“Mirazh” è il titolo del nuovo album di Giovanna Carone e Mirko Signorile. Si tratta di un disco visionario, teso verso l’immaginazione, costruito sull’interazione e la selezione di temi non inusuali ma trattati in modo originale. Un disco dal quale emerge in modo netto lo sforzo compositivo, lo studio, l’approfondimento, un dialogo aperto volto a costruire un racconto cangiante, sebbene evidentemente ancorato a uno stile fluido e allo stesso tempo articolato. Che il duo ha fatto proprio e rielaborato seguendo un trasporto che emerge in ogni nota. Sul piano musicale è ricchissimo, così come l’organizzazione delle “voci” (che sono due: il canto di Giovanna Carone e il pianoforte di Mirko Signorile) risulta sempre inquadrata dentro una riflessione che chiama in causa molti riferimenti: la tradizione yiddish, l’improvvisazione jazz, la cultura musicale ed espressiva dell’Europa dell’est, la musica antica e quella contemporanea. Inoltre, come ci ragguagliano gli autori nelle note introduttive del booklet, il progetto è ispirato da due lavori letterari straordinari (“Le città invisibili” di Italo Calvino e “Il libro dei viaggi” di Beniamino di Tudela, quest’ultimo scritto nell’Alto Medioevo) e guidato dalla volontà di indagare una dimensione che non può essere semplicisticamente ricondotta al viaggio (per quanto sublimato nella letteratura e nelle riflessioni di autori straordinari del panorama internazionale). Ma piuttosto a una serie di elementi che lo connotano come un’esperienza necessaria, irrinunciabile: l’immaginazione, il confronto, l’apprendimento, l’esperienza, la ricongiunzione con il racconto, la narrazione, la parola e la musica, nelle loro forme più profonde ed evocative. Abbiamo raggiunto i due autori e abbiamo parlato di tutto questo, senza tralasciare le considerazioni più specifiche sulla musica e sulle canzoni che compongono “Mirazh”.
Facciamo un po’ di storia. Come nasce il vostro progetto di duo e in che modo “Mirazh” si differenzia dai vostri lavori precedenti.
Giovanna Carone e Mirko Signorile – Il nostro duo è nato nel 2009, intorno al primo progetto "Betam Soul"- l'anima del canto yiddish - sulla reinterpretazione -tra le altre- di molte canzoni di Mordechai Gebirtig, meraviglioso cantore della Cracovia ebraica. Questo lavoro è stato fortemente sollecitato da Marisa Romano, docente di lingua e letteratura Yiddish all'Università di Bari e cara amica da sempre. Nonostante fossimo della stessa città non ci conoscevamo e ognuno di noi veniva da percorsi musicali differenti. Il nostro incontro artistico è stato frutto di una bizzarra casualità e dalla prima prova si è creata una felice alchimia. Come spesso raccontiamo, il caso è diventato necessità e procedere nella nostra ricerca è stato naturale. Far Libe il nostro secondo progetto dal quale il duo prende il nome, ha avuto una diversa gestazione ed è nato dal desiderio di comporre più musica originale, sia in yiddish che in italiano, oltre che di aprirsi ad altre sollecitazioni musicali. Le sei lingue utilizzate e la varietà della musica, dai canti sefarditi medievali al repertorio classico di Gabriel Faure passando per Elvis Costello, sono confluite come affluenti di un unico fiume nel tema dell’amore in tutte le sue declinazioni. In Far Libe è iniziata la nostra collaborazione con Luca Basso, autore stimato e amico. Dopo l’anima e il cuore, è arrivato il viaggio. Mirazh è forse un tentativo di ricomposizione e composizione dei pezzi del nostro percorso musicale e umano. La scelta di fermarsi sull'italiano e sullo yiddish, ormai fonte di ispirazione, è stata naturale e l'azzardo è stato immaginare, per noi, un percorso di sole canzoni e musiche originali. Con Luca e Marisa si è cercata una cornice, un filo, qualcosa che contenesse. Un percorso forse meno casuale che il nostro produttore Don Gino Samarelli di Digressione Music, ha accolto con l’entusiasmo di sempre.
Quali sono i riferimenti stilistici ai quali vi siete ispirati di più in questo lavoro?
Mirko Signorile – Non ci siamo mai dati alcun riferimento sia dal punto di vista filologico che da quello stilistico, perché è come se fossimo partiti da un foglio bianco. Ci siamo fatti guidare dalla nostra sensibilità, dalle emozioni che ci suscitava il suono delle parole, il loro significato profondo e le storie che erano racchiuse nei testi.
