Realtà consolidata dalla world music italiana, La Sossio Banda, nel corso del suo percorso artistico ha coniugato le sonorità del mediterraneo con la tradizione delle Murge, la loro terra di origine. Il loro nuovo album “Sugne” rappresenta il lavoro della raggiunta maturità, caratterizzandosi non solo per l’uso del dialetto, ma anche per un attenta ricerca sonora che li vede confrontarsi anche con un quartetto d’archi, un orchestra e una banda di paese. Abbiamo intervistato Francesco Sossio, per approfondire insieme a lui la genesi del disco e i temi trattati, senza tralasciare la ricerca sulle sonorità e i progetti futuri.
Ci puoi raccontare come nasce la Sossio Banda?
La Banda nasce nel 2008 in seguito alla pubblicazione di un progetto di ricerca storico musicale denominato “Muretti a secco”, prodotto dalla CGIL Puglia. Questa ricerca portò alla luce nuovi canti soprattutto della nostra zona, l’Alta Murgia e di lì sentimmo l’esigenza di creare uno spettacolo dal vivo che comprendesse brani tradizionali già conosciuti ma rivisitati, canti non ancora noti e composizioni inedite create da noi.
Come si è evoluto il vostro suono dagli esordi ad oggi?
Il suono è cambiato molto, perchè sono cambiati gli strumenti, alcuni musicisti, così come il nostro bagaglio artistico e musicale che si è arricchito nel tempo grazie ai numerosi live ed agli incontri che in questi anni abbiamo fatto. Siamo cresciuti insieme, ogni musicista ha dato il suo prezioso contributo e ha lasciato il segno, al resto ci ha pensato l’affiatamento e la sinergia che c’è tra noi.
Oggi i musicisti stabili della Banda sono: Francesco Sossio sax, clarinetto, fiati tradizionali, voce; Loredana Savino voce; Tommaso Colafiglio chitarre; Giorgio Albanese fisarmonica; Francesco Leoce basso acustico; Michele Marrulli batteria, tamburi a cornice; Pino Basile darabouka, riq, bendir, canjira, duff, cupa cupa, strumenti effimeri.
Quanto è stato importante il vostro percorso di ricerca sulla musica tradizionale delle Murge nella vostra musica?
La tradizione è il nostro DNA e i brani i nostri figli. Così come per gli individui, il DNA viene trasmesso ai discendenti di padre in figlio ed è giusto che sia così. I figli, i nipoti hanno sempre qualcosa dei nonni, tratti somatici, caratteri e caratteristiche; allo stesso modo, le nostre composizioni inedite, profumano di Murgia, portano tracce di quello che è stato in una veste nuova, e lo si percepisce ad esempio dalla scelta degli strumenti, dall’uso del dialetto e dall’utilizzo di alcuni ritmi tradizionali rivisitati. Io sono fiero ed orgoglioso che la nostra musica possa essere ben identificata e territorializzata, pur non essendo musica tradizionale o di riproposizione.
Bisogna conoscere bene da dove si viene per capire e dove si vuol andare.
Ci puoi parlare del processo creativo alla base delle canzoni di Sossio Banda?
In genere io scrivo testo e musica, le fondamenta se così le vogliamo chiamare; poi la faccio ascoltare agli altri in sala prove e di lì insieme si prosegue con l’arrangiamento vero e proprio. E’ sicuramente la fase più divertente e creativa poichè vengono fuori tutte le caratteristiche, le estrazioni e i percorsi di vita dei musicisti; ci si confronta e insieme si costruisce quello che sarà poi l’intero edificio del pezzo. In genere un brano viene approvato e inserito nel repertorio solo quando lo si testa dal vivo. Abbiamo grande rispetto per il pubblico a cui affidiamo sempre l’ultima parola.
Può capitare anche che si lavora sul testo di altri autori, poesie piuttosto che canzoni vere e proprie, e lì di volta in volta si decide il percorso da seguire.
