L’umanità e la qualità del Premio Andrea Parodi sono un punto fermo: della prima va dato merito all’organizzazione, la Fondazione Parodi, che ha costruito in otto anni una manifestazione unica nel suo genere in Italia (i sardisti storceranno la bocca), sia perché riesce a comporre in tre giorni un gruppo di addetti ai lavori (giuria critica e tecnica), pronti a confrontarsi su tematiche musicali ma non solo, sia perché riesce a favorire un sano spirito di competizione tra i musicisti coinvolti, sul palco e off stage, testimoniato dai riconoscimenti dati tra loro dai concorrenti stessi e da quello dato dai bambini presenti nella sala dell’Auditorium Comunale, location che accoglie la manifestazione. Quanto al fattore qualità, la direzione artistica di Elena Ledda, da quando quest’ultima ha preso le redini della kermesse, è diventata una garanzia di cura, di dedizione alle sorti delle musiche trad e world, svincolando il premio dall’idea di un contest ad eliminazione che scimmiotta eventi pop o nel quale ci si gioca tutto in tre o quattro minuti. Precisa Ledda: «Noi non cerchiamo la canzone più bella, cerchiamo un progetto, artisti che possano camminare bene, che lavorino sulla world music con progetto aperto, che si confrontino con la propria tradizione o con quella che preferiscono, che siano credibili e onesti».
Per questa edizione numero otto, svoltasi dall’8 al 10 ottobre con un’anteprima il giorno 7 al Jazzino, dove si è esibita Flo, splendida vincitrice dello scorso anno, il Premio ha promosso un dibattito ‘a più voci’ sul significato e sui confini della ‘world music’, quanto mai necessario per la fisionomia stessa della rassegna. Nella Sala Settecentesca della Biblioteca Universitaria di Cagliari si sono confrontate diverse angolazioni: quella degli studi di popular music espressa da Jacopo Tomatis, redattore del “Giornale della Musica” e dottorando dell’Università di Torino, che ha decostruito la categoria, mettendo sul tappetto le sue possibili declinazioni (musica folklorica, musica d’arte non euro-americana, popular music extra-europea, ecc.) di questa etichetta mettendone in luce il portato estetico ed ideologico. Non meno incisivo l’intervento di Marco Lutzu, etnomusicologo dell’Università di Firenze, esperto di musica cubana come di canto sardo, che da parte sua ha contributo a far capire quanto la “tradizione” sia una costruzione sociale. I musicisti Mario Incudine e Andrea Del Favero (quest’ultimo anche in veste di organizzatore di Folk Est) hanno portato all’attenzione la loro prospettiva estetica e culturale al contempo, mentre a Ignazio Macchiarella, etnomusicologo dell’Università di Cagliari, in un certo senso il padrone di casa, è toccato tirare le somme della riflessione, non mancando di far riflettere sulla categoria di ‘autenticità’, sovente richiamata da chi suona musiche ispirate alle tradizioni orali, ma anch’essa mobile perché frutto di negoziazioni, contesti, posizioni estetiche e memorie.
Altro incontro di interesse quello con un responsabile del Nuovo IMAIE sul tema del diritto d’autore e degli interpreti. Occupiamoci ora del Premio, che ha visto in gara con un brano ciascuno nove artisti, non dieci come d’abitudine, per la defezione de La Banda di Piazza Caricamento (con “Birdsong” avrebbero avuto molte chance di piazzamento, come le avrebbero avute i Re Niliu, selezionati dalla commissione che ha lavorato sulle diverse centinaia di brani iscritti al concorso, che hanno dato forfait da subito: prima ancora dell’ufficializzazione di finalisti, e quindi rimpiazzati). Nella prima serata gli artisti hanno proposto anche una seconda composizione, servita ai giurati e al folto pubblico per saggiare il progetto musicale nella sua completezza; l’approfondimento e la conoscenza degli artisti sono stati possibili mediante un breve confronto con i membri della giuria, coordinato dal giornalista RAI Gianmaurizio Foderaro e dall’impeccabile, storico operatore culturale sardo Ottavio Nieddu. Nella stessa occasione, si è esibito l’organettista Totore Chessa (Premio Albo d’oro 2015), uno dei grandi della tradizione isolana dei mantici. La serata di sabato (trasformata in un’audizione per le sole giurie, causa il serio allerta meteo sulla città di Cagliari che ha determinato l’annullamento della serata pubblica), i musicisti si sono cimentati con l’interpretazione di un brano di Andrea Parodi.
