WOMEX - The World Music Expo, Budapest, 21-24 Ottobre 2015

E’ Budapest la città che ospita il WOMEX 2015, la più grande fiera espositiva della musica world mondiale. Ma è bello pensare che sia tutta l’Ungheria ad ospitare l’evento. Una piacevole casualità, visto che i partecipanti alla kermesse e gli stessi organizzatori hanno lanciato moniti a favore dell’accoglienza tra i popoli e indirettamente hanno criticato la dura politica di respingimento messa in campo dal governo ungherese. Monito a cui si sono legati i numerosi artisti, provenienti da ogni angolo del globo, che hanno preso parte agli showcase serali dell’evento, il quale è stato suddiviso in tre spazi separati, tutti e tre sulle sponde del Danubio. I lavori degli addetti, ("l’area bunker” visti i costi non propriamente popolari), è stata collocata all’interno del Balna. A poche centinaia di metri il bellissimo e moderno MUPA, il Palazzo della Arti, ha ospitato i circa 50 showcase serali dei vari gruppi selezionati. Cinque i palchi allestiti alla perfezione con una raffica di concerti da 45 minuti ognuno, ai quali gli addetti e gli spettatori (sold out ogni sera) hanno potuto assistere. E ovviamente, per i molti che, come me, volevano ascoltare il più possibile, la corsa tra una location e l’altra è stata inevitabile. Ma veniamo agli showcase, o almeno quelli che sono riuscito a raggiungere. Sarebbe troppo lungo stare a disquisire sul vero significato di World Music oggi, nell’era digitale e non sono certo qui a scrivere di ciò, tuttavia è stato inevitabile porsi questa domanda rispetto alla proposta offerta, che suggeriva tacitamente l’esistenza di una suddivisione in due grandi categorie. 
La prima categoria è sicuramente quella che riguarda le musiche del mondo (o dal mondo), ovvero i gruppi che continuano ad esportare la propria musica tradizionale senza grosse contaminazioni. Su tutti il coro georgiano Iberi, uno strepitoso coro di sole voci maschili, che ha riempito di suggestioni la grande sala Bela Bartok, così come i musicisti e danzatori sud coreani del gruppo Baraji o Wu Man, solitaria suonatrice cinese di Pipa. Grande tecnica per gli slovacchi PaCoRa Trio, trio manouche con un abilissimo cymbalista in evidenza. Il cantante e chitarrista bosniaco Damir Imamovic assieme alla Sevdah Takht ha proposto un repertorio di canzoni intime condite dai suoni tipici del mondo balcanico, e con una particolarità da non sottovalutare: i musicisti che lo accompagnano nella Sevdah provengono da Croazia e Serbia, il che aggiunge notevole valore ad un progetto non proprio brillante per tecnica esecutiva. Ovviamente importante lo spazio concesso dagli organizzatori ai numerosi gruppi ungheresi. Come da tradizione la cerimonia di apertura del WOMEX, svoltasi il 21, è stata completamente dedicata ai gruppi magiari, ma purtroppo il concerto di benvenuto era accessibile solamente ai delegati. I visitatori hanno avuto comunque modo di ascoltare gruppi come la Buda Folk Band e Agi Herczku & Band. L’energia è quella tipica della musica acustica on the road con echi gitani, così come le rispettive line up: violini, viola (con il suo ruolo di accompagnamento ritmico armonico), corde, fisa, tambura e soprattutto la presenza di due bellissime voci femminili, in particolar modo quella della Herczku. 
Per ultimo il pianista cubano Roberto Carlos Valdés detto ‘Cucurucho’, erede della grande tradizione pianistica dell’isola caraibica, ha guidato una band in cui spiccava la presenza dello storico contrabbassista Fabian Garcia. E veniamo quindi alla seconda categoria, quella che riguarda l’aspetto più aperto alla contaminazione stilistica e timbrica, nonché la parte a cui ero maggiormente interessato, e da cui forse mi sarei aspettato di più in termini di originalità. Alcuni gruppi mi hanno suscitato particolari “perplessità”. E' il caso sicuramente dei “salseri” giapponesi Kachimba4, della rock band “punjabi style” Tritha Electric (India/Francia) e del gruppo israeliano A-Wa, esempi di come non basti mettere delle voci tipiche per modificare le sorti di una band che non ha un gusto forte sulla scrittura e sugli arrangiamenti. Note più positive invece sono arrivate dal rapper brasiliano Emicida, esperimento di mix tra hip pop e sonorità tropicali, dal reggae e R&B latino della franco-cilena Ana Tijoux, dal cantante palestinese Tamer Abu Ghazaleh e dal pop in stile andaluso dei Cantigas de Macao. Esperimento sicuramente riuscito è il duo di polistrumentisti polacco composto da Karolina Cicha e Bart Palyga, dove si intersecano tradizione dell’est europeo, canzoni in esperanto, ed elettronica, attraverso l’utilizzo di loop e sequenze per lo più registrate durante il set live. E visto che ci siamo ecco la mia scelta personale. 
Nella top list sicuramente i cechi Clarinet Factory, quartetto di clarinetti, che mescolano sapientemente world, etnojazz, elettronica, classica e contemporanea, con un grande lavoro di scrittura e un accurata e ricca scelta di elementi stilistici, che li rendono poco catalogabili. I finlandesi Jaako Laitinen & Vaara Raha, una simpaticissima orchestra in perfetto stile "polar balkan" (cit. Lepistu); la loro esibizione, molto applaudita dal pubblico in sala soprattutto per la formula quasi “cinematografica” che propongono sul palcoscenico, e che per stile e sonorità ricordano Emir Kosturica & no Smoking Orchestra senza strumenti elettrici. Grande gusto invece, per il trio franco-turco Forabandit, incastro tra la musica trovadorica occitana rappresentata da Sam Kapienia (mandolino, voce) e quella turca rappresentata da Ulaş Özdemir (bağlama, voce). Ma la vera gemma del gruppo è la presenza del percussionista Bijan Chemirani, suonatore estremamente moderno e raffinato di zarb, erede di una grande famiglia persiana di percussionisti e collaboratore di Sting nel fortunatissimo “If On a Winter’s Night”.  Infine menzione speciale per Pat Thomas, storico rappresentante ghanese della musica africana, che con la sua Kwashibu Area Band ha presentato l’ultimo disco e fatto letteralmente tremare il tendone che ospitava il loro concerto; in perfetto stile afrobeat hanno offerto un set live di contagiosa energia con una estrema precisione ritmica e una coinvolgente sezione fiati.  
Finiti i concerti tutti a bordo dei battelli per attraversare il Danubio, sbarcare a Buda, e raggiungere il DJ set in stile world che per due notti ha movimentato il dopo festival dei partecipanti. Chiudo questo mio breve e personale report del WOMEX 2015, con una nota di dispiacere che credo sia comune a molti musicisti italiani che come me condividono la strada della folk music: la sempre troppo limitata presenza dell'Italia all’interno degli showcase. La proposta offerta nella tre giorni di Budapest è stata sicuramente di elevato livello tecnico, ma niente di veramente invidiabile se confrontato alle tante realtà italiane, che fanno dell’originalità oltre che della buona musica un marchio di fabbrica.  Il prossimo anno il WOMEX 2016 ritornerà a Santiago in Spagna.  Aspettando tempi migliori per noi italiani.


Alessandro D’Alessandro
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