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Apprezzato batterista già al fianco di Robert Plant nei Sensational Space Shifters, Dave Smith è un cultore della musica tradizionale africana, scoperta durante un viaggio in Gambia nel 2002. Da allora si è recato più volte in Africa, dove ha stabilito numerosi contatti con i musicisti locali, ma soprattutto si è dedicato a diverse ricerche e sperimentazioni sulle poliritmie, rapito dal timbro del sabar, tamburo tradizionale dei griot wolof, che vivono tra Gambia e Senegal. Entrato nell’orbita del collettivo londinese Loop, che raduna diversi musicisti attivi nel jazz e nella world music, nel 2007 Smith chiama a raccolta gli Outhouse, il suo quartetto composto da Robin Fincker (sax tenore), Tom Challenger (sax tenore), e Johnny Brierley (basso), e insieme volano in Gambia, per incontrare alcuni suonatori di sabar, tra cui Kaw Secka. Prende vita così un progetto comune che li vede mettere a confronto il linguaggio del jazz con le ritmiche africane, e dopo il successo raccolto al Cheltenham Jazz Festival nel 2008, arriva anche il loro primo disco “Ruhabi” (World Circuit, 2009), seguito l’anno dopo dall’Ep “Ruhabi - Live at Café Oto”. Le sperimentazioni sonore di Smith però non terminano perché l’anno successivo arriva la fortunata esperienza con i JuJu con Justin Adams e Juldeh Camara, che frutta il disco “In Trance”, uscito per la Real World.
Apprezzato batterista già al fianco di Robert Plant nei Sensational Space Shifters, Dave Smith è un cultore della musica tradizionale africana, scoperta durante un viaggio in Gambia nel 2002. Da allora si è recato più volte in Africa, dove ha stabilito numerosi contatti con i musicisti locali, ma soprattutto si è dedicato a diverse ricerche e sperimentazioni sulle poliritmie, rapito dal timbro del sabar, tamburo tradizionale dei griot wolof, che vivono tra Gambia e Senegal. Entrato nell’orbita del collettivo londinese Loop, che raduna diversi musicisti attivi nel jazz e nella world music, nel 2007 Smith chiama a raccolta gli Outhouse, il suo quartetto composto da Robin Fincker (sax tenore), Tom Challenger (sax tenore), e Johnny Brierley (basso), e insieme volano in Gambia, per incontrare alcuni suonatori di sabar, tra cui Kaw Secka. Prende vita così un progetto comune che li vede mettere a confronto il linguaggio del jazz con le ritmiche africane, e dopo il successo raccolto al Cheltenham Jazz Festival nel 2008, arriva anche il loro primo disco “Ruhabi” (World Circuit, 2009), seguito l’anno dopo dall’Ep “Ruhabi - Live at Café Oto”. Le sperimentazioni sonore di Smith però non terminano perché l’anno successivo arriva la fortunata esperienza con i JuJu con Justin Adams e Juldeh Camara, che frutta il disco “In Trance”, uscito per la Real World.
Nel 2010 Smith, Challenger, Brierley e Secka tornano ad unire le forze per il progetto Fofoulah, che sposta più avanti i confini della ricerca sonora cominciata con Outhouse Ruhabi, allargando il loro raggio d’azione verso i territori del dub, del rap e dell’afrobeat con la complicità di Biram Seck (voce e chitarra), e Phil Stevenson (chitarra). Dopo aver dato alle stampe nel 2013 l’Ep “Bene Bob”, i Fofoulah hanno di recente dato alle stampe il loro primo disco omonimo, che raccoglie nove brani nuovi di zecca, incisi con la partecipazione di alcuni ospiti d’eccezione come: il cantante senegalese Batch Gueye che presta la sua voce in quattro brani, la cantante algerina Iness Mezel, il rapper inglese Ghostpoet e il gambiano Juldeh Camara al ritti, violino a una corda tradizionale del Centro Africa. Il risultato è disco dal sound originale e allo stesso tempo travolgente, in cui si confrontano e si mescolano le sonorità urbane del dub e del rap con le ritmiche dell’Africa Occidentale, riflettendo in modo sorprendente la multietnicità e l’incrocio continuo tra culture che caratterizza una città come Londra. Ad aprire il disco è il sofferto groove di “No Troubles (Kelinte)” in cui l’organo e la chitarra fanno da contrappunto alle ritmiche in levare, ma il disco entra nel vivo con il solo di sabar che apre “Hook Up (Nango Dareh)” in cui spicca la voce e il ritti di Camara.
Se l’ipnotica “Make Good (Soumala)” brilla per l’eccellente prova vocale di Batch Gueye, la successiva “Don't Let Your Mind Unravel, Safe Travels” ci regala uno spaccato di pura improvvisazione jazz su cui si innesta sorprendentemente il rap di Ghostpoet. Si prosegue con il dub di “The Clean Up (Rahas)” ma con la successiva “Blest (Issâdiyen)”, giungiamo in Nord Africa accompagnati dalla voce di Iness Mezel. Lo spaccato improvvisativo di “Fighting Chance” ci conduce verso il finale con
“Reality Rek”, vero vertice del disco, nella quale apprezziamo il sorprendente intreccio tra il ritmo del sabar e il sax di Challanger che dipingono un brano di grande pregio, a cui segue il brevissimo solo di percussioni di “Last Orders”. Nell’arco di poco più di quaranta minuti questo splendido disco ci regala un universo sonoro affascinante in cui immergersi per scoprire questo originale intreccio tra afrobeat, jazz, dub, rap e funky, che farà a lungo parlare dei Fofoulah.
Salvatore Esposito
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Africa