Agli inizi di luglio, al largo del porto di Marsiglia, l'arcipelago disabitato delle Frioul accoglie il Mimi, una delle esperienze festivaliere più incredibili della costa mediterranea di Francia. Mimi sta per Movimento Internazionale delle Musiche Innovatrici, ed è una realtà eco-musicale che dopo trent’anni non perde ancora quella vocazione originaria di proporre la musica “difficile”, ricercata, per palati un po’ particolari, insomma. Parliamo di innovazione, avanguardia, sperimentazione. I traghetti che partono sin dal pomeriggio dal porto di Marsiglia conducono, a scadenze regolari, gruppi di appassionati del genere verso il largo. È il caso di dire che al Mimi il viaggio fa parte dell’esperienza. Sì perché, mentre la terraferma e l’afa si allontanano progressivamente, la città vista dal mare acquista un fascino inusuale. Alle spalle si erge l’imponente forte Saint-Jean, collegato con una mirabile passerella a quel capolavoro dell’architettura contemporanea che è il Museo delle civilizzazioni dell’Europa e del Mediterraneo (MuCem). Mentre la destinazione si fa sempre più prossima, lo sguardo viene catturato dalle mura neomedievali del castello d’If, sì, proprio quello del Conte di Montecristo. Quando si tocca terra il gruppo dei passeggeri di solito si disperde.
È una sorta di rituale, infatti, far precedere le ore dei concerti dalla ricerca di una caletta d’elezione per una pausa rigenerante lontano dal caos della città. Il sito dei concerti si raggiunge dopo una passeggiata dolce tra rocce millenarie, vegetazione selvaggia e un odore inconfondibile di macchia mediterranea. Il percorso è una scoperta e la destinazione un luogo inatteso: l’ospedale Caroline, un antico dispensario destinato alla quarantena. È qui che si tengono i concerti, tra le rovine di un tempio neoclassico che fa da sfondo al palcoscenico. Per il trentesimo anniversario del Mimi, dal 2 al 5 luglio, si ripete la formula consolidata nel tempo di due concerti a sera. Gli esperimenti cominciano il 2 con il compositore giapponese, residente à Brooklyn, Aki Onda. La sua è una istallazione, più che un vero e proprio concerto. Aki Onda lavora con suoni raccolti sul campo che mette in scena in un’architettura sonora originale usando walkman e altri dispositivi effettati. Ma le “star” della serata sono i Percussionisti di Strasburgo, che in sei sfruttano un armamentario di 150 percussioni per eseguire in maniera mirabile composizioni di Steve Reich, Andy Emler e Yoshihisa Taïra.

E quando i concerti finiscono, il rituale si ripete: c’è circa un’ora di attesa prima del traghetto per la terraferma. Un’ora che viene riempita da una lunga passeggiata tra i sentieri illuminati dalla luna. I suoni, le sensazioni echeggiano ancora nella testa, continuano a vibrare nelle gambe. C’è anche tempo per una chiacchierata con i compagni di viaggio, per scambiare pareri, opinioni, percezioni. Al ritorno, si condivide il viaggio con i musicisti in scena, si diventa quasi amici. L’appuntamento è alla prossima edizione, ad altre cento di queste edizioni, per un festival che ha il coraggio di sottrarsi ai rumori dei grandi numeri e dei cartelloni prevedibili, per chiamare a raduno tutti gli appassionati, i nostalgici, gli amanti della natura della costa provenzale. Al largo, un po’ in disparte, sull’isola deserta, al chiaro di luna...
Flavia Gervasi
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