Ben Watt – Hendra (Caroline International, 2014)

Comprai a suo tempo “Eden”, il disco di debutto di Everything But The Girl, e ne ho goduto a lungo. Certo, non sempre mi hanno entusiasmato gli album del duo formato da Ben Watt e Tracey Thorn, ma gli ho sempre riconosciuto la capacità di evocazione sottile, ed il trattare il pop nel modo giusto. A trent’anni di distanza e con alle spalle l’esperienza con Everything But The Girl, giunge ora “Hendra”, il secondo disco solista di Ben Watt, un album splendido fatto di canzoni senza tempo, elegante e dolente allo stesso tempo, e soprattutto caratterizzato dalla perfetta combinazione tra attitudine e gusto british e l’immaginario americano che il cantautore inglese non ha mai celato (si vedano le varie cover scelte nel passato tra Bruce Springsteen e Bob Dylan o quella versione deliziosa di “Love Is Strange”). Il disco è confezionato con il gusto del tutto preciso e musicale, chitarre leggere ed elettriche fornite da un David Gilmour assolutamente in palla, ritmiche vicine ai mondi dei Fleetwood Mac e un cantato ineccepibile con parole che si adagiano su tappeti spesso tastieristici, mentre sotto si muove la linea melodica con tutti i colori che deve avere. Ascoltando questo disco si comprende come nasca nasce da una necessità interiore, e questo lo si avverte senza scomodare colui che l’ha teorizzata (parlo della necessità interiore...) come unico motore della comunicazione. Ho visto l’altro giorno “I Fratelli Karamazov”, meraviglioso film di Petr Zelenka del 2008 tratto dal romanzo omonimo di Dostoevskij, ero reduce da una visione desolante dell’ultimo “Capitan America” insieme a mio figlio, e in quella multisala bazar di Modena, e quello spreco di capacità e mezzi mi ha intristito. Il film di Zelenka al contrario è un insieme di domande enormi sul senso della vita, il dolore, la comicità, il sesso, la paura. Certo chi interpretava i vari personaggi dell’opera dello scrittore russo ha recitato a lungo in teatro, ma questo non vuol dire nulla il film di Zelenka resta un capolavoro, mentre “Capitan America” è solo roba da popcorn, che però avrebbe potuto essere realizzato molto meglio considerando i mezzi a disposizione. Questa breve digressione, per sottolineare come resti la necessità filosofica di tracciare dei limiti, segnalare delle differenze, perché è solo segnalando le differenze che possiamo ricostruire un mondo che è crollato. La differenza è che il disco di Ben Watt è splendido, e si muove lungo coordinate di un songwriting di facile ascolto, ma di grande qualità. Io resto sempre in attesa che arrivi un disco italiano con le stesse caratteristiche e da persone di lungo corso come Ben. Grande disco...


Antonio "Rigo" Righetti
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