Musiche popolari nello spoletino e nella Valnerina

Le ricerche scientifiche del dopoguerra
La seconda fase nella storia degli studi sulle musiche popolari dello spoletino e della Valnerina è successiva alla seconda guerra mondiale. Questa fase apre la stagione della ricerca etnomusicologica scientifica in Umbria, in seno alla quale il patrimonio etnomusicale è, nella maggior parte dei casi, organizzato in raccolte che coprono vaste aree della regione.

Dopo la costituzione del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare dell’Accademia di Santa Cecilia, nel 1948, comincia una sistematica rilevazione del patrimonio orale, effettuata attraverso la tecnica della registrazione magnetica sul campo e la rilevazione delle informazioni di contesto (come ad esempio notizie biografiche degli informatori, ecc.). I luoghi in cui sono effettuate le raccolte sono quelli della cosiddetta fascia folclorica. 

In questo quadro, anche in Umbria vengono realizzate alcune raccolte. La prima è del 1954 ed è denominata Raccolta 24/R dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (AESC): Alan Lomax registra nelle località di Gualdo Tadino, Assisi e Norcia. La raccolta fa parte del grande viaggio che Lomax ha intrapreso insieme a Diego Carpitella (al tempo assistente alla direzione del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, diretto da Giorgio Nataletti) e che tocca quasi tutte le regioni italiane[1].

Dal 9 al 16 dicembre del 1956, Diego Carpitella e Tullio Seppilli (Direttore del neo-costituito Istituto di etnologia e antropologia culturale dell’Università degli Studi di Perugia) effettuano una rilevazione che si propone di toccare più sistematicamente tutta l’Umbria. La ricerca ha portato alla raccolta 33 (AESC) e ha interessato le seguenti località in provincia di Perugia: Norcia, Maltignano di Cascia, Caprareccia di Spoleto, Coldipeccio di Scheggia e Pascelupo, Pietralunga, Gubbio, Volterrano di Città di Castello, Morra di Città di Castello, Monte del Lago di Magione, Torre dei Calzolari Alta di Gubbio, per un totale di 108 documenti registrati (cfr. la revisione del catalogo delle registrazioni umbre in Palombini 2005, pp. 79-82) [2].

Se ci focalizziamo sull’area che ci interessa, vediamo che, nella raccolta 24/R (AESC) furono registrati a Savelli di Norcia un totale di undici documenti: alcuni stornelli, ninne nanne e pezzi strumentali per organetti. A Norcia furono registrati tre documenti: due pasquelle e un saltarello strumentale eseguito con organetto.

Nella raccolta 33 (AESC), il giorno 9 dicembre 1956, a Norcia, il contadino Adolfo Consolini viene registrato in due interviste e canta tre ottave memorizzate e una canzone da bifolco (per un totale di sei documenti sonori). Il giorno seguente, la troupe – che era composta, oltre che dai due ricercatori, da alcuni tecnici che utilizzavano un furgone Rai autosufficiente per l’energia elettrica necessaria alle attrezzature di registrazione – si sposta a Maltignano di Cascia, paese di Consolini. Qui vengono registrati diciannove documenti: stornelli accompagnati dall’organetto, canti della mietitura a voci sole alterne, una ninna nanna, due pasquarelle, un’ottava rima improvvisata, un canto da bifolco e dei racconti popolari. Il giorno 11 dicembre, tornando dalla Valnerina, la troupe incontra, presso il vocabolo Caprareccia di Spoleto, un gruppo composto prevalentemente di donne, provenienti dal vicino paese di Borgiano. Con le donne registrano sei canzoni narrative: Donna lombarda, Vatte a vestì Susanna, Armelinda sta in finestra, Scendendo giù dai monti, Se voi mi ascolterete gente mia, Rosina che si veste tirulì. Vengono, inoltre, registrati cinque canti della mietitura eseguiti da una voce maschile. 

Tutti i documenti, oltre che presso il Dipartimento Uomo & Territorio dell’Università degli Studi di Perugia, sono conservati presso gli Archivi di etnomusicologia dell’Accademia di Santa Cecilia. La loro catalogazione è accessibile online, nell’area dedicata del sito dell’Accademia, così come l’ascolto dei primi quaranta secondi di ogni singolo brano.

