Glad Tree - Onda Luminosa (Capra/Costanza 2015)

“Onda luminosa” è il titolo del primo album dei Glad Tree, un trio che ha composto - sotto la guida di Marcello Capra, chitarrista raffinato e navigato - un insieme di melodie avvolgenti, suonate con pochi ma essenziali strumenti: flauti, armonica, tamburelli (Lanfranco Costanza), chitarra acustica, tabla (Kamod Raj Palampuri, il quale presta anche la voce in alcuni brani). Strumenti essenziali soprattutto per definire lo stile del trio, che si ricava con sicurezza (e competenza tecnica straordinaria) uno spazio netto nell’ambito della world music più sperimentale. Anzi, uno spazio che si configura come innovativo e ricco di suggestioni - innanzitutto perché definito attraverso il dialogo tra pochissimi strumenti - in un ambito sicuramente pregno di ottime produzioni, ma spesso affannato dalla sua stessa capacità inclusiva (che ne determina anche la debolezza o, più precisamente, una irriducibile e paradossale rigidità). Il primo ascolto di “Onda luminosa” - nel quale, beninteso, il leitmotiv è l’acustica di Capra, suonata con precisione e legata ad alcune delle più belle suggestioni chitarristiche: dal blues al rock, fino al progressive - ci colpisce subito attraverso il ritmo. Si tratta di un ritmo che può sembrare frenetico, estemporaneo (colto nella jam e fissato), ma io credo che derivi dal processo compositivo e, ovviamente, dalla relazione tra gli strumenti. È un ritmo estremamente sobrio, per quanto apparentemente convulso, “tecnico”, esaltato sopratutto attraverso una formula che viene reiterata in quasi tutte le tracce: la solidità di chitarra e tabla, da un lato, e il contrappunto del flauto, che saltella su una base strutturata con melodie eteree, sfuggevoli e allo tesso tempo nette (in “Marmaris-Danza turchese” è il flauto ad anticipare il tema, sul quale si attestano poi gli altri strumenti). Ho richiamato prima lo spazio sperimentale dentro la categoria “world music”. La corrispondenza con questo contenitore profondo non può rimanere in secondo piano. In parte perché le composizioni di questo disco contribuiscono a sostenere l’ipotesi secondo la quale un genere così complesso (di cui tanto si parla, si dibatte, e che si tenta di definire sulla base di elementi eterogenei e spesso controversi) si differenzia dagli altri perché alla base non si può riconoscervi uno stile preciso, ma piuttosto un insieme programmatico di intenzioni (che possono anche trasfigurarsi in idee, visioni, sensazioni). E poi perché - e qui entriamo nel merito di questi tre musicisti - il genere si presta (poi spetta a chi ne parla tratteggiarne le sfumature più determinanti) anche a riassumere e rappresentare le soluzioni musicali che hanno poche corrispondenze nella tradizione musicale internazionale (o che non ne hanno affatto). In questo senso il progetto Glad Tree può divenire addirittura paradigmatico, sebbene un illustre precedente rimandi a uno dei più visionari e allo stesso tempo organici produttori di world music. E cioè a Ry Cooder e al disco “A meeting by the river” del 1993, suonato insieme al figlio Joachim, a Visha Mohan Bhatt (mohan via e chitarra slide) e al tablista Sukhivinder Singh Namdhari. In ogni caso “Onda luminosa” è interessante perché, nonostante la struttura di riferimento di cui ho detto prima, varia e vira verso molte direzioni. La più importante è probabilmente la differenziazione melodica: i brani “Aura” e “Onda luminosa” rappresentano bene questa forma di variazione. L’andamento è più lento, le frasi melodiche più ampie e profonde. Nel primo brano le tabla, sostenute dal ritmo della chitarra, incedono sotto l’alternanza di un tema interpretato prima dalla voce e poi dal flauto, che chiude il brano dentro un soffio intimo e soffuso. Il secondo brano ha un andamento più deciso, anche se definisce lo spazio per frasi più melodiche, affidate al flauto in alternanza alla chitarra. 


Daniele Cestellini
Nuova Vecchia