Mundial Montreal, Montreal, 17-20 Novembre 2015

Mundial Montreal è l’appuntamento nordamericano con le musiche del mondo, uno spazio locale espanso che accoglie addetti ai lavori e curiosi interessati a scoprire o riscoprire vecchie e nuove realtà musicali dai quattro angoli del mondo. Il festival, che, di fatto, è un evento immaginato per l’industria musicale, sulla falsariga di un numero sempre crescente di contenitori simili dall’altro lato dell’oceano, è stato pensato da Sébastien Nasra e Derek Andrews. L’idea è nata orami più di un lustro addietro in un taxi a New York ed è stata piuttosto fortunata perché Mundial non solo gode di ottima salute, ma si arricchisce di anno in anno di eventi, artisti e formule sempre rinnovate. In effetti, da piattaforma per soli addetti ai lavori si apre al grande pubblico quasi immediatamente e il successo è istantaneo. D’altra parte, non poteva essere altrimenti in una città come Montreal: cosmopolita, aperta, e particolarmente a suo agio col multiculturalismo, la convivenza di culture, religioni e linguaggi sonori. La quinta edizione, che si è tenuta dal 17 al 20 novembre, ha accolto 34 artisti che sono stati scelti tramite concorso, procedimento che segna un’innovazione per l’edizione numero 5. In un solo lustro, le procedure di selezione si sono modificate passando da un invito su chiamata in base alle preferenze e ai gusti musicali dei due organizzatori, a una proposta destinata alle case discografiche perché proponessero dei progetti di punta. Da quest’anno sono gli artisti stessi a rispondere ad una call, sottoponendo la propria candidatura a un processo di selezione. Il tema scelto per l’edizione 2015 “Globalement Parlant” ha permesso di accogliere artisti provenienti da dodici paesi diversi, tra cui Algeria, Estonia, Madagascar, Colombia, Israele, Brasile, Ghana, Cile senza dimenticare i padroni di casa e i vicini statunitensi. 
Ma in tema di programmazione, Mundial Montreal si distingue soprattutto per una vetrina molto particolare, denominata “Accents Autochtones”, una sorta di unicum nel panorama internazionale delle fiere musicali, solo evento dell’industria musicale che prevede uno spazio riservato ad artisti rappresentanti delle comunità autoctone – questione particolarmente cara ai quebecchesi che contano diverse nazioni autoctone riconosciute. Nell’edizione appena conclusasi ha trovato spazio il blues Innu di Florent Vollant che nella serata di apertura al Lion d’Or ha presentato "Puamuna" il suo ultimo album uscito lo scorso aprile. Senza dubbio una delle migliori esibizioni del festival: intensa, penetrante, di grande maturità artistica e interpretativa, di quelle esperienze sonore che riconciliano i sensi e lo spirito. E poi è stata la volta di DIYET, cantante di origine tutchone-giapponese-tlingit-scozzese-yukonese, che si è esibita il 19 al Divan Orange. La sua musica si ispira alla vita del grande Nord, la sua voce operistica arricchisce l’impianto folk delle sue canzoni. E poi ancora musica, tanta musica world beat distribuita nelle storiche sale della città, showcases articolati in una sorta di contenitore urbano diffuso. Ma è world o pop? I confini sono ormai così labili, e qui poi, non bisogna dimenticarlo, siamo in Nordamerica e se al Babel Med o al Womex degli spazi di nicchia vengono ancora riservati a sonorità più tradizionali e a performance meno “contaminate”, qui tutto suona beat, suona pop. E allora capita molto più facilmente che nella confezione del prodotto di consumo le tracce si perdano, le impronte si sbiadiscano. La questione non è la purezza dei suoni, o l’anatema della contaminazione, ma il gusto, la manifattura, la qualità del prodotto finito. Purtroppo in questi ambienti può capitare che l’approssimazione domini la scena anche quando le proposte sono ammiccanti. Vedi lo showcase della canadese di origini tanzaniane Alysha Brilla che a dispetto di un lessico impegnato sul fronte della diversità culturale e della parità di genere, si lascia sfuggire delle performance sin troppo imprecise e dozzinali. O la giovane rivelazione montrealese nel panorama dell’afro-folk, Ilam, una sorta di messia nero, incarnazione della perfezione e dell’equilibrio delle forme. Ma troppo lanciato, purtroppo, in una proiezione trascendentale del proprio potere carismatico al punto da dimenticare (o forse il suo staff non glielo ha fatto notare) che una gestione magistrale del proprio corpo non solo non può sopperire evidenti carenze musicali, ma se spinta sino al parossismo può diventare una caricatura. 
Il mestiere e l’umiltà fanno, invece, di una performance dichiaratamente pop come quella di Alex Cuba, uno spazio musicale particolarmente gradevole e convincente. Nato e cresciuto a Cuba sotto la guida di un padre professore di chitarra, Alex si trasferisce in Canada dove si afferma come artista che piace alla critica e conquista il suo pubblico con un rock/soul/pop/latino-funk pulito e garbato, accattivante quando serve, ma mai eccessivo. Il trio che lo accompagna è rodato, il gruppo è solido e si sente. Particolarmente apprezzata dal pubblico anche la performance di Akawui che ha aperto la seconda serata. Il montrealese di origini latine “attualizza” i ritmi andini fondendoli con dubstep, salsa, hip-hop afrocubano e reggaeton. Dopo il primo brano, tutto il pubblico partecipa in una danza collettiva che riscalda. C’è spazio anche per altri artisti locali del world beat contemporaneo, da Samito a Bïa, dall’Orkestar Kriminal all’Yves Lambert Trio, dai Solawa ai Kleztory e ai BellFlower, Maneli Jamal, Just Wôan, Cécile Doo-Kingué, Jah & I e Alejandra Ribera. La scena montrealese è particolarmente attiva e variegata e le viene concesso lo spazio che merita. Non da meno è stata la programmazione appositamente pensata per gli addetti ai lavori. Un menu piuttosto ricco e articolato che, come ormai tradizione vuole in questi incontri internazionali, prevede anche conferenze, incontri con i programmatori e tavole rotonde per facilitare la comunicazione tra agenti, artisti, produzioni, istituzioni, diffusori. Per finire, Mundial Montreal si fa sostenitore delle carriere di giovani promesse confermando per il secondo anno due premi: l’“Étoiles Stringay”, una borsa di 2000 dollari per sostenere un artista locale emergente e il premio “Pont transatlantique”, istituito in collaborazione con il Babel Med Music di Marsiglia, per facilitare la circolazione di musicisti da una sponda all’altra dell’oceano.


Flavia Gervasi
Foto di Attilio Turrisi

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