Qui di seguito diamo in dettaglio i link per ogni singolo documento:

Raccolta 24/R[3] (AESC), 10-14 dicembre 1954

Savelli di Norcia

10. Questa sera si fa la favorita (stornelli, voce femminile)
11. Anzi ch’io mi trovo in questo giorno (stornelli, voce femminile)
12. Ninna oh, ninna oh, questa sera non si può (ninna nanna, voce femminile)
13. Fai la ninna, fai la nanna, fai la ninna amore di mamma (ninna nanna, voce femminile)
14. O viso bianco comme una farina (stornello di fidanzamento, voce femminile)
15. Saltarello (organetto)
16. Saltarello di Castel Luciano[4] (organetto)
17. Mazurka (organetto)
18. Polka (organetto)
19. Step (organetto)
20. O viso bianco comme una farina (stornello di fidanzamento, voce femminile)

Norcia
21. No' simo vinuti co' buona creanza (pasquetta, voci maschili, organetto[5])
22. Suonano i pifferi, si leva un canto (pasquella, voci maschili, organetto)
23. Saltarello di Norcia (organetto)

Raccolta 33 (AESC), 9-16 dicembre 1956
Norcia
1. Norcia è città che in mezzo a un piano siede[6]



2. Nel tempo che Re Carlo imperatore (ottava rima memorizzata, voce maschile)
3. Intervista con il "poeta" Consolini (intervista)
4. E uno, due e tre, poche parole (canto di bifolco, voce maschile)
5. Negli anni che de' Guelfi e Ghibellini (Pia de’ Tolomei, voce maschile)
6. Altra intervista con il "poeta" Consolini (intervista)


Maltignano di Cascia
7. E ancora da la via ’n me n’ero andato
8. Giovanottino col viso rosato (stornelli, voci miste, organetto)
9. Saltarello (organetto)
10. Polka (organetto)
11. E quest’è lu campu de la pela pela (canti della mietitura, voci miste alternate)
12. Ninna oh, ninna oh che pazienza che ce vo' (ninna nanna, voce femminile)
13. Maltignano è il paesello a cui io so' nato (ottava rima, voce maschile)
14. C'è la neve sulla siepe, c'è la stella sul presepe (pasquarella, voci infantili, somarello)
15. Oggi è quella giornata che vinnero i tre re (pasquarella, voci infantili, somarello)
16. So’ stato a Roma e so’ stato a San Pietro



17. Ciclo di racconti popolari (I pazzi di Onelli, voce maschile)

Caprareccia di Spoleto
18. Donna lombarda perché non m’ami (Donna lombarda, voci femminili)
19. Vatti a vestì Susanna (Susanna, voci femminili)
20. Armelinda sta 'n finestra (Ermelinda, voci femminili)
21. Scendendo giù dai monti (canzone narrativa, voci femminili)
22. Se voi ascolterete o gente mia (canzone narrativa, voci femminili)
23. Rosina che si veste tirulì (canzone narrativa, voci femminili)
24. E quisti quattro giorni de lo mete (canti della mietitura, voce maschile)

Questi documenti non ci danno un quadro esauriente dei repertori che in quegli anni erano diffusi nella zona. D’altra parte l’inchiesta, mentre ha documentato i canti rituali della pasquella, non ha rilevato quelli delle passioni, che dovevano essere ugualmente molto diffusi ma che non è stato possibile documentare perché venivano cantati in funzione solo nel periodo pasquale. 


