Dal 13 al 15 giugno si è svolta a Perugia Radio Europa, la Festa di Radio Tre. Il programma ha lasciato il segno, per la varietà dei contenuti (non solo musicali) e, soprattutto, la capacità di coinvolgere il pubblico con eventi originali e presentati con un buon grado di approfondimento. Il leitmotiv è stato principalmente l’Europa: Perugia (insieme ad Assisi) è candidata a capitale europea della cultura per il 2019 e il verdetto ufficiale sarà reso noto a ottobre (le altre città in lizza sono Cagliari, Lecce, Matera, Ravenna e Siena). Questo è verosimilmente uno dei motivi per cui - in concomitanza con Umbria Libri, la rassegna dell’editoria umbra, tra gli eventi cittadini più importanti, anticipata di qualche mese rispetto alla data tradizionale di novembre - Radio Tre ha scelto il capoluogo umbro per celebrare quello che è ormai divenuto uno degli appuntamenti culturali più importanti del nostro paese. Come si legge nelle note introduttive di Marino Sinibaldi (direttore della radio): “incontreremo e faremo conoscere a tutta Italia, attraverso le nostre trasmissioni, la ricchezza culturale della città e della sua regione, le sue eccellenze insieme ai suoi problemi”.
Molti dei programmi del palinsesto della radio sono stati proposti dal vivo in città. Tra questi ricordiamo Fahrenheit (condotto da Marino Sinibaldi), Alza il volume e File Urbani (condotti da Valerio Corzani), il Teatro di Radio Tre (condotto da Antonio Audino), Hollywood Party (condotto da Steve Della Casa ed Efisio Mulas), Uomini e Profeti (condotto da Gabriella Caramore), Radio3 Mondo (condotto da Anna Maria Giordano), A3 il formato dell’arte (condotto da Elena del Drago), La Barcaccia (condotto da Michele Suozzo ed Enrico Stinchelli) e diversi Intermezzi musicali e concerti (condotti da Valerio Corzani e Michele dall’Ongaro). La convergenza delle due manifestazioni (Radio Europa e Umbria Libri) ha creato un fermento probabilmente inatteso in città (quanto auspicato dagli organizzatori), nella misura in cui, in soli tre giorni, si sono svolti incontri con personalità politiche di rilievo, studiosi e scrittori, si sono esibiti artisti di fama internazionale, si sono organizzati eventi che hanno aperto la città a un flusso di idee straordinario: dall’arte alla storia, dalla fotografia alla letteratura, dalla musica al teatro, religione, scienza, geopolitica. La musica ha avuto un ruolo da grande protagonista in questi giorni, nei quali si è voluto non solo celebrare, ma soprattutto invitare a riflettere su un plausibile carattere “europeo” della città e degli elementi culturali che la definiscono. Sul piano musicale (che qui vogliamo trattare più nello specifico) la qualità degli eventi è stata garantita, oltre che dai grandi artisti che si sono esibiti in varie location dell’acropoli, dalla presenza delle voci più importanti di Radio Tre.
Prima fra tutte quella di Valerio Corzani, il conduttore di Alza il volume e File Urbani, il quale ha presentato (e inquadrato in una serie di riferimenti tecnici oltre che culturali) le performance degli artisti che si sono esibiti sui palchi principali allestiti per Radio Europa, e che hanno corrisposto con gli spazi più centrali e tradizionalmente deputati ad accogliere gli eventi più seguiti nelle manifestazioni cittadine. Mi riferisco soprattutto a quelli di Piazza della Repubblica e Piazza IV Novembre. Dove il pomeriggio di venerdì tredici si sono esibiti il duo “Manuche” composto da Dario Napoli (chitarra) e Giacomo Tosti (fisarmonica), le Top Hat Sisters (duo formato dalle polistrumentiste e cantanti Annalisa Ambrosi e Francesca Marcucci, che hanno proposto un repertorio molto retrò in bilico tra Sister Rosetta Tharp e Quartetto Cetra, eseguito con ukulele, fisarmonica, washboard e kazoo) - e la Bollywood Masala Orchestra. Con l’esibizione di quest’ultima formazione, l’intero evento Radio Europa ha dimostrato di guardare con occhio critico anche allo scenario - per definizione complesso, ricco di sovrapposizioni, incoerente - della world music e, in generale, di un esotismo musicale i cui tratti più profondi sono quasi sempre difficili da decifrare.
Difatti, a differenza di molte esperienze che si sono sviluppate - e hanno attratto l’immaginario collettivo occidentale - nel solco delle atmosfere cangianti dell’India e, in modo particolare, delle espressioni musicali e coreutiche di Bollywood, la Masala Orchestra propone uno spettacolo sobrio (si passi il termine). Luccicante, sfavillante, coloratissimo, molto coinvolgente ma moderato. Soprattutto perché la matrice folcloristica, che solitamente caratterizza il revival di pratiche musicali così “lontane”, è rimasta latente (sebbene non siano mancati i costumi, i turbanti e addirittura il funambolo, con tanto di tappeto di chiodi e giochi pirotecnici). E, in generale, la performance è stata sorretta da un piacevole equilibro, profuso soprattutto nelle combinazioni tra spettacolo e informazione, tra coreografia e ricostruzione (e racconto) delle dinamiche, delle posture, delle strutture musicali, delle modalità di esecuzione, ecc.
