BF Choice: Nando Citarella - Carosonando

Di Carosone, italiano atipico, precursore assoluto, rinnovatore della canzone partenopea, anzi italiana, mediatore tra swing d’oltreoceano e scale della tradizione napoletana, maestro della parodia nel riprendere la tradizione delle macchiette, portatore di allusioni ritmiche a mondi esotici (ma ricordiamo la sua lunga permanenza in Eritrea, nonché l’esposizione alle musiche del Nord-Africa) usate per tratteggiare personaggi, modi e stili di Napoli e dell’Italia del dopoguerra e pre-boom economico, si è detto e scritto di tutto, definendo la sua musica perfino world music ante-litteram. Le canzoni di Carosone hanno travalicato tempi e luoghi, riprese dagli artisti più differenti, che ne hanno colto la raffinata leggerezza con cui mischiava i codici, quella capacità sopraffina di fondere con naturalezza stilemi sonori, condita con una massiccia dose di ironia. In attesa del musical “Carosonissimo”, a lui dedicato, protagonista Sal Da Vinci per la regia di Fabrizio Bancale, ideato dal giornalista napoletano Federico Vacalebre, che in due libri già ne ha tratteggiato a fondo la figura, ci gustiamo la rilettura di alcuni capolavori carosoniani proposta da Nando Citarella. Poliedrico, maestro concertista, musico, didatta, all’occorrenza racconta-storie, attore, compositore, studioso del mondo popolare, richiestissimo per portare valore aggiunto a dischi, concerti e festival, Citarella passa con disinvoltura dalle canzoni dei posteggiatori, eseguite in guisa di professore di concertino, al Mozart in versione cantastorie, dalle seduzioni pan-mediterranee al battito verace dei suoi tamburi nelle feste devozionali mariane, dalla tradizione macchiettistica a Paisiello. Nando è un vulcano (la metafora sarà pure scontata, ma davvero dipinge la sua arte a tutto campo) in perenne attività. Lo abbiamo raggiunto, al volo tra i suoi tanti progetti estivi, tra la Sardegna del Jazz Expo di Cagliari alla Toscana pistoiese del festival Sentieri Acustici, per farci raccontare “Carosonando”. 

Prima o poi doveva accadere che Nando Citarella entrasse nel mondo di Renato Carosone… Quando hai incontrato musicalmente per la prima volta Carosone? Intanto sto ascoltando un disco bellissimo di un chitarrista, bravo overamènte, che ho conosciuto poche settimane or sono al Festival Mandopolis di Patrick Vaillant in quel delle montagne sopra Nizza, a Puget Thenièrs. Lui si chiama Josete Ordoñez, e il disco “Objectos Perdidos”; collabora da anni con Eliseo Parra, un altro grande artista spagnolo, gran conoscitore della propria tradizione e non solo. Ma nun ce perdimmo… 

Intanto, prendo nota, maestro… 
La musica di Carosone quando l’ho incontrata? Da piccerillo quando portavo il pranzo in fabbrica a mia madre e alle sue compagne di lavorazione d’e pummaròle’. Cantavano spesso “Piccolissima Serenata”, ma anche “‘O Suspiro” , “Maruzzella”. Molto dipendeva dal ritmo del tappeto e della scatolatrice. In radio, quando lavoravo al forno con mio padre panettiere, spesso invece Carosone intonava “Tu vuò fa l’americano” o “Pigliate ‘na pastiglia”. Chi l’avrebbe mai detto che anni e anni dopo avrei avuto l’onore e il piacere di conoscerlo e frequentarlo nel periodo in cui interpretavo il ruolo del Giullare a “Domenica in”, mentre lui con la sua band era nello studio accanto dove si esibiva nella trasmissione di Magalli su Rai 2. Ovviamente nelle pause tra le prove c’era il momento della convivialità e lì partivano gli aneddoti… Ma per stringere … la prima volta che ho incontrato la musica di Carosone avevo sette anni, e lui aveva già abbandonato le scene. 

