Allan F. Moore e Giovanni Vacca (edited by), Legacies of Ewan MacColl. The Last Interview, Ashgate, 2014, pp. 294, £ 65.00

Il 22 ottobre 1989 scompariva Ewan McColl, artefice, con Albert L. Lloyd – e senza dimenticare il grande contributo dell’etnomusicologo statunitense Alan Lomax e dello studioso scozzese Hamish Henderson – del primo folk revival britannico, scopritore della canzone industriale, ricercatore e compilatore di raccolte, divulgatore attraverso i media (pensiamo solo alla straordinaria serie delle “Radio Ballads” prodotte con Peggy Seeger e Charles Parker per la BBC tra il 1957 e il 1964. Per comprendere la genesi e l’opera creativa delle “Ballads”, si rimanda all’ottimo lavoro di Peter Cox “Set into Song”, pubblicato per Labatie Books nel 2008) ma anche autore di canzoni considerate ormai dei classici folk. Bertie Lloyd e Ewan MacColl (al secolo James Miller) avevano superato quell’orientamento tardo-romantico, estetizzante e idealizzante il mondo popolare, di folkloristi come Francis J. Child e Cecil Sharp. Il volume curato dall’eminente musicologo inglese Moore e dal nostro studioso di culture popolari, musicologo e giornalista Giovanni Vacca, già noto al pubblico per numerosi e innovativi volumi dedicati al mondo popolare del Sud Italia, alle tradizioni musicali orali e alla canzone urbana, soprattutto quella napoletana, rappresenta un eccellente ripensamento del lavoro di questa poliedrica personalità della cultura britannica. Il volume si avvale degli ulteriori contributi critici del ricercatore di popular music Dave Laing (“MacColl and the English Folk Revival”), di Matthew Ord (curatore delle ampie note) e di Franco Fabbri (“MacColl in Italy”). In particolare, il saggio dell’accademico italiano prende in considerazione l’influenza di McColl nel nostro Paese, attraversando le stagioni del folk revival italiano tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta: all’incirca dallo spettacolo “Bella Ciao” agli Stormy Six (di cui ha fatto parte), passando per l’interesse verso la canzone brechtiana e la nuova cancion sudamericana, contestualizzando il revival nei suoi aspetti politici e culturali, oltre che musicali e di ricerca etnomusicologica. Tuttavia, è la prefazione di Peggy Seeger (moglie di Ewan per oltre trent’anni) a mettere subito le cose in chiaro: il perno di questo volume sono le lunghe ore di intense conversazioni che l’allora giovane studioso italiano (siamo tra il 1987 e il 1988, un anno prima della fine del grande artista nato nella cittadina di Salford nel 1915 in una famiglia working class) raccoglie dalla viva voce di MacColl, del quale è ospite. Siamo di fronte ad una documentazione a lungo tenuta nel cassetto, ora finalmente pubblicata dopo anni e anni di lavoro di rifinitura, con un notevole apparato critico e corredato da una serie di scatti inediti di Doc Rowe. “L’ultima intervista” vede MacColl, che in quegli anni era alle prese con la sua autobiografia “Journeyman”, confrontarsi con lo sguardo esterno di uno studente che fa trapelare qualche ingenuità riconducibile alla sua giovane età. Nondimeno, Vacca porta la sua prospettiva in parte “decentrata” rispetto a quel mondo britannico conosciuto dagli studi universitari e tramite gli artisti del folk revival anglo-scoto-irlandese; è affascinato dall’universo musicale “celtico”, in primis dalla figura di Alan Stivell, centrale per molti di noi italiani in quegli anni, ma è anche consapevole di quanto sta accadendo politicamente nella Gran Bretagna schiantata dal thatcherismo e nell’Europa orientale in fermento che avrebbe visto la caduta del muro di Berlino un anno dopo. MacColl non si sottrae alla raffica di quesiti di ampio respiro a cui è sottoposto, anzi si offre con gusto e offre a Vacca e – per fortuna a noi oggi – una ricca messe di informazioni, produce un’analisi del suo operare come ricercatore, come autore di canzoni, come drammaturgo e uomo di teatro (aveva iniziato così) e come attivista politico, ruoli sempre tenuti insieme. McColl descrive con agilità i repertori popolari della Gran Bretagna, ci porta in Irlanda, discute della canzone operaia e delle ballate popolari, del canto tradizionale e degli chansonnier francesi; con lui si entra nella cultura dei Traveller e nella storia scozzese. Ancora mette a confronto aspetti della cultura popolare e della cultura di massa, riflette sulla pratica del folk revival, ma anche su aspetti teoretici degli studi folklorici, discute dalla sua prospettiva marxista di politica britannica e di questioni internazionali. Sulla base della sua concezione modernista riprende le aspre critiche, già pubbliche, nei confronti dell’uso pop delle folk-song operato da Dylan. Né può mancare la rassegna dei classici d’autore di MacColl: pensiamo a “The First Time Ever I Saw Your Face”, “Dirty Old Town”, “Moving-on Song”, “The Ballad of Accounting” o la celebre “The Shoals of Herring”, assimilata all’interno della cultura popolare irlandese tanto da essere ritenuta un tradizionale. Ciò che non va sottaciuto, è che proprio grazie allo sguardo “eccentrico” di un intraprendente studente italiano MaColl, pur non perdendo la sua insularità, diventa figura europea di artista ed attivista. È l’aspetto del McColl compositore, discusso dal Vacca, maturo musicologo, nel suo ottimo saggio “Form and Content: The Irreconcilable Contradiction in the Song-writing of Ewan MacColl”. Altrettanto rilevante l’intervento “MacColl singing”, nel quale Allan F. Moore mette a confronto lo stile canoro di McColl con quello degli altri membri del Critics Group. Se è vero che il prezzo dell’opera, che esce per la collana “Popular and Folk Music Series” dell’editore Ashgate, è decisamente alto, la lettura di “Legacies of Ewan McColl. The Last Interview” è imprescindibile per gli studiosi di popular music e per chiunque sia interessato alla cultura e alla musica tradizionale britannica. 


Ciro De Rosa
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