Al fortunato ascoltatore, ben arrivato a questo prezioso CD (registrazioni sul campo di Renaud Millet-Lacombe, libretto a cura di Laurent Aubert con la collaborazione di Paul Grant), ultimo frutto di una storica collaborazione fra gli Archives Internationales de Musique Populaire (AIMP) di Genève e l’etichetta VDE-Gallo, converrà forse dare un’occhiata ad una mappa geografica: ben prima delle recenti e sanguinose vicissitudini geo politiche, il Kashmir è da millenni una regione montuosa di snodo tra Asia centrale e India, così che la sua musica classica, colta, d’arte detta Sūfyānā Kalām (“parola sufi”) risente di varie influenze. Secondo l’etnomusicologo Jean During, questa tradizione sarebbe fiorita da musicisti persiani che verso la fine del XVII si sarebbero rifugiati nel vicino Kashmir in fuga dall’ostilità della dinastia Safavide nei confronti della troppo torbida pratica musicale. Qui la tradizione persiana, legata intimamente al sufismo (tasawwuf) e ai suoi testi poetici, si incontrò con il retroterra induista preesistente, con le sue teorie musicali imperniate sul sistema modale (raga); sul sistema ritmico (tal) e sulle associazioni extra-musicali (rasa) collegate a stati d’animo, momenti del giorno, stagioni, pianeti, umori e temperamenti. La musica classica del Kashmir, insomma, è un ponte tra le tradizioni di musica classica dette maqām (maqom, mugham, muqam) d’area islamica iranica e centroasiatica e la tradizione indiana del raga.
Come indica il suo stesso nome, il repertorio del Sūfyānā Kalām si basa su lunghe suites vocali e strumentali per le quali è fondamentale il testo cantato, che deriva dai maggiori poeti della poesia persiana medioevale (Sa’dī, Hafīz, Rūmī, Jāmī) e kashmira (Gamī, Sarfī, Ghanji Kashmirī) cantati in persiano, urdu e hindi. I temi sono quelli dell’amore spirituale che la critica letteraria definisce di genere “erotico/mistico”. Le occasioni nelle quali si può condividere il Sūfyānā Kalām sono quelle delle riunioni sufi di ascolto (samā ‘) note in tutto il subcontinente indiano come mehfil, oppure mehfil-i samā‘ che si possono tenere presso appartati centri sufi o presso santuari affollati di pellegrini soprattutto in quell’intervallo di tempo che va dalla preghiera della notte (‘isha) a quella dell’alba (fajr). Altrove il genere musicale ascoltato nel mehfil-i samā‘ è detto qawwālī e chi legge certo ricorda il successo internazionale del più famoso qawwāl pakistano, il compianto Nusrat Fateh ‘Alî Khan (1948-1997). Ustad Ghūlam Mohammad Sāznavāz, voce solista e cetra su tavola percossa santūr, esponente (come Nusrat) della confraternita sufi Chistiyya, è uno degli ultimi maestri depositari della tradizione kashmira, e il suo ruolo è stato più volte ribadito da prestigiose onorificenze. Va notato di sfuggita come il suo strumento, il santūr, possa essere considerato l’icona sonora del Kashmir e come esso sia entrato molto recentemente a far parte dell’organico strumentale della musica classica indiana giungendovi proprio dal Kashmir, grazie al grande solista Shiv Kumar Sharma (1938 -).
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Giovanni De Zorzi
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