Newpoli – Nun te vutà (Beartones, 2015)

I Newpoli tornano con un album nuovo e ci riconducono a quella prospettiva che avevano individuato con “Tempo antico”, il loro lavoro precedente e, in generale, con il loro progetto di scrittura e riproposta. Il titolo del nuovo disco è “Nun te vutà”, si compone di dodici brani, selezionati, poi arrangiati e riorganizzati, nel mare magnum della produzione espressiva musicale del sud Italia (con un particolare riguardo alla Basilicata), cinque dei quali originali. In generale l’album è molto piacevole, soprattutto perché questi musicisti – i quali, lo ricordo, vivono negli Stati Uniti, e tra i quali figurano alcuni italiani: Angela Rossi, Carmen Marsico, Roberto Cassan e Fabio Pirozzolo – hanno ottime competenze tecniche e riescono a definire i profili di una riproposta ordinata sul piano musicale e timbrico. Ordinata perché, nonostante il rischio in cui possono evidentemente imbattersi – il rischio cioè di trasfigurare la loro riproposta in un racconto cristallizzato e retorico – riescono a lavorare sui repertori tradizionali (e sull’idea che di questi si sono fatti i membri dell’ensemble) in modo sufficientemente coerente. Lasciando da parte l’effetto (che quasi sempre, in casi come questi, si configura come effetto) ritmico e insistendo sugli arrangiamenti, sulla definizione di un’armonia di tutti gli elementi che tirano in ballo. Sul piano strumentale, infatti, “Nun te vutà” è ricchissimo e, soprattutto, organizzato nel modo migliore. Oltre agli strumenti più tradizionali e (percepiti come) necessari in riferimento all’orizzonte sonoro cui si ispirano (tamburo a cornice, tamburo a frizione, castagnette, fisarmonica, chitarra battente, ciaramella) i Newpoli utilizzano zampogna, ocarina, violino, lira, chitarra rinascimentale, basso elettrico e acustico. Ne risulta uno spettro sonoro compatto e articolato, nel quadro del quale prendono forma brani profondi e differenziati, così come un andamento generale organizzato secondo un’idea condivisa. Un’idea che dimostra di essere senza dubbio più definita rispetto al passato, che si riflette più nettamente nei cinque brani originali e che, in generale, può essere ricondotta agli elementi più determinanti dell’album. Inoltre – come si può leggere nelle note di presentazione dell’album, o come, d’altronde, ci dicono gli stessi Newpoli in un breve documentario che si può vedere sul loro sito – il disco è stato organizzato per rappresentare più efficacemente la nostra contemporaneità. Una contemporaneità che non può non essere rappresentata attraverso una riflessione sulla crisi e i giovani costretti a rincorrere un lavoro, un semplice riscatto sociale (“Nun te votà”). Oppure attraverso l’immagine di una società “armonica”, espressa in modo molto convincente nel brano “Bazaar”, probabilmente il più rappresentativo della visione che i Newpoli hanno convogliato nell’album. Qui la band amalgama una musica stretta intorno all’incedere della chitarra battente, che risuona cristallina sorreggendo un vortice di voci straordinarie. Il flusso del brano è interrotto in modo reiterato (definendo la struttura di un brano quasi diaristico, alle cui singole parti sono affidate rappresentazioni differenti) attraverso alcune pause che introducono le strofe. Queste pause sono molto efficaci (sembra di sfogliare un libro e sospendere ogni volta la lettura) e ogni volta asciugano tutta la musica, che viene assottigliata dentro una breve frase di flauto. La seconda parte del brano si trasfigura in una pizzica verosimile, alla quale è affidato il racconto del rovescio del racconto, che qui si fa più cupo e rarefatto, inquadrato dentro un ritmo di tamburi più cadenzati. 


Daniele Cestellini
Nuova Vecchia