Quest’album è una sintesi, un punto d’arrivo di cinque anni di attività e di lavoro. Era già in programma da tempo, almeno due anni ma a mio avviso solo adesso erano maturi i tempi per fissarlo per sempre sul supporto discografico, grazie all’esperienza e all’organico ormai stabile della Banda. In questo disco abbiamo voluto cantare la pace e la fratellanza tra i popoli, trattando temi come immigrazione, lotte e disuguaglianza tra gli esseri umani. Il nostro Sogno è appunto quello di vedere un giorno un mondo privo di barriere e discriminazioni di qualsiasi natura. Un’ambizione che speriamo un giorno possa diventare realtà; non crediamo che sia pura utopia perchè insieme e uniti si può fare tanto.
Le registrazioni del disco hanno visto la partecipazione di numerosi musicisti, di un quartetto d’archi, di un orchestra e della banda. Ci puoi raccontare come si sono svolte le sessions di registrazione?
Il disco è cosa ben diversa dal live. Oltre all’apporto creativo dei musicisti della Sossio Banda, lo si arricchisce con l’estro e le caratteristiche degli ospiti, gli arrangiamenti cambiano e alcuni brani vengono addirittura stravolti e riproposti con formazioni musicali differenti. E’ il caso del quartetto d’archi o dell’orchestra di fiati o ancora dell’ensamble di cupe-cupe. che dal vivo chiaramente non sempre è possibile proporre. Ma nel disco questi esperimenti si possono e si devono fare.
Le sessions delle formazioni da te citate sono state tutte rigorosamente live in studio. Delle numerose traks registrate chiaramente è stata fatta una selezione estrapolandone quelle migliori, poi si è lavorato sul suono, sugli ambienti etc. Non è stato semplice proprio per la grande varietà di strumenti tutti acustici, ma ho avuto la fortuna di lavorare con tecnici bravissimi e di grande professionalità. Questo è un aspetto fondamentale che molto spesso viene sottovalutato, ma non dobbiamo dimenticarci che è proprio a questi professionisti che viene affidato l’arduo compito di fissare il tutto su supporto. Fondamentali sono le riprese dei suoni. Le macchine, i computer sono solo mezzi e possono fare ben poco davanti a riprese fatte male o poco curate, il merito più grande per fortuna ce l’ha ancora l’uomo con le sue competenze e la sua creatività.
Ascoltando con attenzione il disco, si percepisce come tu abbia ben compreso il metodo, l’approccio e la lezione musicale di Enzo Avitabile, con cui hai collaborato a lungo. Quanto ha pesato nel tuo modo di fare musica la collaborazione con lui?
Enzo per me è stato Maestro a tutti gli effetti. Rappresenta un punto di svolta della mia vita; i famosi incontri che te la cambiano facendoti deviare per strade nuove e inesplorate. Oltre alla grande amicizia e stima che ci lega, grazie ai suoi insegnamenti sono cresciuto tanto da un punto di vista artistico e musicale, avendo avuto la possibilità di esplorare il mondo della World Music che conoscevo poco; stando al suo fianco ho conosciuto e avuto l’onore di suonare con Star internazionali nei Festival più grandi e importanti del mondo; per non parlare della gestione del palco, dei rapporti interpersonali, e tutto quello che gira attorno al mondo della musica.
Avere una guida della portata di Enzo, con la sua esperienza e il suo genio per cinque anni tutti i giorni a due metri da te, non è una fortuna che capita a molti e io gliene sono davvero grato.
Prima di incontrare lui, da sassofonista, chiaramente studiavo generi e linguaggi come quelli del jazz, del blues, oltre ai classici studi di conservatorio; linguaggi che provenivano da terre lontane e che con il tempo ho capito che non mi appartenevano. Enzo mi ha fatto capire l’importanza di avere un linguaggio originale e di creare un modo di suonare personale e ben identificabile, da ricercare nei meandri del proprio bagaglio personale storico- culturale. Così sono tornato indietro, nella mia terra, ho studiato a fondo la mia tradizione e poi ho deciso di recidere il cordone ombelicale e dar vita ad un progetto tutto mio. Senza i suoi insegnamenti sarebbe stata sicuramente un’esperienza fallimentare.