Voi lavorate insieme da alcuni anni, ma provenite da esperienze differenti. Come avete costruito il vostro “suono”?
Giovanna Carone - Ognuno di noi ha portato il suo bagaglio-mondo di musica all’altro senza preclusioni e con grande curiosità e desiderio di gioco. Abbiamo la stessa formazione di pianoforte classico, lui -innamorato dello strumento- continua ad esplorarlo con coraggio e senza barriere stilistiche, io sono passata alla voce e ci ho trovato la danza che avevo perduto da bambina. Amo il recitar-cantando del 600 italiano, la madrigalistica o la liederistica francese e tedesca, mi sento a casa anche anche in una vocalità più popolare e melismatica. Non sperimento molto intorno al suono della voce, ma cerco spontaneamente i tanti colori della parola e lo yiddish, con la sua musicalità, mi ha aiutata a trovare una voce più mia.
Il duo può considerarsi una scelta stilistica e anche di rappresentazione, di linguaggio. Che valore ha questa rappresentazione che mette a fuoco pochi e necessari elementi in un mercato discografico caotico come quello contemporaneo?
Giovanna Carone e Mirko Signorile – Un pianoforte e una voce hanno in sé un grande potenziale sonoro e se si riesce a comunicare l’intesa poetica e giocosa, l’amore per ciò che si esegue e si tutela l’equilibrio fra le parti, la musica vince sempre. Il live è il nostro territorio d’elezione per questo motivo. Non siamo mai uguali, ma conserviamo l’equilibrio e il divertimento musicale fra noi, sempre. Abbiamo anche immaginato collaborazioni con guest o arrangiamenti più articolati con interventi di altri strumenti, ma la forza del duo ha sempre preso il sopravvento.
Giovanna Carone - Sul mercato caotico non ho molto da dire, mi sembra un po’ bulimico e sembra seguire con troppa insistenza il gusto del pubblico. Ma è anche vero che il pubblico è meno stupido di come lo si descrive e gli operatori del settore, agenti, produttori, giornalisti, hanno molta responsabilità in questo proporre sempre il già conosciuto. Dovrebbero provare a rischiare anche loro, così come rischiano gli artisti che sperimentano altro da ciò che il mercato chiede.
Sono molti gli aspetti che colpiscono dell’album, sia sul piano musicale che dei contenuti testuali. Qual è il procedimento più efficace da seguire per lavorare in due?
Giovanna Carone - Bella domanda! Mirazh mi sembra contenere opposti. La mia intenzione di lavorare a tavolino, per giunta a otto mani con gli autori dei testi, e l'inevitabile attitudine improvvisativa di Mirko. Si è partiti talvolta dalle suggestioni legate alla lettura di una delle città di Calvino, altre dalla musica composta da Mirko. Dopo tanti anni di lavoro insieme, riusciamo a trovare una direzione musicale in modo naturale. La mia voce si adatta alle ampie e liriche melodie di Mirko, e lui trova il suo spazio creativo senza grandi contrapposizioni. La costruzione delle canzoni è frutto anche di una grande fiducia reciproca.
Mirko, come hai approcciato la scrittura musicale del disco?
Mirko Signorile – La mia scrittura nasce dalle sensazioni che mi da Giovanna, nel senso che non scrivo musica lasciandomi ispirare da altri elementi, ma penso alla sua voce, al percorso comune. Oltre ad essere colleghi, siamo prima di tutto amici, e questo porta ad una serie di condivisioni musicali e di pensiero che rientrano in modo molto naturale nella composizione. Le musiche di “Mirazh” nascono in modo molto libero seguendo queste ispirazioni. Alcuni brani sono nati indipendentemente dal testo e poi hanno trovato una loro collocazione all’interno del disco. In altri come Eufemia Bazar e Quando vedrai Despina, c’è stata un’idea testuale di base suggerita da Luca, su cui è stata costruita la musica. Abbiamo ripreso anche un paio di composizioni realizzate precedentemente per altri miei dischi, brani particolarmente amati da Giovanna che con Luca e Marisa, ritrovando suggestioni di alcune città, si sono trasformate in “Armilla” e “Shmaragden”. Dal punto di vista strumentale questi brani sono già finiti quando incontrano i testi, testi dai quali vengono poi arricchiti.