Comme’ t’ è venuto ‘a capa ‘e fa stu’ disco? Per usare un tono professionale, e per farci capire da tutti: qual è la genesi di questo album? 
Il progetto era in fase di elaborazione già da due anni e a suo tempo ne avevo già parlato con Pietro Cernuto, degli Unavantaluna. Avevo voglia di portare quella musica alla parte popolare, cercando di coglierne e amplificarne, gli spunti che vi si intuivano, facendola incontrare con alcuni strumenti a noi cari quali il friscaletto, la tammorra, l’organetto, la zampogna. È sempre un gioco quello della musica. 

Ti senti vicino allo spirito di Carosone? 
Lo spirito di Carosone è insito in molta musica trad, rock, jazz della sfera napoletana, penso che anche alcuni grandi della musica napoletana ne abbiano subito il fascino e l’influenza, da Pino Daniele di ”Che Calore” o “‘Na Tazzulella ‘e Cafè”, ma ad altri che viaggiavano tra il prog e il cantautorato. Lo stesso Edoardo Bennato o il Senese anni Settanta con gli Showmen. 

Ci hanno provato in tanti nel mondo trad/ world, dagli Acquaragia Drom ai Bratsch fino a Manu Chao, solo per citarne alcuni. Omaggiare l’arte di Carosone l’arte e lo spirito va bene, ma come ti sei avvicinato al suo repertorio, tu che sei abituato più a scavare nei materiali un po’ dimenticati, vedi lo splendido album sulla posteggia di qualche anno fa? 
Beh, bisogna dire che alcuni posteggiatori o anche gavottisti suonavano la musica di Carosone o di autori che avevano scritto per lui. Lo stesso Modugno, che assieme a Riccardo Pazzaglia aveva composto “Lazzarella” o “Io mammeta e tu”, da sempre nel repertorio umoristico dei posteggiatori, affiancato a gioielli quali “Maruzzella” o “E la barca tornò sola”, con il mitico assolo in gorgoglio. E poi a volte non bisogna per forza scavare, basta guardarsi un po’ dentro a attorno e vir’ cose che primm nun s’eran viste, esclamando”: Avì lloco avì! 

Come avete scelto i brani da riproporre? 
È stato un bel travaglio, ma con Pietro abbiamo voluto seguire anche l’istinto più vicino alla tradizione, (tra una tammurriata e un maqsoum, tra una pizzica pizzica e perché no, il ritmo del rock&roll anni Cinquanta, con quel levare tipico che somiglia molto ad un certo tipo di tarantella dal sapore shuffle: “Tu vuò fa l’americano”, “Caravan Petrol” , “’O Saracino” , “Pasqualino Marajà”, ma erano anche quelle che più ascoltavo a chillu tiemp’. 

Come dicevi, tra i principali compagni d’avventura anche il maestro Pietro Cernuto, responsabile degli arrangiamenti. Come avete lavorato alla rilettura dei brani? Irrinunciabile il gusto della citazione, dell’allusione, dello spiazzamento… 
Allusione, citazione, rilettura da sempre appartengono alla musica non solo tradizionale. Domenico Piccinni doveva raccontare attraverso la musica le fattezze e le astuzie femminili e scrisse una melodia che è arrivata fino a noi con il testo che nei secoli è stato modificato fino a diventare quello che oggi ancora si canta, mi riferisco a “Palummella zompa e vola”, che deriverebbe dall’“Aria di Brunetta”, tratta dall’opera buffa “La molinarella” del 1766. No ‘ll ex ministro!!!

‘E c’ mancasse… Sciò! sciò! Come hai scelto i musicisti per questo disco? 
La musica di Carosone per me nun’è essa si non ci stanno i sassofoni o il clarinetto. Non abbiamo voluto mettere il pianoforte proprio perché Carosone era un grande suonatore di pianoforte e mi piace dire suonatore. Lui diceva: “Cari musici e maestri, quanno v’assettat’ annanz’ stu signore… o sunate…o sunate” basti pensare che anche dopo la malattia sofferta aveva ripreso a studiare e ad allenarsi con Bach. Chapeau! Devo dire che Pietro è stato di grande aiuto nella scelta chiamando a sé amici e colleghi di gran talento ma soprattutto cu voglia ‘e sunà. 