Il cantore Secondo Morbidoni 


L’ex mezzadro Secondo Morbidoni è stato uno dei cantori più importanti dell’Umbria (classe 1913). È stato un personaggio che, secondo la definizione di Diego Carpitella, può essere definito un albero di canto. In questa intervista racconta l’inizio della sua “carriera” di cantante e il suo rapporto con i repertori di tradizione orale della zona.
Oltre a conoscere tutto il repertorio eseguito in occasioni rituali (passioni e pasquelle) e molte canzoni narrative, Morbidoni è stato uno degli ultimi testimoni di una pratica improvvisativa molto diffusa nello spoletino, basata sulla forma metrica del distico di endecasillabi. 
Riportiamo una lunga improvvisazione che Morbidoni ha eseguito accompagnato alla fisarmonica da Ennio Bianconi, durante una festa popolare a Monte Martano il 22 novembre 2001. La prima parte di questo brano è stata già pubblicata nel cd allegato a D. Cestellini, A. Lamanna, G. Palombini (a cura), D’altro canto, Squilibri, Roma, 2013. Morbidoni, dopo aver improvvisato insieme a “Pimpinicchio” – anch’egli cantore della zona – continua da solo e, prendendo spunto da una coppia che si stava avvicinando, fa sfoggio di molti stereotipi verbali solitamente utilizzati in queste occasioni di canto e soprattutto nelle serenate.  
Secondo Morbidoni affermava di conoscere numerose Passioni. Tra queste, sia la Passione del Signore che la passione che racconta ora per ora le sofferenze di Cristo – Passione delle ore, che comincia di solito con le parole è preparata l’ora d’aver l’ultima cena – sia ancora molte canzoni narrative, possono essere eseguite indifferentemente su due moduli melodici. Riportiamo di seguito la Passione della Madonna della Stella, molto diffusa nella zona, che è stata eseguita dallo stesso Morbidoni secondo l’uno e l’altro modulo. 
Il rituale, dal punto di vista della prossemica, cioè della disposizione degli officianti (cantori e suonatori) e dei partecipanti, non ha conservato la struttura tradizionale. Difatti, se tradizionalmente i cantori e i suonatori venivano fatti entrare in casa ed eseguivano seduti la passione, mentre gli astanti ascoltavano in piedi, nell’intervista riportata prima dell’esecuzione della Passione della Madonna della Stella, Morbidoni afferma che, secondo la sua esperienza, questo ordine non fosse così cogente. 
Altri repertori di cui Secondo aveva un’ampia conoscenza erano quelli dei canti narrativi diffusi prevalentemente attraverso i fogli volanti. Della grande quantità di questo tipo di canti, ce ne da una testimonianza con la storia che inseriamo qui di seguito, che riporta fatti risalenti alla fine della seconda guerra mondiale.
I canti rituali dell’Epifania erano diffusi anche nel territorio di Spoleto. La pasquarella, cantata da Secondo Morbidoni, ci testimonia la diffusione di un tipo di canto, di origine ottocentesca, forse nato nell’ambito dei canti devozionali, che ha poco a vedere con l’impianto melodico e testuale dei canti di questua. La melodia di questo canto è, infatti, in minore e contribuisce a conferirgli un’atmosfera di pia religiosità devozionale, del tutto assente nelle pasquelle della Valnerina, dove invece le strutture melodiche definiscono un’aria gioiosa e di giubilo, che a sua volta riflette la funzione primaria della questua. 
In Valnerina, e in modo particolare a Cascia, la tradizione delle pasquarelle è ancora oggi molto vitale ed è possibile riscontrare questi repertori in funzione la sera del 5 gennaio. Nel 1956 Carpitella e Seppilli registrarono a Maltignano di Cascia due pasquelle, eseguite da un gruppo di bambini che si accompagnano con uno strumento a percussione formato da campanelli e che loro chiamano somarello (cfr. Raccolta 33 (AESC) doc. 14 e 15). Anche oggi, oltre ai bambini, il gruppo dei pasquarellari è composto da uomini e donne di ogni età. Il canto è accompagnato prevalentemente da vari strumenti a percussione, tra i quali oltre a quello citato vi è il tamburello, il tamburo a frizione, il triangolo. Lo strumento melodico è, quasi esclusivamente, l’organetto. È possibile riscontrare vari tipi di pasquerelle, che si differenziano sia nei testi sia nelle strutture melodiche e che, in genere, i cantori alternano lungo il percorso della questua. 


Il revival e l’altra Spoleto 

La terza e ultima fase che ha caratterizzato gli studi sulle musiche popolari dell’area dello spoletino e della Valnerina è quella che dagli anni Sessanta e Settanta si protrae fino a noi. Per quanto riguarda lo spoletino è importante ricordare le rilevazioni e, in generale, il lavoro effettuato da L’Altra Spoleto, un gruppo di appassionati e ricercatori attivo negli anni Settanta. Come accennato in apertura di queste note, L’Altra Spoleto è un collettivo che nel 1975 ha pubblicato Canto e ricanto e lu mi’ amor nun zente, un disco edito dalla Fonit Cedra, del quale Otello Profazio ha curato gli arrangiamenti e coordinato musicalmente l’organizzazione. Secondo le loro stesse testimonianze, lo spettacolo Bella ciao. Un programma di canzoni popolari, messo in scena al Festival dei Due mondi di Spoleto nel 1964, diede una spinta positiva alla costituzione del gruppo e alla sua attività di ricerca. Non solo per lo scalpore che destò, e che andò ben oltre ogni previsione sia dell’organizzazione che del Nuovo Canzoniere Italiano, il gruppo che lo ha rappresentato e del quale facevano parte personalità importanti del panorama folk italiano, ma soprattutto perché la stessa organizzazione dello spettacolo rifletteva un’apertura al mondo popolare che, fino a quel momento, era stato appannaggio quasi esclusivo degli studiosi. Allo stesso modo, soprattutto Pierluigi Felici, che aveva partecipato ad altri progetti umbri di riproposta delle musiche popolari, seguiva con interesse le iniziative di soggetti che in quegli anni avevano orientato la ricerca sia verso la riproposta sia verso la politica, come ad esempio il Circolo Gianni Bosio di Roma. 