Sebbene i tratti dei brani siano netti, definiti, in tutto il racconto aleggia una visione del fantastico, del surreale. Il viaggio che rappresentate è legato al sogno, all’immaginario, all’indefinito? Se sì quanto incidono questi aspetti sul viaggio inteso come spostamento, come cambiamento?
Giovanna Carone - Non credo ci sia una direzione così netta. Come dicevo prima, ci sono opposti che si incontrano, sensibilità differenti che dialogano. Due anni fa, davanti al mare, con Marisa, mi sono ritrovata a parlare della vita come continui passaggi tra turbolenze, nei quali si rinnovano equilibri e ci si ricompone per poi perdersi nuovamente. Il mare ci ha portati al viaggio, allo scambio di cose, persone, profumi e sogni. Con Mirko volevamo da tempo cambiare direzione e Luca Basso ha trovato una cornice a queste suggestioni con “Le Città invisibili” di Calvino che sono insieme di tante cose, elementi fantastici e surreali, descrizione di ciò che il viaggiatore vuole o non vuole vedere. Con la musica poetica, sognante e immaginaria di Mirko siamo partiti senza meta apparente ma con il desiderio di andare Oltre ciò che avevamo fatto sino a quel momento. Il nome del cd, “Mirazh”, è arrivato alla fine del viaggio, ma era il nostro inizio e non lo sapevamo.
“Mirazh” è anche un racconto che sviluppa dei temi riconducibili ad alcuni argomenti specifici. Vi è Calvino con le “Le città invisibili”, Beniamino di Tudela con “Il libro dei viaggi” e vi è una serie di personaggi che tirano l’ascoltatore nei luoghi reali e fantastici di un viaggio che sembra necessario. Perché avete scelto questo tema che, inevitabilmente, determina anche il profilo delle composizioni raccolte nell’album?
Giovanna Carone - Mi accorgo che “Mirazh” sembra il frutto di un percorso molto pensato, ma noi lo abbiamo vissuto, pur nelle nostre diversità, come un cantiere in continua ridefinizione. Beniamino da Tudela e Marco Polo sono l’italiano e lo yiddish che dialogano, siamo io e Mirko in viaggio alla ricerca di altre sonorità, sono Marisa e Luca che si confrontano.” Mirazh” è anche un disco sul racconto, è un itinerario immaginario sulla capacità di suggestione della musica e della parola. Le città Invisibili e il Libro dei viaggi sono pre/testi intorno al mestiere dell’artista fabbricante di realtà irreali e inventore di luoghi.
“Oltre” è un brano profondo, allo stesso tempo delicato ed energico. Sia la musica che il testo riescono a sospendersi in uno spazio tra l’onirico e il descrittivo. Può essere inteso come la metafora che meglio rappresenta la condizione che avete voluto indagare?
Giovanna Carone - Forse sì. è stato il primo brano che Mirko ha composto e Luca lo ha fatto diventare l’inizio del viaggio anche dal punto di vista letterario. Mi accorgo rispondendo alle domande, delle felici coincidenze che si sono realizzate intorno a questo lavoro.
Mirko Signorile – Introdotta da un brano strumentale, “Oltre” è una specie di anticipazione. È una esortazione, un prendere per mano l’ascoltatore per portarlo con noi in questo viaggio immaginario. Immaginare non vuol dire pensare a qualcosa che non abbia senso ma piuttosto raggiungere luoghi che hanno qualcosa in più della materialità.
Un altro brano molto suggestivo è la title track. Dal testo emergono immagini straordinarie (e la musica ne amplifica la suggestione), come quella del viaggio, ma anche il ritorno (che trasfigura ciò che si conosceva), la memoria, la riflessione, l’osservazione. Ma anche “luoghi” tipici di un racconto romanticamente “topografico”: base lunare, porto di mare, posti segreti, punti remoti. Il viaggio è un ciclo? Addirittura un ritorno? Una trasformazione?
Giovanna Carone - La title track finisce con una lunga e potente coda strumentale e il cd inizia con un delicato e breve intervento, solo strumentale. Vediamoci un ciclo, vediamoci un ritorno e/o una trasformazione. “ Sempre partire tanto viaggiare, è solo un tornare qui, dove non fosti mai” ci suggerisce Luca… E' l’orecchio di chi ascolta che decide, noi musicisti suggeriamo e spesso senza saperlo. Siamo tutti in cammino, non solo noi artisti. Mi piace pensare che l’arte di/segni i sentieri. Si cammina e ci si perde per tornare, per trovare, per caso, per necessità, per noia. La musica è un mezzo di trasporto fantastico.
