Rocca-Benigni-Duo - Upset (Finisterre/Felmay, 2014)

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Di collaboratori di prestigio ce ne sono in questo secondo capitolo discografico dell’accoppiata di ance: da Moni Ovadia a Lucilla Galeazzi, ma questo è un disco che sta in piedi benissimo da solo, senza sostegni prestigiosi (che ci siano due cammei canori ne se siamo felici, beninteso), perché concepito da due partner dotati quanto coraggiosi nel riversare sull’ascoltatore un’incessante sfilza di sensazioni. È di formazione classica Paolo Rocca (clarinetto, clarinetto basso, ciaramella), già primo strumentista dell’Orchestra lirico-sinfonica di Neuchâtel, poi componente del Sestetto Moderno e, una volta sedotto dai suoni popolari, entrato alla corte dello stesso Ovadia e di Ambrogio Sparagna. Invece, Fiore Benigni (organetti) è di scuola, diciamo, popolare: con tutti i distinguo che vanno fatti, considerato che l’apprendimento musicale e l’estetica di un artista di oggi non può essere accostato a quello tradizionale della cultura contadina di un tempo. Il titolo “Upset”, raccontano, “alludeva in partenza alla struttura armonica del brano “Upset Waltz”, piuttosto obliqua. Poi, per estensione, se n’è fatto un po’ il filo conduttore di tutto il disco, che risulta forse tumultuoso e straniante. Nel suo significato plurivoco, “upset” esprime una serie di suggestioni che si ritrovano nei brani. Il turbamento, il disorientamento che tradotti in musica possono schiudere soluzioni impreviste: la disperazione come malinconia, alterazione, scossa o rivoluzione – senza nessun ammiccamento futurista. Piuttosto come dimensione emotiva in cui si collocano le composizioni, o in cui sono stati pensati gli arrangiamenti (la pulsione ritmica imposta a un brano lento di Satie, lo scherzo swing infilato in coda alla cristallina invenzione di J.S. Bach, la torsione bucolica dello standard “My Favorite Things”
O, al contrario, la rilettura delicata e musette delle torbide ‘cortellate’ romane. Poi c’è l’idea grafica della stessa copertina, l’immagine di un duo, riflessa e distorta: quindi di nuovo un capovolgimento. È vero che il termine è in inglese, ma per la sua capacità di esprimere più sfumature tutte insieme, ci è sembrato appropriato per questo disco”. Sono dodici brani caratterizzati da approfondita capacità di scrittura e di arrangiamento, alimentati da brillanti combinazioni e da irresistibili piroette ritmiche. Ecco, dunque, una coppia composita e disinvolta alle prese con un programma aperto da una reinterpretazione dalla pronuncia fortemente ritmica di “Gnossienne n.1” di Satie e chiuso dai funambolismi della bachiana “Invenzione A Due Voci n. 4”: tanto per farvi capire di cosa sono capaci. In mezzo, si viaggia tra loro composizioni che partendo da ritmi popolari si sviluppano in fantasiose tessiture contemporanee, integrano variegati mondi sonori, conservano lirismo ed immediatezza, pur nella compostezza esecutiva. Penso ai torrenziali contrasti e al pathos di “emilse”, che porta la firma di Rocca, brano che è il ricordo di una ragazza argentina scomparsa prematuramente, oppure a “Ma-ba”, ideata per uno spettacolo teatrale, e ancora alla title track, entrambe uscite dalla penna di Benigni. Ci sono brani più direttamente ispirati alla tradizione orale come "Ninna Nanna”, la cui linea melodica proviene da un canto infantile attestato in Abruzzo, Molise e Puglia settentrionale, che Fiore ha conosciuto perché cantatogli da sua madre, che a sua volta l’aveva appresa dalla nonna. 
“Ex abrupto”, in cui è complice percussivo il teppan dell’ingegnere del suono-musicista Paolo Modugno, si snoda sui ritmi dispari della musica popolare macedone che collidono con un andamento brasileiro. Al di là dell’ispirazione etilica, “Wild Turkey” – sempre composta da Benigni – è un fluido intersecarsi di strumenti che si scambiano vicendevolmente i ruoli. Come già notato, si attraversano anche la canzone romanesca (“Te Possino Da’ Tante Cortellate”), complice l’ugola maestosa di Lucilla Galeazzi e classici jazz: le variazioni sulla song “My Favorite Things” sembrano evocare una festa, a metà strada tra balli nord appenninici e ritualità popolare centro-meridionale. Continuando l’ascolto, la confluenza tra il tradizionale israelo-palestinese “Debka Dor” e il brano pop contemporaneo “B’libi” parte con la vocalità scura di Moni Ovadia, poi l’oud e il canto melismatico di Ziad Trabelsi entrano, le voci dei cantanti (in ebraico e in arabo) si alternano, Modugno sostiene il ritmo ai tamburi, il liuto arabo si ritaglia spazi di solo, organetto e clarinetto dialogano gagliardamente con corde e pelli, i fraseggi acuti di ciaramella si stagliano sull’incalzare del ritmo. Dinamici chiaroscuri e senso di tensione e sospensione primeggiano in “Silfineide”, dove è in evidenza il calore del clarinetto basso. Spiega Benigni: “È la prima di una silloge di cinque brani ispirati alle gesta di una bambina di mia conoscenza da tutti ribattezzata silfidina per le sue movenze e il suo aspetto vagamente fiabeschi ed enigmatici”. Rocca e Benigni suonano con spigliatezza e forte comunicativa in una continua e creativa sponda di ance. La visione aperta del duo concepisce un affresco sonoro ricco di colori e umori: questo è “Upset”


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia