Dimenticate per alcuni istanti il suo considerevole curriculum professionale perché di seguito, free and friendly, lo sentirete parlare solo di musica e della sua speciale collezione di chitarre. Per Alberto Contri la musica è come l’aria, componente essenziale di vita. È gioviale, estroverso e appassionato nel dialogo al quale, da buon jazzista, garantisce un ritmo discorsivo serrato. Essendo giramondo per professione, ha molto da raccontare, riuscendo ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore, grazie anche a una carica di ottimismo che caratterizza un po’ tutti i suoi pensieri. È carismatico e cerca con esempi concreti di far comprendere le ragioni delle sue scelte in campo musicale, soprattutto quando al piacere ha dovuto anteporre gli oneri professionali e familiari. «Per oltre un decennio avevo suonato il contrabbasso con il mio Gruppo jazz, poi sono subentrati impellenti impegni di lavoro ed era nato un figlio…, a un certo punto ho preso una sofferta decisione. Ho venduto lo strumento, i cavalli e tutto il resto, per prestare maggiore attenzione alla famiglia».
Musica sin dall’infanzia
Alberto Contri ha sviluppato la passione per la musica da bambino. A dieci anni desiderava iscriversi in conservatorio, ma non venne soddisfatto perché i genitori avevano per lui differenti aspettative di studio. Un po’ per passione, un po’ per reazione, ha iniziato a suonare la chitarra da autodidatta. Successivamente, «…alle Medie abbiamo formato un complessino di studenti …. Suonavamo “cover” alle feste giovanili, ma d’estate andavamo al Lido di Genova dove, il sabato e la domenica pomeriggio, c’era il cosiddetto “matinée” … Suonavamo per far ballare, musica alla moda per intenderci…».
Tra i suoi idoli del tempo c’erano i cantanti francesi e Celentano anche perché, a Genova, si esibivano spesso i ragazzi del “Clan”, con un’orchestrina composta di diversi fiati. In seguito, il vibrafonista Bebo Saint Pierre lo appassiona al jazz. «Ricordo ancora che mia nonna mi diede un po’ di soldini con i quali, nei carruggi del centro, comprai un contrabbasso Ferrarotti, di compensato in laminato chiaro. Ho imparato a suonarlo, ascoltando dai dischi. A volte, Bebo mi faceva sentire le note con il vibrafono, poi riportavo i bassi sullo strumento. Andavo spesso ai concerti per imparare le diteggiature dai professionisti. Ascoltavo tanto jazz, soprattutto il genere New Orleans prediletto anche da mia sorella maggiore…». Lasciò il gruppo per concentrarsi sugli studi liceali e perché da Genova la famiglia dovette trasferirsi a Biella per lavoro. A Milano, durante gli studi universitari, conobbe i componenti della “Bovisa New Orleans Jazz Band” (tuttora attiva), i quali erano alla ricerca di un bassista. «Mi hanno fatto suonare … gli sono piaciuto e così sono stato con loro dieci anni, acquisendo uno swing particolare. Sono nato come chitarrista, poi sono passato al contrabbasso e alla fine sono tornato alle chitarre, ma dopo alcuni decenni». Trombettista e clarinettista della band milanese era Beppi Zancan, suonava per passione ma il suo lavoro principale era quello di Direttore creativo dei Periodici Mondadori. A seguito dell’improvviso decesso del padre, Zancan ha trovato lavoro al giovane Alberto. «Mi chiese:- Sai fare copywriter? Alla risposta negativa, mi tranquillizzò, dicendomi:- Non ti preoccupare vieni a lavorare con me che te lo insegno. A ventidue anni, sono entrato così in Mondadori, iniziando la carriera di pubblicitario che, gradino dopo gradino, è arrivata fino ai vertici».
Un lavoro con la passione per la musica sempre nel cuore, la quale si rafforzò grazie al capo del personale, avvocato Arrigo Polillo, il quale aveva dato vita alla gloriosa rivista “Musica Jazz”. Per suo interessamento giunsero a suonare a Milano grandi suonatori jazz (Louis Amstrong, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Count Basie etc). Polillo riusciva a coinvolgere i dipendenti dell’Azienda nelle diverse mansioni concernenti l’organizzazione dei concerti. A Contri venne dato l’incarico di occuparsi del palco. Per lui era una vera pacchia, in quanto poteva conoscere da vicino i suoi idoli musicali. Un periodo straordinario della sua gioventù, sempre a contatto con personaggi di spessore o di talenti musicali di fama internazionale. «Erano veri maestri. Quante foto ho scattato in quel periodo. Avevano una forza musicale incredibile, dopo il concerto finivano al “Capolinea” per suonare ancora in jam session fino alle ore piccole. Con la “Bovisa”, il giovedì, andavamo a suonare in un’antica Società di mutuo soccorso chiamata “La Speranza”, in via Vittadini, qui spesso veniva a trovarci l’avvocato Polillo». Una vita piacevole e stancante, perché Alberto Contri alle diciotto terminava il lavoro d’ufficio e poi correva a suonare, talvolta in trasferta in altre regioni. «Tornavamo distrutti al mattino. C’è capitato in diverse occasioni di accompagnare i Grandi del Jazz nelle varie città e stando loro vicino c’era sempre tanto da imparare. Una volta con la Band abbiamo persino suonato in concerto con il mitico Louis Armstrong, per uno spettacolo televisivo». Contri è stato dieci anni con il gruppo della “Bovisa” in seguito, per qualche tempo, è passato a suonare con “ La Swinghera” (coordinati da Vittorio Castelli), specializzata nello stile alla “Duke Ellington”.
