Namvula Rennie è donna e artista cosmopolita che incarna l’ibridazione culturale contemporanea, con buona pace della meschina piccolezza cerebrale dei propugnatori della purezza identitaria. Songstress e chitarrista dotata di voce espressiva, calda e vellutata, attiva da almeno un decennio sulla scena artistica londinese (è anche fotografa e co-fondatrice del Film Africa Founding), Namvula è impegnata anche nel sociale con progetti rivolti a bambini e a richiedenti asilo che hanno subito violenze. Ha suonato, tra gli altri, con Hugh Masakela e la sitarista Anoushka Shankar. Nata in Zambia da padre scozzese e madre zambiana, entrambi missionari, Namvula è vissuta in Svizzera, Kenya e Stati Uniti prima di stabilirsi a Londra. “Shiwezwa” è il villaggio della sua trisavola, una sacerdotessa e una “madre della pioggia”, Namvula in lingua ila, da cui deriva il suo nome e alla quale è dedicato “Nsalamo”, brano che ci porta nelle atmosfere sonore dell’Africa australe. La produzione di questo più che promettente esordio a tinte folk- latin-jazz-pop è affidata a Liran Donin, bassista di origine israeliana, tra i protagonisti del panorama jazz della capitale inglese, con il contributo fonico di Sonny, producer già al servizio della nuova diva del Wassolou Fatoumata Diawara, e senza dimenticare l’ispirazione e l’aiuto dati dalla zia Maureen Lupo Lilanda, cantante che gode di ampia popolarità in Zambia. Su di lei si è espressa in termini lusinghieri la stampa britannica, dagli autorevoli quality papers alle prestigiose riviste world e trad “Songlines” e “fRoots”. “Shiwezwa” (www.namvula.com) è un disco plurilingue (lenje, chichewa, inglese, portoghese, francese), che presenta un composito assortimento di composizioni dal tratto stilistico riconducibile a diverse aree del continente africano e non solo, con la voce elastica della cantante a fare da filo conduttore tra piacevoli profili melodici e arrangiamenti freschi e vivaci, che mettono in primo piano la limpida chitarra del ghaniano Alfred Bannerman (già con gli Osibisa), le percussioni di Mamdosu Sarr (che suona con Baaba Maal), il sax sempre caldo di Chris Williams e il fraseggio terso della kora di Kadialy Kouyate, svettante soprattutto nella radiosa “Maweo” e nella lirica “Kumushi (Home)”. Fin dai primi tre brani (“Yumya Moyo”, “Mukwesu” e Umoyo Wanga”) si finisce catturati dalla veste sonora affabile del lavoro. Il beat dell’Africa urbana, tra passo ritmico highlife e jive, prende il sopravvento in “Andorinha”, meno incisiva appare, invece, la malizia pop di “Africa”, mentre mostrano il mood anglo-sassone sia la ballad di impianto americano “Old Man” che la folk song dalle nuance scozzesi “Sign of the Times”. Dai tratti intimistici si procede verso quelli vibranti della fusion flamenco-jazz-funk di “Na Ndayeya”, scritta dalla zia Lilanda. Una rivelazione!
Ciro De Rosa
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