L’Orchestra - composta da musicisti di strumenti tradizionali indiani, come i tabla, l’armonium, il dhol, il packawaj, da una fanfara di fiati occidentali e da alcune danzatrici “tradizionali” - presenta soprattutto musiche del nord dell’India (“dal Rajasthan a Bombay”, come si legge nelle note di presentazione del concerto) e nello spettacolo di Perugia ha dimostrato una strada percorribile nella rappresentazione del folclore musicale internazionale. Nonostante, infatti, fosse percepibile un certo grado di astrazione - che evidentemente è inevitabile in un progetto come questo, anche solo per il fatto che molte musiche sono “rituali”, come ad esempio quelle eseguite durante i matrimoni - i musicisti hanno dimostrato una forte partecipazione. Questa, a differenza di ciò che solitamente tende a verificarsi negli spettacoli più rigidi ed esasperatamente popolareggianti, riusciva (a onor del vero, attraverso gesti e soluzioni molto semplici) a coinvolgere positivamente il pubblico (tra cui erano presenti molti indiani perugini), che si è lasciato trasportare, come in un rito di gruppo, da un’onda di musica quasi ininterrotta, fluida e in perfetta armonia con la città. La magia dell’inaspettato, dell’inusuale, si è avuta di nuovo poche ore dopo, tra le dieci e le undici di sabato quattordici. L’occasione è stato il “matinée” dei Guano Padano (Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra, Danilo Gallo al basso, Zeno de Rossi alla batteria), che si sono esibiti sotto un sole fioco, che solo a tratti riusciva a raggiungere il palco di Piazza della Repubblica. I Guano - anch’essi introdotti da Corzani, che ne ha descritto la strumentazione, oltre che la storia e i riferimenti più importanti- hanno proposto alcuni dei brani che li hanno resi famosi e che, soprattutto, gli hanno procurato collaborazioni con artisti come Mike Patton (dei Faith No More), Marc Ribot, Ted Reichman e Paul Niehaus (dei Lambchop).
La performance del trio ha creato un’atmosfera onirica - che ha trascinato il pubblico in una dimensione quasi vaporosa, indefinita, senza riferimenti se non la sensazione irriducibile che qualcosa di conosciuto riecheggiasse tra le corde vibrate della steel di Stefana - sospesa con maestria tra gli echi “morriconiani” di ballate impalpabili e gli ostinati stridenti e acidi di una psichedelica fuori dal tempo. Il sabato sera - dopo una giornata roboante, che ha visto susseguirsi gli interventi di Alberto Melloni (storico del cristianesimo e studioso del Concilio Vaticano II), Steve McCurry (da alcuni mesi “presente” in città con la mostra Sensational Umbria), il Quartetto Noûs (composto da due violini, viola e violoncello), una puntata di Fahrenheit, condotta da Marino Sinibalidi, sul tema delle politiche culturali per il cittadino europeo, Renaud Garcia-Fons, virtuoso del contrabbasso che ha proposto un’esplorazione dei suoni andalusi, dell’America latina, dell’India fino a quelli del mondo arabo - è toccato alla Classica Orchestra Afrobeat. Diretta da Marco Zanotti (batterista, percussionista e fondatore dell’ensemble), l’orchestra ha il merito di proporre il riflesso inedito di uno scenario culturale unico al mondo: quello cioè delle espressioni musicali africane, racchiuse nelle avanguardie ritmiche di Fela Kuti e dell’Afro-beat, attraverso l’interpretazione di strumenti della tradizione classica europea. Il risultato è straordinario, nella misura in cui clavicembalo, flauto, oboe, corno inglese, fagotto, violino (insieme a basso elettrico, fisarmonica e percussioni) definiscono un gioco di riflessi senza fine (qualcosa che somiglia a un’incomprensibile ma attesa “redenzione”, come si legge nel libretto della manifestazione), in cui si rovesciano i riferimenti più tradizionalizzati e si configura la nuova fenomenologia di un sincretismo inedito. Insomma lo strappo è forte e l’idea convince fino in fondo: l’orchestra è lanciata in uno scenario evidentemente internazionale, dove si esibisce senza inibizioni (e ci mancherebbe), con la forza di chi ha rotto un argine fossilizzato e ha trovato un nuovo strato di materia sconosciuta.
Gli interventi musicali si sono conclusi nella tarda mattinata di domenica sedici. Nella puntata conclusiva di File Urbani, condotta da Valerio Corzani dalle 10.15 alle 10.45, si sono esibiti Gabriele Mirabassi (clarinetto) e Roberto Taufuc (chitarra). Il duo ha proposto alcuni brani caratterizzati da un forte virtuosismo e inquadrati in una riflessione articolata e profonda (condivisa con disinvoltura dai due musicisti, che hanno in comune il piglio e lo spirito della formazione classica e della frequentazione del jazz) sulle musiche popolari brasiliane. Al Teatro del Pavone si è esibito, nella trasmissione Concerti, condotta da Michele dall’Ongaro, il Quintetto Bottesini, unica formazione stabile in Italia composta da violino, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte (un’organico strumentale “consacrato da Franz Shubert con il celebre Forellen-quintett nel 1819”). La programmazione di Radio Europa si è conclusa con La Barcaccia, il varietà operistico di Radio Tre. Nella puntata di domenica, condotta da Michele Suozzo ed Enrico Stinchelli, è stata proposta l’interpretazione dell’aria “Medaglie incomparabili”- eseguita dal mezzosoprano Marina Comparato, accompagnata al pianoforte da Marco Scolastra - di Gioachino Rossini, tratta da Il viaggio a Reims, “nella quale il personaggio di Don Profondo cita le più illustri testimonianze provenienti dai paesi europei”.
Daniele Cestellini
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