Da oltre un decennio il violoncello è riemerso come strumento di accompagnamento della musica strumentale tradizionale di Scozia, ruolo che ha occupato a lungo tra 1700 e 1800, prima dell’avvento di fisarmonica e chitarra, soprattutto, che lo hanno soppiantato. Tra le produzioni che mettono al centro la voce dello strumento ad arco è il sodalizio tra l’acclamato violinista Alasdair Fraser, scozzese trapiantato nella Sierra Nevada, e la violoncellista californiana Natalie Haas, che vanta un diploma alla Juilliard School of Music e collaborazioni con Mark O’Connor, Natalie MacMaster, e, più recentemente, con l’Irish-American band Solas. Dopo quattro album insieme, difficile trovare ancora parole superlative per descrivere l’affiatamento e la classe dell’accoppiata: lui suona violino, violino baritono, viola, kalimba, lei è alle prese con violoncello e kalimba. Titolare dell’etichetta discografica Culburnie, Fraser è un infaticabile didatta, compositore e strumentista dalla sonorità calda e dal fraseggio elegante; è capace di trascinare l’ascoltatore col suo variegato repertorio che tocca tutta la letteratura violinistica tradizionale scozzese con una tecnica che spazia dal tocco classico levigato al suono sfrenato da consumato folk fiddler. Dal canto suo Haas è degna comprimaria, facendo interagire alla grande il suo “piccolo basso”, esplorandone le possibilità melodiche, armoniche e ritmiche. Insomma, musica appropriata tanto ad una composta sala da concerti quanto ad una session da pub, proprio come ai tempi del violinista Neil Gow, quando si passava dal rigore dei saloni di ricevimenti al fragore delle locande popolari. Diversamente dai lavori precedenti, qui la coppia è affiancata da un nutrito gruppo di musicisti: Donald Shaw (piano, fisarmonica), James Macintosh (percussioni), Corey DiMario (basso), Dominick Leslie (mandolino), Brittany Haas (violino), Hanneke Cassel (piano), Stefan Amidon (percussioni), Kai Welch (trumba) e Oscar Utterström (trombone, trombone basso, flicorno basso). “Abundance” raccoglie sedici tracce che attraversano trecento anni di musica, dalle espressioni strumentali tradizionali (danze, marce, slow air, puirt à buil) a composizioni di Fraser e a quelle di autori contemporanei folk revivalisti. Subito grandioso attacco del disco con la scorribanda nella tradizione caledone di “The Corrie Man”, seguita dallo strathspey settecentesco “Neil Gow’s Wife” che è accoppiato a “The Old Reel”. Svettano anche il set tradizionale “Keys to the Cellar” e la lunga “Connie suite “, uscita dalla penna di Fraser, dove si intrufolano echi swing manouche, nella sezione “Hot Club d’Écosse”, e world in “Ouagadougou Boogie”. Dalla scrittura dell’ottimo fiddler Duncan Chisholm e da quella del compianto Michael Ferrie, già con i Fiddler’s Bid, arrivano rispettivamente “The Farley Bridge” e “On the Wing of a Skorrie”, mentre un altro brano significativo è “The Referendum”, composto da Fraser in occasione di una visita del primo ministro scozzese alla sua scuola di violino nell’isola di Skye: in un certo senso è la ripresa di una tradizione di temi encomiastici dedicati a personalità di riguardo, ma forse va letto anche come un auspicio per il prossimo referendum indipendentista che potrebbe sancire il distacco della Scozia dal Regno Unito. Tra gli altri brani celebrativi meritano più di un cenno le deliziose svolazzate jazz-funky di “The Kelburn Brewer”, composto per un pluripremiato mastro artigiano birraio scozzese, che chiude degnamente il disco.
Ciro De Rosa
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