Tuttavia l’impegno divenne gravoso e, come già anticipato, decise di non suonare più il contrabbasso, per stare più vicino alla famiglia e perché «… stare nel gruppo era un impegno notevole … ricordo ancora le notti passate in mezzo alla nebbia padana, in quattro in auto con il contrabbasso schiacciato sulla testa. Come molti appassionati di jazz, eravamo dei “missionari”, con nottate passate in giro o sui treni per zero soldi o per retribuzioni bassissime». Nel frattempo Alberto Contri aveva iniziato a fare carriera e gli impegni professionali s’intensificarono. Come pubblicitario, è divenuto un giramondo, mai perdendo occasione di ascoltare musica dal vivo. «Tra i concerti organizzati dall’avvocato Polillo e i giri in America e in Europa, ho avuto modo di ascoltare di tutto…un anno l’Agenzia per cui lavoravo mi ha trasferito per un mese a New York. Tutte le sere, terminati gli impegni professionali, andavo ad ascoltare due concerti, all’Iridium, alle nove, al Greenwich Village, alle ventitré. La domenica mi recavo a Central Park …, ma sai quanti musicisti ho ascoltato? Suonano col cappello per terra, ma con che classe! Ho sempre provato ammirazione per i musicisti di livello che suonano tra la gente, magari per arrotondare lo stipendio».
Art collection of guitars
Music is like air: alla fine degli anni Novanta, per Alberto Contri riecheggia il richiamo del suo primo strumento, ma questa volta prende nuove strade. Nel 1998, si trovava a Roma per lavoro, di passaggio in un negozio musicale, vide una “bella PRS Santana”, da allora è entrato progressivamente nel giro dei collezionisti di chitarre. «È cominciato tutto con quella”PRS”, poi compra questa, acquista quella … mi è venuta la “patologia” per le chitarre e, nel giro di alcuni anni, ne ho comprate settanta, investendo parecchio, ma anche scambiando e vendendo». Ogni pezzo della Collezione ha la sua storia. Quando si parla di chitarre, Contri è irrefrenabile, espone a fiume, illustrando senza sosta modelli e dettagli costruttivi ed è piacevole ascoltarlo, mirando in diretta i suoi gioielli organologici. Di seguito mi sono limitato a sintetizzare la lunga discussione, senza intervenire sullo stile espositivo, fresco, spontaneo e improvvisato, con una sfilza di contenuti riferiti ai temi tipici dei collezionisti di chitarra.
«Da dove iniziamo? Iniziamo da questa chitarra, è il modello “Nash-Vegas”. Devi sapere che ogni anno al “NAMM” di Los Angeles la Fender propone alcuni modelli realizzati da grandi artisti. Nel 2007, avevano presentato questo modello, una Telecaster disegnata da Dan Newman. L’ho visto e mi è piaciuto da impazzire, sia la chitarra sia la custodia. Casualmente quel giorno, con alcuni colleghi siamo andati a pranzo con la signora Bauer (manager di riferimento per la distribuzione della Fender in Italia), alla quale mi sono proposto come acquirente… e sono riuscito a chiudere l’affare. Pian piano, mi è venuta la passione per le chitarre artistiche, come quelle realizzate da Michael Spalt, James Trussart o da Pamelina H. Osserva questa, è la “Telecaster Route 66”, l’ho fatta realizzare su richiesta, ed è stato interessante perché il dialogo-trattativa è andato avanti per sei mesi, discutendo prima il disegno on line. Solo dopo aver trovato un accordo, Pamelina H ha comprato la chitarra e me l’ha dipinta. Quest’altra è la “Harley Davison”. Devi sapere che c’è stato un periodo della mia vita in cui ho avuto un interesse particolare per questa moto. Un giorno ho preso alcuni pezzi della moto e li ho inviati a Michael Spalt. Li ha montati artisticamente sulla chitarra e ciò che trovo incredibile è che queste tipologie di chitarre sembrano dei gadgets, ma suonano che è una meraviglia… Guarda quest’altra, è probabilmente la più pubblicata al mondo, si trova in tutti i libri di collezionismo, si chiama “Gears”. In questa chitarra vi è montata artisticamente della “archeo-elettronica”, perché il costruttore ha utilizzato antichi reperti di materiale elettronico non più in uso. Pesa uno sproposito tuttavia suona meravigliosamente, non so bene come abbia fatto ma questo è il risultato.
