Sono passati quarant’anni dal suo primo album, e John Hiatt ha attraversato in lungo ed in largo la tradizione musicale americana, senza seguire facili mode o stili legati ad un particolare momento storico, ma piuttosto ha proseguito con determinazione nel suo percorso di ricerca sonoro, anche quando le vendite non sembravano più sorridergli. A sessantuno anni lo ritroviamo con “Terms Of My Surrender”, disco che mette in fila undici brani di ottima fattura, prodotti dal chitarrista Dough Lancio, figura importante negli ultimi anni a riavvicinare Hiatt alla chitarra acustica, e che nel loro insieme ci svelano una visione cinica da “termini della resa”, come recita il titolo, declinata in un linguaggio blues allargato ma, senza dubbio, affascinante. Durante l’ascolto a spiccare sono brani come l’iniziale “Long Time Comin’”, e “Marlene” col suo validissimo mood tex mex, ma la sorpresa arriva con “Wind Don’t Have To Hurry” nella quale la vocalità di Hiatt si avvicina moltissimo a quella del beniamino della indie music Mark Lanegan, provare per credere. Cosa chiedere di più a un autore capace di dare vita assieme a Ry Cooder, Nick Lowe e Jim Keltner ad un disco fondamentale come “Bring The Family” e l’esperimento inimitabile e brillante con i Little Village? Questo John potrebbe tranquillamente sedersi davanti all’ipotetico caminetto e raccontare ai nipotini la storia di quella volta che... Insomma, onore al merito se non lo fa ancora, e se malgrado la inanità delle giovani generazioni e in parte anche delle vecchie, John si mette in ballo e fa ballare la sua penna su un foglio. Da songwriter come lui c’è tanto, tantissimo da imparare prima di poter dire che è abbastanza.
Antonio "Rigo" Righetti
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