Più tardi, con il Barresi Project ci troviamo in bilico tra manipolazioni elettroniche, dj-set, flauti prog e ritmi di tamburi a cornice. Invece, il ferragosto arianese inizia mettendo sul palco la rock-funk-groove machine dei BundaMove. Nel sound rock-funky-rap del gruppo leccese non c’è traccia del brand Salento, tutto sole e musica e pseudo-tarantolati. L’energia non manca e pure le idee compositive ci sono, purtroppo si avverte una certa ridondanza negli lunghi e tirati solismi e nella persistente ricerca della complicità del pubblico (uno dei cliché più insopportabili della live music degli ultimi anni). Ad ogni modo, la strada è ben aperta per la mezcla incendiaria dell’orquesta Chico Truijllo. Furoreggiano nella scia artistica della nueva cumbia, che poi per la hot band cilena significa un tropical sound propenso a flirtare con rock, bolero, ska e reggae. Non contenti, propongono – per chi il Cile da sempre lo associa al repertorio andino – due classici folk come “Fiesta de San Benito” e “Alturas, con tanto di queña e sikous che si fondono con le ance. Nel mix caliente e un po’ pachankoso non sfigura anche la carosoniana “‘O Sarracino”. È qui la fiesta! Ad un certo punto si aggiunge sul palco anche la chitarra del veterano Oluwagbemiga Alade degli Egypt 80. La costanza del gruppo sono fiati bollenti, voci robuste, corde, tastiera, batteria e percussioni che “costringono” il pubblico acclamante a danzare. Giungiamo alla terza serata dell’AFF, quella che è stato con ogni probabilità il clou della diciannovesima edizione di impronta LatinAfrican.
Ad aprirla è il quartetto (basso, chitarra elettrica, batteria e djembè) del chitarrista e menestrello afro-oriented Sandro Joyeux. L’autore franco-italiano è protagonista di un set gustoso per essenzialità e charme, che attraversa la musica dell’Africa subsahariana, si alimenta al fuoco sacro della chanson francese e della folk song. Sandro tiene il palco, la band lo asseconda e l’ambiente si fa già torrido (nonostante i circa14 °C di Piano della Croce). L’apice ha nome Goumar Almoctar, meglio conosciuto come Bombino. Il trentaquattrenne chitarrista nigerino, che si presenta con una formazione africano-americana (tre chitarre, batteria e basso), è propugnatore di un rock che è debitore in eguale misura tanto ai maestri africani (il compianto maliano Ali Farka Touré e il conterraneo Bebe Adja) quanto agli ascolti rock anglo-americani. Eppure, i primi due brani sono proposti dal musicista di Agadez in set acustico (tamburo, calabash, chitarre, basso e armonica a bocca). Poi inizia il viaggio nel deserto elettrico, che ha portato in vetta il musicista di “Nomad”, di cui si è accorta perfino la stampa mainstream italiana. Dai riff chitarristici inanellati dal cantante e chitarrista tamashek ifoghas si comprende il motivo per il quale in molti si sono lanciati in audaci accostamenti con il chitarrismo hendrixiano, ma c’è tanto Mark Knopfler nel suo stile.
Ciro De Rosa
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