Da un punto di vista tecnico, la riproposta del gruppo è realizzata attraverso una sintesi che pone in primo piano gli elementi vocali, tralasciando il lavoro sugli strumenti musicali e sugli arrangiamenti, che sono affidati esclusivamente alla chitarra con funzione di accompagnamento. Per quanto riguarda, invece, il progetto de L’Altra Spoleto, possiamo dire che si è sviluppato in un quadro definito soprattutto dall’interesse e la passione per il mondo popolare, dalla fascinazione che alcuni aspetti della cultura popolare dello spoletino – come ad esempio la convivialità legata alle occasioni di canto – hanno esercitato sui quattro componenti del gruppo. In questo senso vanno probabilmente interpretate la selezione dei repertori e il profilo generale che ha assunto il disco. Dalle testimonianze degli stessi membri, emerge infatti che il loro rapporto con i vecchi contadini incontrati nelle campagne dello spoletino si sviluppava in un clima estremamente cordiale e anche di scambio, in un quadro generale in cui cioè gli aspetti centrali non erano quelli legati alla ricerca – intesa nel senso scientifico e tradizionale – ma piuttosto a contenuti più leggeri e che convergono in un tipo di relazione di solidarietà e di amicizia. Seguendo questa linea, sono stati registrati repertori che si rifacevano principalmente al canto narrativo, oppure stornelli giocosi e, in generale, storie. Da questa prospettiva sono rimasti fuori i canti rituali e i canti di lavoro. Questi ultimi in realtà sono presenti nel disco, ma non nelle modalità tipiche della tradizione dell’area, cioè eseguiti a due voci che si alternano e si sovrappongono in alcuni tratti, ma a voci singole o in coro. 