Guardando verso le sonorità del Mediterraneo il disco si apre a tematiche che partono dalla vostra terra con “Murgia” per spaziare verso tematiche sociale, e parlo di brani come “Alì Alì” sullo sfruttamento dei lavoratori nei campi, o ancora l’amaro “Schiève Senza Padrune” un canto di un giovane senza futuro e senza speranza. Da dove nascono questi brani? Cosa li ha ispirati?
Il Mediterraneo è la nostra casa, il luogo dove siamo nati, cresciuti e molto probabilmente moriremo e che accomuna tanti popoli e tante culture diverse e simili allo stesso tempo.
La musica è un linguaggio universale, forse il Dio dei linguaggi, che permette ai popoli di comunicare, dialogare e scambiarsi informazioni attraverso il suono. Mi spiego: Io italiano potrei suonare in Brasile con un’ orchestra giapponese, la musica di Mozart, austriaco, davanti ad un pubblico di messicani. Nella musica stessa c’è l’essenza della fratellanza e del dialogo tra i popoli e noi che ci nutriamo di essa e siamo suoi umili servitori, abbiamo il dovere di trasmettere agli altri, messaggi di pace e uguaglianza. Questa forza immensa, non può essere relegata solo alla funzione ricreativa che comunque la Dea musica ha. Così “Murgia” nasce dalla volontà di voler denunciare lo scempio ambientale che negli anni ha colpito la nostra terra così come “Alì alì”, unico brano tradizionale presente nel disco, parla della terribile piaga dello sfruttamento del lavoro dei campi di ieri e di oggi dove , aimè la nostra Puglia ha un poco invidiabile primato. “Schiève senza Padrune”, parla in generale della condizione mentale, soprattutto di noi al Sud che ci porta ad essere succubi delle varie criminalità e del sistema “mafioso” delle raccomandazioni e dell’omertà e che ci rende in qualche modo schiavi pur non avendo padroni con nome e cognome.
Una condizione che spinge molti giovani a perdere la speranza e a fuggire dalla loro terra d’origine; a tutto ciò c’è un rimedio ed è esplicitato nella parte finale del pezzo: l’invito è quello di reagire, di avere il coraggio di ribellarsi, e restare uniti perchè solo così si può cambiare rotta. Da soli non si va da nessuna parte, insieme invece, con la solidarietà e la condivisione delle problematiche, si manda “il diavolo a pregare”,.
Noi, insieme con la nostra produzione ed etichetta la His Tricks Label / La Contemporanea di Roma, abbiamo deciso di destinare una piccola parte dei ricavati della vendita del disco alla cooperativa Terre Joniche – Libera Terra che lavora i terreni confiscati ad Isola di Capo Rizzuto e Cirò. Un piccolo gesto ma a mio avviso, un gran bel segno di solidarietà che vale molto più di qualche centinaia di euro.
I Brani nascono e sono ispirati soprattutto dalla vita quotidiana.
Guardandosi attorno, è tutto scritto, basta solo metterlo su carta e sul pentagramma.
Nel disco c’è spazio anche al tema della guerra con “Addòu Fernèsce U Sud” e “Fìgghie Mi”, dedicata alle Madri e ai caduti gravinesi di tutte le guerre… ci puoi parlare di questi due brani?
La terra vista dallo spazio, ci appare come un organismo unico, senza divisioni di alcun tipo.
E’ l’uomo che dividendola, spezzettandola e violentandola con la sua mano, ha creato il Nord e il Sud, le Nazioni, le regioni, i continenti etc.,
Il brano parla dei sud del Mondo, della convinzione errata che chi vive a Sud sia in qualche modo più arretrato, inferiore rispetto a chi vive a Nord e per questo viene sfruttato, discriminato e quant’altro.
E’ così che noi terroni, “arretrati” rispetto al settentrione ci sentiamo superiori rispetto a chi vive nel Nord Africa e così via. E allora la domanda è: “Ma dove finisce il Sud? Dove e quando finirà mai questa visione barbara e misera di vedere e suddividere il mondo? Dovremmo essere come la Terra che abitiamo, unica ed indivisa e forse riusciremmo a vivere in un mondo migliore.