Per chi non conosce le dinamiche del Premio, questa è una serata emotivamente intensa, nella quale i protagonisti provano a far proprio un brano del repertorio sardo del cantante scomparso nove anni fa (17 ottobre 2006). In altre parole, l’esibizione nell’arco temporale di tre giorni si configura come performance in evoluzione, in divenire. Perché gli artisti mostrano la propria cifra artistica con un secondo brano, che racconta della solidità del progetto musicale, e con la cover di una composizione del repertorio di Parodi, che è un altro passaggio, non di poco conto. Quest’anno Marina Mulopulos, greca ma toscana di elezione, le cui quotazioni per il premio assoluto finale erano molto alte all’inizio, ha scontato la sua pallida rilettura di “Sienda”, e – chissà – forse anche il suo modo troppo ‘schivo’ di tenere il palco (uno dei giurati internazionali, il giornalista radiofonico berlinese Thorsten Bednarz si chiedeva: «Spesso manca la presentazione sul palco, delle volte basta anche un piccolo sorriso o una parola. Non si capisce: cantano per se stessi? Per la giuria? Per il pubblico? Vogliono trasmettere qualcosa?»). Diversamente, i siciliani Corimé con “Ruzaju”, Davide Casu con “Armentos” e il vincitore assoluto 2015, Giuliano Gabriele Ensemble, alle prese con “Mamoiada”, hanno fatto breccia anche per il loro piglio interpretativo. Sempre nella serata di venerdì, delizia per le nostre orecchie, è tornata ancora in scena Flo con il suo gruppo.
Invece, la mattinata di sabato si aperta con la presentazione di “Caolchuairt an tSairdin ”, un documentario realizzato da TG4, canale culturale irlandese, sul mondo musicale sardo. Un ‘on the road’ con presentatore-protagonista il piper e flautista Mick O’Brien che, accompagnato dall’anfitrione, il chitarrista Gianluca Dessì, incontra e suona con musicisti locali (Luigi Lai, Elva Lutza, Elena Ledda, Tenores de Oniferi, Ivan Pili, Coro Gabriel), si confronta con lo scozzese Barnaby Brown, musicista che tra musica e archeologia sonora esplora i rapporti tra launeddas e strumenti tricalami dell’antica Irlanda. Un format affermato, ma qui il musicista presentatore non si pone il problema – come spesso avviene in analoghi programmi italiani – di dover dare dignità alla musica tradizionale presso il telespettatore: O’Brien proviene da un Paese dove il linguaggio della musica folk & trad è patrimonio culturale tenuto in gran conto. Va detto che lo scrivente ha fatto parte della giuria critica, quest’anno allargata ad altre personalità internazionali di alto profilo a rimpolpare il settore degli operatori culturali che si occupano costantemente di world music e musica tradizionale (sarebbe auspicabile un incremento di critici internazionali per ampliare le prospettive e le aperture di un Premio che ha il dovere di far conoscere sempre di più il ricco patrimonio musicale isolano), ma si è trovato in sintonia (diversamente da qualche altra edizione) con i principali premi assegnati.
“Lettera dalla Francia” di Giuliano Gabriele Ensemble (voce, tamburello, lira calabrese pizzicata, organetto, basso e batteria), che ha vinto il Premio Parodi 2015, è un brano in dialetto ciociaro, apparso convincente ai musicisti e organizzatori di festival della giuria tecnica, nonostante le evidenti influenze sparagnane e il fatto che, pur essendosi il front man presentato come un buon organettista, il mantice nel brano in concorso lo ha suonato poco. Quello di Gabriele (“Madre” è il suo secondo album, che è stato candidato anche alle Targhe Tenco 2015 nella sezione dialetto) rappresenta un progetto di lunga durata, non una creazione estemporanea messa in campo per il contest: di questo i giurati hanno tenuto conto, oltre a premiare una canzone ben costruita. Marina Mulopulos, voce ambrata e velata, che ha appena pubblicato ”Distichòs” (Marocco Music), accompagnata da brillanti musicisti del giro di Peppe Barra, ha vinto il Premio della critica, con la squisita “Iati” con tanto di bouzouki (ma di foggia irlandese, a cassa piatta). A bocce ferme, il giorno dopo il gran finale, la direttrice artistica Elena Ledda, racconta: «Diversamente che negli anni passati, ero preoccupata, perché non vedevo vincitori clamorosi, ma quando ho visto la piega che ha preso la serata finale, mi sono rasserenata: hanno vinto dei giovani che, se è vero che hanno ancora da imparare, hanno presentato un brano con un testo struggente, anche contemporaneo per ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, e vengono dalla tradizione».