2. 
Nella sua nota introduttiva al disco Canto e ricanto e lu mi' amor nun zente del 1975, Tullio Seppilli delinea il quadro generale dello stato degli studi sulle musiche popolari umbre, sottolineando come queste siano investite allo stesso tempo da "un vasto lavoro di inchiesta diretto a documentare quanto ancora rimane (sia pure nella sola memoria degli anziani senza riscontro, ormai, nella pratica quotidiana)" e da un crescente interesse non scientifico che sfocia sempre più spesso in progetti di riproposta. 
Riguardo il lavoro di ricerca, Seppilli sottolineava quanto questo avesse assunto un ritmo serrato che aveva portato a una "documentazione etnomusicologica abbastanza rilevante la quale può venire messa a confronto, peraltro, con quella - assai cospicua e tuttavia limitata ai soli testi verbali - prodotta negli ultimi decenni dell'800 e nei primi anni di questo secolo dai ricercatori in qualche modo connessi a una matrice positivistica. Ora si tratta di capillarizzare le indagini, di colmare le lacune rispetto alle aree meno esplorate, di individuare un maggior numero di varianti, e soprattutto di approfondire il lavoro di confronto e di interpretazione. E si tratta di agire in fretta, prima che scompaiano gli ultimi testimoni-protagonisti di una civiltà che muore". 
Il senso e il significato di una ricerca che segue questa prospettiva è anche politico, oltre che scientifico[1]. Difatti, "fuori da ogni compiacimento romantico per una 'riscoperta dell'arcaico' si tratta di contribuire, mediante la raccolta e lo studio dei documenti della espressività musicale contadina, alla ricostruzione di quella storia delle classi subalterne, delle loro condizioni materiali e della loro vita culturale, nei cui confronti sono stati negati, finora, per ben precise ragioni, spazi di ricerca e dignità di valore scientifico e politico". 
In questo quadro - all'interno del quale si mantiene inalterato il significato di ciò che Seppilli ha scritto ormai quasi quarant'anni fa - viene a formarsi la prospettiva di uno sguardo etnografico più ampio, rivolto non solo allo studio delle produzioni storiche e di tradizione orale, ma anche all'analisi dei nuovi vettori (politici e socio-culturali) che definiscono il profilo contemporaneo delle musiche popolari. 
Il movimento della "riproposta" delle musiche di tradizione orale, che negli anni Settanta - in Umbria, in Italia, in molti paesi europei e negli Stati Uniti - ha lanciato prospettive musicali nuove, maturate nel solco di una sperimentazione che ancora oggi produce esiti interessanti, rappresenta l'altro polo che ha orientato una parte della ricerca etnomusicologica di quel periodo e che muove l'interesse di parte di quella contemporanea. Se, come suggerisce Seppilli, va analizzato "il raccordo tra politica della ricerca e politica culturale", è altresì importante comprendere non solo "il significato e la funzione" della riproposta decontestualizzata, ma soprattutto il ruolo che questa assume nel processo di rielaborazione delle funzioni e dei significati associati alle musiche di tradizione orale e al contesto politico-culturale cui fanno riferimento. E questo è quanto mai vero oggi che molti progetti di riproposta si sono evoluti fino a divenire delle realtà stabili che in molti casi rappresentano il canale esclusivo, al di fuori del circuito scientifico, attraverso il quale vengono veicolate e conosciute le musiche popolari sia su scala nazionale che internazionale. Ogni qualvolta si prende in esame la forma riproposta di un brano o di un repertorio di tradizione orale, se ne analizzano non solo gli elementi musicologici - che, beninteso, mantengono un ruolo centrale nello studio delle espressioni musicali di tradizione orale, così come nello studio di quelle scritte - ma anche socio-culturali. Questo approccio più inclusivo da un lato rende più chiare le articolazioni degli elementi che costituiscono il singolo brano musicale o il repertorio di brani in esame, mentre dall'altro definisce le relazioni di questi con il contesto sociale entro il quale sono stati generati, entro il quale sono eseguiti in occasioni rituali, o sono completamente decaduti e soltanto ricordati dai più anziani, oppure riproposti contestualmente a ricorrenze che includono una buona dose di spettacolo (queste ultime sono molto diffuse e in molti casi rappresentano un'occasione in cui è possibile ascoltare delle forme ibride di canti e musiche popolari, che cioè fanno parte di repertori di tradizione orale, ma sono eseguiti da cori organizzati o da artisti, più o meno dilettanti, che li hanno raccolti e riproposti con varianti personali). 
A distanza di quasi quarant'anni e dentro un quadro sicuramente più complesso, possiamo aggiungere che se nel 1975 era in atto, "in Umbria come altrove, un vasto dibattito" che andava di pari passo con "un gran numero di risposte e di esperienze concrete", negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale dell'interesse verso le musiche popolari, determinata dai due fattori di cui parla Seppili - vale a dire la ricerca etnomusicologica da un lato e la riproposta da parte di appassionati, musicisti e ricercatori non accademici dall'altro - ai quali potremmo aggiungerne un terzo e un quarto: le politiche culturali di molte amministrazioni locali, che puntano alla rivalutazione in chiave identitaria dei patrimoni culturali locali per rilanciare, anche a fini turistici, la propria immagine, e una fascia del mercato discografico che propone, con strategie sempre più convincenti, i repertori musicali neo-tradizionali come valida alternativa alle produzioni musicali mainstream.

Daniele Cestellini e Giancarlo Palombini

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[1] Questo scritto è stato pubblicato in “Tradizioni in piazza. Spoleto, arte, cultura e tradizioni, Ars Spoletium e Italian Accordion, CD-Rom, Spoleto, 2014. Qui se ne propone una versione priva dei riferimenti ai documenti audio per i quali si rimanda al CD-Rom sopracitato.

[2] Cantautore e cantastorie calabrese attivo fin dai primi anni Sessanta nella ricerca e nella rielaborazione dei repertori musicali di tradizione orale del sud Italia. Nel 1957 ha pubblicato il suo primo 78 giri U figghiu du mastru pettinaru/U Ciucciu (Cetra, DC 5686).

[3] Per un'introduzione agli studi e alle ricerche etnomusicologiche in Umbria si veda G. Palombini, Cantar l'Umbria. Musica, canto e danza nelle tradizioni umbre, Anteo, Perugia, 2005.