Come si evolvono i brani di “Mirazh” in concerto?
Mirko Signorile – I brani sul palco sono sempre molto diversi rispetto alle versioni su disco, che è la fotografia di un momento, di un giorno, di un periodo. In concerto le cose cambiano. Le Canzoni non sono mai stravolte ma sempre arricchite da qualcosa di nuovo, si viaggia e si ritorna anche con i suoni.
Giovanna Carone e Mirko Signorile – Mirazh (Digressione Musica, 2014)
Il prologo migliore a “Mirazh”, il nuovo album di Giovanna Carone (voce) e Mirko Signorile (pianoforte), è quello con cui Luca Basso apre le note del booklet, ragguagliandoci su una sfumatura sottile. Che è anche una questione centrale del lavoro in questione: non si tratta di un disco sul viaggio, ma sul racconto, sulla suggestione, sull’immaginazione. E su tutto ciò che può derivarne, tenendo conto del caleidoscopio di immagini che evocano le dodici tracce che lo compongono e del fatto che tra le fonti che lo hanno ispirato vi sono “Le città invisibili” di Calvino e “Il libro dei viaggi” di Beniamino di Tudela (un viaggiatore ebreo quest’ultimo – probabilmente meno noto ai più – che, un centinaio d’anni prima di Marco Polo, ha intrapreso un viaggio in Oriente, compilando un diario che è stato tradotto in molte lingue e che ha rappresentato “una delle più vivide e famose rappresentazioni medievali del mondo orientale”). I due autori hanno il merito di essere riusciti, con equilibrio, compostezza ma anche molta passione ed empatia, a raccordare tutti i riflessi, dando una forma coerente a un racconto che, per i motivi che abbiamo riportato schematicamente poco sopra, si esponeva al rischio di essere ridondante, iconografico, addirittura retorico. Niente retorica, invece (“Aponim Fedora”). Sorpresa piuttosto: una sorta di alveare affollatissimo di corpi che si muovono, di luoghi che scorrono, di idee che si formano, appaiono, abbagliano e si ritirano nel flusso della musica e della voce (“Inseguendo Zobeide”). Perché se entriamo nel piano dell’esecuzione – della trasposizione in musica di tutta l’idea – di questo si tratta: di voce e pianoforte (“Eufemia Bazar”). E stiamo attenti fin da prima di ascoltarlo: “Mirazh” è veramente una visione (“Oltre”), perché nella misura in cui si appoggia (riguardo l’innesco e la strutturazione) sulle suggestioni dello spostamento, così come della metafora, o per meglio dire sull’impressione travolgente di un itinerario immaginato, assume il profilo di una doppia trasfigurazione. A quella legata all’immaginario e all’immaginato in fase progettuale, infatti, si aggiunge quella della traslazione in musica, della rappresentazione, della traduzione: insomma un’illusione dopo l’altra che definiscono il piacevole paradosso di una storia comprensibile, credibile perché incredibile, lanciata verso qualcosa che tutti percepiamo come possibile, plausibile. Creduta perché compresa nel nervo. Nel vortice che ci trasporta una volta presi dal “dialogo impossibile e inaudito tra un condottiero mongolo e un esploratore veneziano”, che è “il mistero di un’intesa sublime che attraversa le barriere culturali e linguistiche” (“Shmaragden”). Allora si può comprendere il meccanismo della scrittura musicale e dell’esecuzione, ricondotto a un confronto secco, basilare, nel quadro del quale due strumenti si guardano e ci dicono quello che c’è da sapere su questa esperienza. Che è racconto e immagine, forza e vuoto (“Tra le onde di sabbia e deserto/ sulla pista che va verso est/ dentro di te/ luci di magia sentimenti di vertigine/astronomia prosa e poesia/ voci di città sentimenti di vertigine”). Uno spazio in cui il buio avvolge e non disorienta, in cui agli incipit immaginifici del pianoforte orientano la voce piena e soffusa, decisa, tesa in una combinazione da cui grondano i luoghi e le storie. Con coerenza, con ritmo: come granelli di sabbia in una clessidra (“Vi a shpil: Ipazia”).
Daniele Cestellini
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Suoni Jazz