Figghie mì invece l’ho scritta dopo aver visto un documentario storico sulla I Guerra mondiale. Le immagini raccontavano di poveri soldati costretti a vivere in condizioni disumane per mesi ed anni in trincee sporche, fangose e prive delle condizioni minime di vivibilità. Ho pensato ad un bracciante qualsiasi di Gravina in Puglia, il nostro paese, a cui era stata tolta la zappa dalle braccia, ed al suo posto era stato messo un fucile per mandarlo a combattere una guerra, magari in Alto Adige a centinaia di km da casa, senza sapere perchè o per chi? Gli orrori della guerra stanno proprio nelle vite di chi la combatte e la subisce quotidianamente. Questo brano non parla della Grande storia, quella scritta sui libri per intenderci, ma di una delle tante piccole storie individuali che insieme compongono le grandi.
Questo povero cafone in quella trincea non avrebbe potuto far altro che pregare, Gesù, La Madonna e il nostro Santo protettore: San Michele Arcangelo. Questo brano è dedicato alla memoria dei tanti che non hanno più fatto ritorno a casa, e soprattutto delle loro madri che invano hanno aspettato per tutta la vita di poter riabbracciare i loro figli.
Soprattutto nei piccoli centri, si sa che questo piccolo vizietto, l’Invidia appunto, è molto diffuso e molto spesso frena la crescita e lo sviluppo di un’intera comunità.
Chi non è mai stato anche solo per un secondo invidioso di qualcun’altro o di qualcosa?
Da sempre l’uomo ha cercato rimedi per combatterla, rituali contro il malocchio, preghiere; nel medioevo San Cipriano scrisse addirittura un’orazione contro l’invidia e il malocchio:
é l’unico vizio che fa male a chi la prova e a chi la subisce.
La sua particolarità è che è figlia dell’amore e della fortuna altrui, e così in questo brano ho voluto dargli una veste umana. Infatti Lei parla e si racconta in prima persona e si aggira tra la gente; è nata quando è nato l’uomo esiste da sempre e sempre continuerà a fare il suo sporco lavoro. Non esistono talismani o formule magiche che possano sconfiggerla, l’unico modo è quello di gioire dei successi e delle conquiste altrui e non esserne invidiosi.
Il ritornello racconta dell’invidia che se la ride, perchè in realtà si prende continuamente gioco di noi. E’ assolutamente inutile e controproducente, ma si sa che la stupidità umana talvolta non ha limiti.
Proprio per il suo carattere, perfido e meschino, ho pensato che i suoni e i colori divertenti di una Banda potevano ben impersonificarla e così grazie al mio amico Walter Farina e alla sua Orchestra di fiati di Spinazzola è venuto fuori questo brano che in realtà è un’anteprima del prossimo disco.
“La Strède De Sèmbe” con il suo arrangiamento per quartetto d’archi è forse il brano più poetico del disco. Cosa ha ispirato questo brano dal punto di vista del testo e dell’arrangiamento?
Questo è il caso sopra citato in cui un testo ci viene proposto da altri: un nostro caro amico Donato Paternoster, grande attore, che purtroppo, come tanti nostri concittadini, vive lontano dalla sua terra d’origine Gravina appunto.
Un giorno mi ha fatto ascoltare questo pezzo; cosa l’abbia ispirato bisognerebbe chiederlo a lui, sicuramente a me ha fatto subito venire in mente un quartetto d’archi che ne esaltasse la poesia contenuta nelle parole.
Un testo del genere doveva essere trattato con i guanti di velluto.
Il primo arrangiamento l’ho fatto con la chitarra, buttando giù due accordi; in seguito grazie alla preparazione e alla competenza del nostro chitarrista Tommaso Colafiglio, abbiamo tirato giù l’arrangiamento per quartetto. Un pezzo scritto a sei mani e tre teste e interpretato magistralmente dai musicisti del quartetto.
“Mère Amère” è dedicata ai tanti profughi che approdano sulle coste italiane, e che spesso in mare invece di un futuro radioso, trovano la morte….