[4] Tra i lavori che, in questa chiave, hanno interessato l'area dello spoletino, si veda M. Chini, Canti Popolari Umbri raccolti nella città e nel contado di Spoleto, Todi, Casa Editrice Atanor, 1917; O. Marcoaldi, Canti popolari inediti Umbri Liguri Piceni Piemontesi Latini raccolti e illustrati da O. M., Genova, Tipografia sordomuti, 1855; G. Pompili, Canti popolari umbri, in "La Rondinella. Strenna umbra per l'anno MDCCCXLIV", serie II, anno IV, Spoleto, presso gli Editori, Firenze, Al gabinetto scientifico-letterario di G. P. Vieussex (1845), pp. 293-307; N. Sebastiani, Canti popolari umbri con prosette varie, in "La Rondinella. Strenna umbra per l'anno MDCCCXLIV", serie II, anno IV, Spoleto, coi tipi di G. Aurelij, 1844, pp. 89-112.

[5] Le strenne letterarie erano libri realizzati allo scopo di essere regalati nei periodi festivi dell’anno e per questo si presentavano molto curate sotto il profilo editoriale.

[6] Come sottolinea Palombini, "il canto popolare [...], studiato e analizzato contenutisticamente e poeticamente nella sua sola componente verbale, è visto da questi letterati strumentalmente, come possibile fonte dalla quale attingere nuova linfa e immagini poetiche e non come prodotto culturale complesso, formato dall'interazione tra testo verbale e moduli musicali sui quali esso è cantato" (2005: 9).

[7] Alcuni di questi testi sono difatti presenti in più raccolte e registrati sul campo in aree diverse. Ad esempio il seguente passo «Vorrei morire e non vorrei la morte/ vorrei vede’ chi mi piangesse forte/ vorrei morire e stare sur un pero/ vorrei vede’ chi mi piange davvero/ vorrei morir e star su ‘na rametta/ vorrei vede’ chi mi piangesse in fretta/ vorrei morire e stare sur un noce/ vorrei vede’ chi mi porta la croce/ vorrei morire e stare sur un’ ara/ vorrei vede’ chi mi porta la bara» (p. 100) è riportato nella raccolta di Sebastiani del 1844 e, senza variazioni sostanziali, possiamo riscontrarlo nella Raccolta 33 (AESC) come canto a vatoccu, registrato il 12 dicembre 1956 in località Coldipeccio di Scheggia e Pascelupo, e sia nella forma di canto a vatoccu che in quella di canto per la mietitura, eseguito da un gruppo di donne, registrato il 13 dicembre 1956 a Volterrano di Città di Castello.

[8] Ad esempio il distico «apriteci le porte e le finestre/ ne semo al cor de la bona gente», diventa nell’esecuzione « apriteci le porte e le finestre/ ne semo al cor de la bona gente/ ne semo al core la/ ‘rriva la bionda dammi la ma’/ ne semo al core della bona gente» (Palombini 2005, p. 44).

[9] Per informazioni sui viaggi di Alan Lomax e sulle sue esperienze di ricerca in Italia, cfr. Goffredo Plastino ( a cura), L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia, 1954-1955, Il Saggiatore, Milano, 2008.

[10] Nel gennaio del 1958 Diego Carpitella e Tullio Seppilli effettuano la campagna 37 (AESC) per un totale di 94 documenti registrati e che, cominciata in provincia di Perugia (La Borgia e Casamanza di Perugia, Casemasce di Todi), prosegue e si conclude nella provincia di Terni (Pantano di Fornole di Amelia, Polino, Vallecupa di Arrone, Santa Lucia di Stroncone, Parrano).

[11] L’ordine del catalogo, che noi qui riportiamo identico mantenendo la numerazione originale, non rispetta quello cronologico. Difatti a Norcia le registrazioni sono state effettuate il giorno 10 dicembre 1954, mentre a Savelli di Norcia il 14 dicembre.

[12] In realtà si tratta di una marcetta.

[13] Per quanto riguarda questa traccia e le due successive, crediamo che lo strumento usato non sia diatonico e che quindi si tratti di fisarmonica.

[14] Di questo brano e di quelli successivi ai numeri 7 e 16 riportiamo le trascrizioni della prima macro-struttura da G. Palombini, Cantar l’Umbria. Musica, canto e danza nelle tradizioni umbre, Anteo, Perugia, 2005, pp. 27, 56, 57 (tracce 2, 19 e 20 del CD allegato).

[15] Lo era in modo più esplicito in molte indagini degli anni Settanta e in alcune ricerche condotte da Seppilli in Umbria, in particolare sul teatro popolare del "Sega la vecchia" e sulla riproposta della sua struttura narrativa intorno a temi cogenti come l'aborto, per il quale nel '74 era stato indetto il referendum popolare.


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