav” (Oriente, 2011), il primo zeppo di tradizionali che percorrevano Balcani e Carpazi, il secondo dalla scrittura più articolata, frutto di una miscela di influenze (jazz, rock, minimaliste, pop, musette, flamenco) – che hanno portato la band di Lublino ai piani alti della world polacca, da qualche mese i Čači Vorba hanno pubblicato “Šatrika” (Oriente Musik, 2015), nel quale il quintetto (kabak kemenche, violino, contrabbasso, fisarmonica, plettri, percussioni), con contributi dell’eclettico polistrumentista Bart Pałiga (sarangi, kemanche, rebab e canto armonico) non riposa sugli allori, ma si tuffa in una sarabanda sonora di danze e canti, che attraversa le comunità rom di Macedonia, Romania, Grecia, Serbia e Bulgaria. Di traccia in traccia traspare la capacità del gruppo di passare da sequenze incalzanti a numeri più lirici, merito sempre degli arrangiamenti affidati in larga parte a Piotr Majczyna, già in forza all’Orkiestra św. Mikolaja.
Ciro de Rosa
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