Sul livello qualitativo, sentiamo ancora Bednarz: «Quest’anno il livello era più alto rispetto allo scorso anno quando è stato chiaro che Flo era l’interprete di un livello più alto fin dalla prima serata. Quest’anno c’erano piccolissime cose che ti spingevano a differenziare i voti: io ho cambiato i punteggi nell’arco delle tre serate e fino alla fine, perché mancava un musicista che distaccasse gli altri». Al poeta e scrittore Davide Casu, l’algherese, che ha presentato “Sant’Eulalia”, sono andati i riconoscimenti per la musica (personalmente, non mi ha entusiasmato la sua morbida e lineare melodia, poco world per i miei parametri) e il miglior testo (e qui ci siamo, senza remore). Per la loro progr song “La scelta”, i Corimè hanno raccolto il riconoscimento per il miglior arrangiamento e la migliore interpretazione, a pari merito con Claudia Aru, cantante di Villacidro, la cui “Fogu” ha preso vitalità non solo per la verve scenica della cantante, ma soprattutto grazie a una band di forte impatto (fisarmonica, contrabbasso, violino, chitarra acustica, batteria). A Corimè e a Giuliano Gabriele Ensemble è andato anche il premio dei concorrenti, mentre il riconoscimento dei bambini in sala è andato ai Calatia di “Arrammulì” (brano dai richiami tradizionali, cantato in diletto del basso casertano), un gruppo dalle sonorità folk-combat-rock, cresciuti nell’ultima serata dopo due sere meno brillanti.
Hanno raccolto minori consensi, ma sono musicisti da guardare con rispetto e interesse, gli Alarc’h, la cui “Ninna e la ninnella” in calabrese, imperniata in larga parte su un celebre e diffuso canto infantile, mostrava interessanti passaggi ritmici, senso melodico e garbati giochi timbrici (arpa usata da bordone e da strumento melodico al contempo, uso del lilting, flauto e tamburo a cornice), il duo Koralira, che ha proposto la delicata “Nero”, canzone per voce e chitarra. Non accolta in pieno la fierezza di Valeria Tron (“Senso dire rien”), musicista dell’occitana Val Germanasca, la cui passione civile e culturale per la difesa del patois è andata forse smarrita in un’interpretazione un tantino sopra le righe. Ospiti della serata finale, in apertura i Tazenda, lo storico gruppo di Parodi, un po’ fuori contesto per la cifra pop: ma era giusto che ci fossero a omaggiare il sodalizio con Andrea. Da par suo, ha toccato le corde dell’emozione Mauro Incudine, dopo un tributo a Modugno per voce e mandoloncello (“Cavaddu cecu de la miniera”), si è preso la scena per il toccante cunto sulla tragedia nella miniera belga di Marcinelle, per poi duettare con Elena Ledda in una “Rozaju” bilingue in siciliano e sardo. Tre brani intensi che ci hanno proiettati nel mondo del lavoro, delle migrazioni, della vita e della morte in miniera e in mare. Quella di Alejandra Ribera, canadese di padre argentino, guest internazionale della serata conclusiva, è una voce cosmopolita dalle influenze folk, jazz e pop da ascoltare con attenzione (il suo secondo album si intitola “La boca”). Immancabile la jam conclusiva, prima della consegna dei Premi: sul palco Elena Ledda, Kaballà, Mauro Incudine, Alejandra Ribera, Gianluca Dessì, Silvano Lobina, Andrea Ruggeri e i Tazenda in “Deus Ti Salvet, Maria”. Per finire, diamo ancora la parola a Elena Ledda: «Il Premio Parodi ha fatto da catalizzatore alla carriera di molti vincitori». Speriamo lo sia anche per Giuliano Gabriele, protagonista del massimo riconoscimento per questo 2015.
Ciro De Rosa
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