Questo mare così bello e diversificato, culla di civiltà e di storia, abbraccia tanti popoli ma allo stesso tempo tante contraddizioni. La chiave della soluzione di molti dei conflitti mondiali ed incomprensioni tra le genti è proprio qui a due passi da casa nostra, in terre che si affacciano sul Mare nostrum e molto spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Un mare che tanta vita dà con i suoi frutti e i suoi traffici di merci ma che troppo spesso la vita se la prende con i traffici illegali e brutali di esseri umani.
Questo brano nasce dalla mia amicizia con Slim, un ragazzo tunisino sbarcato a Lampedusa qualche anno fa, a cui ho chiesto con grande fatica e sacrificio di ripercorrere il viaggio e di raccontarmi attraverso una poesia-preghiera al mare, il momento in cui stava per imbarcarsi.
La poesia è stupenda ed è contenuta nel booklet del disco; anche la voce di Slim è presente nel pezzo.
Questo brano è dedicato ai tanti “Slim” che ce l’hanno fatta ad arrivare sull’altra sponda del Mediterraneo, ma sopratutto è dedicato ai troppi che in quel mare hanno perso tutte le speranze e la vita.
I numeri delle morti in mare sono da capogiro e non possiamo più stare fermi a guardare o ad ascoltare passivamente le notizie che ci giungono da quel fronte.
La cosa grave è che ormai non ci facciamo nemmeno più caso, considerando inconsciamente un naufragio quasi normalità. Il pericolo più grosso in questi casi è proprio la normalizzazione di cose e situazione che non lo sono affatto.
In Italia abbiamo delle leggi assurde e noi tutti dobbiamo fare qualcosa: Europa, Paesi del Mediterraneo, singoli cittadini, non possiamo assistere inermi a questo massacro.
Completa il disco “Murgia Murgia” una coda strumentale, una sperimentazione sonora. Come avete concepito questo brano?
Questo è l’unico brano concepito direttamente in studio.
La cupa cupa strumento molto antico che si ritrova in molte parti del mediterraneo, ha delle potenzialità enormi. Spesso viene rilegato ad accompagnamento ritmico ma ha una timbrica e una varietà di suoni incredibile.
Grazie all’estro e alla bravura di Pino Basile e de In Cupa Trance abbiamo ripreso il tema conduttore di “Murgia” secondo brano, e di lì abbiamo sviluppato una vera e propria composizione.
Io associo il suono di questo strumento alla voce della Mamma Murgia e ogni volta che lo sento ho l’impressione che la Murgia stia parlando.
Il disco caratterizzandosi per una grande ricchezza sonora, richiederà un trattamento speciale dal vivo, come avete concepito i concerti per la sua presentazione?
In realtà il 28 settembre in occasione della presentazione, siamo riusciti ad avere tutti gli ospiti dal vivo, ed è stato un concerto fantastico ed irripetibile dire a causa della sua logistica davvero complicata. Chiaramente le prossime presentazioni le faremo solo noi della Banda o magari ospitando qualche guest di volta in volta.
Ma questo non è un problema.
Ripeto il disco deve essere diverso dal Live a mio avviso.
Noi continueremo a fare i nostri concerti con la passione e la professionalità di sempre. Ho la fortuna di lavorare con musicisti incredibili sia da un punto di vista tecnico che umano, e con un gruppo così non ci sono ostacoli che tengano.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Un disco non è fatto solo di note, armonie, ritmi e tempi.
Un disco racchiude incontri, persone, sguardi, palchi, viaggi e tanto altro e non lo si fa tra le quattro mura domestiche o di uno studio; quello è solo il punto d’arrivo, la sintesi.
Speriamo di continuare a vivere queste cose sempre per tutta la vita così da poter fare altre decine di dischi.
Adesso ci concentreremo per promuovere il più possibile il nuovo album, diffondere attraverso i concerti e sul web www.sossiobanda.it le copie del disco e cominciare a pensare al prossimo lavoro previsto tra un paio di anni.
E poi suonare, suonare, suonare...