Per quanto riguarda la collezione delle chitarre, tra le ragioni del collezionista c’è anche quella del possesso, di avere oggetti belli e unici, di possedere un pezzo raro, per il quale talvolta ti sveni, t’inventi di tutto pur di possederlo. Questa è una forma un po’ patologica che ti spinge a desiderare un oggetto che hai solo tu, pezzi unici e particolarmente belli. Comunque non mi hanno mai attirato le chitarre firmate dai chitarristi che costano cifre esagerate. Mi affascina la liuteria, la capacità di realizzare con il legno delle belle forme. Le chitarre, peraltro, hanno i fianchi modellati, sono strumenti esteticamente femminili, posseggono un loro fascino, sono oggetti artistico-musicali veramente meravigliosi. È difficile da spiegare con le sole parole. Quando apri la custodia e suoni una chitarra degli anni Cinquanta come questa e senti l’odore della vernice, la nitrocellulosa di una volta, ti parte la curiosità di approfondire, di conoscere di più. Per questa ragione mi piace andare in giro per liutai e parlare con loro. Più di una volta mi è venuto il desiderio di seguire una Scuola di liuteria, mi piacerebbe imparare a costruire, ma so che avrei dei problemi perché sono un perfezionista. Ci vorrebbe troppo tempo che non saprei dove ricavare in questo momento. Per questo preferisco comprarle già stupende, realizzate per mano di liutai d’eccezione, come Matzuda ad esempio, le cui chitarre sono oggetti di gran classe che suonano molto bene. Prendiamo un altro esempio, il modello “James Tylor” realizzato da Jim Olson. L’ho voluto perché sono un estimatore di Taylor e sono riuscito ad ottenere la sua firma sulla chitarra. Il collezionismo sarà anche una “malattia”, ma porta con sé l’idea dell’investimento non solo della spesa fine a se stessa. Intervengono anche aspetti razionali nella scelta della spesa. Gli investimenti tradizionali negli ultimi anni hanno prodotto rendite limitate. Soprattutto in passato, con le chitarre vintage si poteva sperare in guadagni ben più interessanti. Negli ultimi tre anni c’è stato un tracollo per la crisi complessiva, ma sono sicuro che il mercato riprenderà. Poco per volta, desidero completare il libro-catalogo della mia collezione di chitarre che lascerò in eredità a mio figlio. Tale libro vorrei renderlo completo, aggiungendo a fianco di ogni chitarra alcune pagine riferite al contesto storico-musicale. Ad esempio, osserva che meraviglia questa chitarra Olivieri, liutaio catanese, il quale aveva costruito un modello unico di “manouche”.
A fianco dei dati tecnici, scrivere alcune pagine per raccontare com’era musicalmente la Parigi degli anni “Montmarte”, magari aggiungendo alcune fotografie d’epoca, penso renderebbe più interessante il libro. La mia Collezione comprende strumenti musicali a sei corde dagli anni Trenta a oggi, un bel campionario per scrivere un libro unico sulle chitarre. Un altro aspetto che riguarda il collezionismo è la conservazione delle chitarre. Hanno bisogno di adeguate temperature. Per questo motivo, le devo tenere in un “bunker” blindato anche per motivi di sicurezza. Ciò mi dispiace, perché non posso averle sempre sotto gli occhi… Ogni tanto mi piace mostrare i miei strumenti musicali al pubblico. Alcuni anni or sono mi ha contattato Biasibetti (Luciano, ideatore di Milano Guitars&Beyond) e mi ha convinto a esporre. In questa Fiera dedicata al mondo delle chitarre, vado per puro gusto, unendo l’utile e il dilettevole, ma posso garantire che per un collezionista non è mai facile staccarsi dai propri strumenti. Prima di metterle in vendita, fotografo tutto. Scherzosamente, chiamo la Collezione il mio “Harem” e le chitarre le mie “bambine”. Quando osservo il “book” e rivedo i pezzi venduti, ogni tanto mi pento e mi rimprovero ». Di colpo Alberto Contri s’interrompe e, preoccupato, mi fissa con occhi magnetici: «Forse ho parlato troppo, mica vorrai scrivere tutto quello che ho raccontato? La gente se legge troppo si annoia, è importante sintetizzare. Comunque non ho mica finito, ho ancora tanto da raccontare sulla musica». Così, per una volta noncuranti delle leggi della comunicazione contemporanea, decidiamo di proseguire prossimamente la discussione, partendo dalle note di “Music is like air”, titolo perfetto per una song di successo.
Paolo Mercurio
Copyright Foto Paolo Mercurio ad esclusione della foto n.5 per gentile concessione dell'Archivio Contri
Copyright Foto Paolo Mercurio ad esclusione della foto n.5 per gentile concessione dell'Archivio Contri
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Strings