Salvatore Esposito
Sossio Banda – Sugne (HisTricks Records, 2013)
Se nel dibattito etnomusicologico internazionale le forme contemporanee di musiche di tradizione orale hanno un ruolo centrale – in virtù non tanto dell’interesse nei confronti delle dinamiche di produzione della world music, ma piuttosto perché spesso si configurano come elementi che riflettono i processi di trasformazione più profondi e strutturali dei gruppi sociali – le forme musicali di ispirazione popolare non hanno ancora incoraggiato una corrente di studi sistematica e definita. Credo che si possa asserire che il motivo risiede principalmente nelle forme intrinseche di queste musiche, prodotte spesso da artisti “colti” che, come nel caso di cui daremo conto in queste righe, operano entro un vasto spettro di espressioni. Musiche, cioè, che – a differenza (per fare qualche esempio fra tanti) delle forme contemporanee dei canti confraternali, delle pratiche improvvisative legate ai repertori del “Maggio”, dei “canti a distesa” o delle “pizziche” salentine, che oggi sono interpretate anche da cantori giovani – si configurano fin dalla matrice come nuove, originali. E che, in virtù di questa importante caratteristica intrinseca, non sono dissimili – sebbene a un’analisi approfondita possano emergere differenze significative – da quelle prodotte secondo “canoni” (o entro generi) generalmente non interessati da questo irriducibile contrasto (che, per semplificare, si riconduce alle opposizioni “colto/popolare”, “orale/scritto” e via di questo passo). Un contrasto che, a ben vedere, genera un vortice infinito di interpretazioni, a dimostrazione del fatto che il procedimento di denominazione e categorizzazione per generi porta a risultati arbitrari. D’altronde la storia (piuttosto recente) della “world music” ce lo insegna: alla fine degli anni Ottanta, una volta intercettato l’interesse crescente del pubblico per le musiche “etniche”, un gruppo di discografici si riunì e decise di creare (dal nulla) una nuova categoria commerciale che potesse comprendere artisti estremamente dissimili tra loro, accomunati solo dal non produrre musica mainstream: Nusrat Fateh Ali Khan, i Musicians of the Nile, i Drummers of Burundi, i Tenores di Bitti. Ciò premesso (e lasciandoci persuadere per qualche minuto dalla comoda funzionalità delle categorie di cui sopra) non mi stupirei di trovare nel catalogo della Real World o tra le promozioni della World Music Network la Sossio Banda, una formazione pugliese (come si legge nel sito, “tra le proposte più interessanti nel panorama della World Music italiana”), le cui produzioni si inseriscono, di buon grado e con elementi originali significativi, nel vasto insieme delle musiche di ispirazione popolare. Il nuovo disco della Banda – prodotto dalla HisTricks Records – si intitola “Sugne” e racchiude una selezione di musiche composte da Francesco Sossio, sassofonista che ha collaborato a lungo con Enzo Avitabile e altri artisti della scena world internazionale, come Baba Sissoko, Cheb Khaled, Femi Kuti, Manu Dibango, Luigi Lai. Gli altri componenti del gruppo – Loredana Savino (voce), Tommaso Colafiglio (chitarre), Giorgio Albanese (fisarmonica), Francesco Leoce (basso), Michele Marulli (batteria), Pino Basile (percussioni tradizionali) – contribuiscono, con le loro differenti formazioni, al carattere innovativo del disco, caratterizzato, in tutte le sue declinazioni, da un suono curato, arrangiamenti attenti, esecuzioni eleganti e tecnicamente impeccabili e un’atmosfera generale di dinamicità, in cui gli strumenti tradizionali (ciaramelle, tamburi a cornice e a frizione) dialogano abilmente con quelli più prorompenti, come batteria, fisarmonica, sax tenore, mandoloncello. Già al primo ascolto, Sugne si configura come un disco complesso e multiforme. La componente estemporanea della musica della Banda, e quindi l’adesione, non solo formale, a un programma di esecuzione tradizionale, ha un ruolo secondario (anche se emerge in alcuni passi fondamentali). In questo modo l’intera narrazione musicale risulta sospesa tra l’evocazione dei linguaggi popolari della Murgia (che confluiscono innanzitutto nell’uso dei codici espressivi del dialetto) e un vasto patrimonio musicale, che spazia dal jazz al folk di matrice mediterranea.
Daniele Cestellini
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