Un disco non solo di cover, ma anche di canzoni e brani strumentali originali, che traducono viaggi sonori nelle musiche tradizionali e non solo, come a “Museca” che accoglie anche l’organetto di Riccardo Tesi , o che si traducono in incroci sonori, come in “Pizzitango”. 
Pensa che “Museca” è stata scritta nel ’93 assieme a Carlo Mezzanotte (fondatore con Rodolfo Maltese degli Indaco e mio grande amico), con cui abbiamo condiviso tanti e tanti palcoscenici all’insegna del Cafè Chantant e della Macchietta. In quel pezzo c’è per me cos’è ‘a Musica, con molte citazioni progressive. Nel ’74 a Nocera conducevo una trasmissione su una Radio Libera – che bella parola!!! – Radio Nocera Amica, che poi scomparve a causa del terremoto dell’80…Il palazzo crollò! Li c’era il rock, il funky, il R&B, ma anche il gruppo delle Nacchere Rosse o il Teatro gruppo di Salerno. Museca è ‘a voce d’a creatura ca cercann’a zizza d’a mamma allucca e fa’nguè nguè! 

Parlami di “A nord del Garigliano”, una canzone autobiografica… 
È la mia storia, la voglia di partire da un paese, che poi è una cittadona, dove nulla accadeva se non scaramucce politiche o mazzate tra bande rivali, lavori mal pagati e sfruttamento, ma anche compagnie belle e voglia di scoprire che ce stev’ all’ auta parte d’o sciammo. Devo dire però anche con una punta di delusione nel vedere molti , nella Capitale, che si improvvisavano artisti, agenti, procuratori, pseudo sindacalisti, che sull’onda o sulla scia dell’emigrazione invece di aiutare ledevano ancor di più ‘a fatica e ll’at’, in nome dell’arte. E magari con la presunzione che avendo studiato in Conservatorio, si credevano maestri, prufessori e musici e ancora oggi accade. Esperienza passata, vissuta e meno male …arrèt’e spall’. 

Oltre ai Tamburi del Vesuvio, c’è una sezione fiati? 
C’è una ricchissima sezione di fiati e un grazie oltre che a Pietro va al Quartetto Skatò (Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia). Musici di gran qualità. 

Con Cernuto e Mauro Palmas siete alle prese con un altro progetto…
Con Mauro ci conosciamo da tanti anni e abbiamo condiviso tanti progetti con Elena Ledda e una folta schiera di musici sardi, dai Tenores di Bitti a Marcello Peghin, da Antonello Salis a Luigi Lai. Con Riccardo Tesi eravamo nell’organico del progetto “Acqua Foco e Vento” del 2001 e già si pensava ad una esperienza insieme tra isole e vulcani, tra mare e miniere. Insomma ’o mare con tutte le realtà e le influenze che ‘o mare porta: “O mare è mare…e nun’o ssape che te fa paura!” Abbiamo poi coinvolto anche Pietro Cernuto con la sua vocalità siciliana sanguigna e verace ma con anche i suoi fiati e gli otri ad ancia, e così che TA-MA (Tammorra e Mandola, sic!) duo è diventato un ex duo, cioè un trio. Ed ecco che mollate le cime e levati gli ormeggi siam salpati e pe mo ‘o vient’c’aiuta, chissà che non ne nasca un CD? 

Instancabile, hai appena intrapreso una nuovo progetto con Palmas, Ledda, Avitabile.? Un’opera etno-jazz. Maro’ che brutte parole! Di che si tratta? 
Il progetto è frutto di Mauro Palmas ed è una commissione fattagli dall’Europena jazz Expo di Cagliari in cui lui ha voluto musici di varia provenienza (dalla Toscana alle Marche, dalla Sicilia alla Campania fino alla terra Ichnusa). Il progetto è andato in scena il 23 luglio scorso e devo dire che è stata una bellissima esperienza. Nun se fernesce mai ‘e ‘mparà ‘nta ‘sta vita nosta e chest’è ‘o bello. Titolo del progetto S’ARD, che nell’antica lingua sarda vuol dire ”Danzatori delle Stelle”, senza nessuna allusione a Sorrenti… 

Ma non credo finisca qui l’attività live del Maestro Citarella. Che altro hai in programma? 
A parte il lavoro con Palmas e Cernuto stiamo preparando un concerto molto difficile e bello nello stesso tempo. Il mio lavoro passato “Magna Mater” fu ascoltato dal direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica di Oviedo e delle Asturie (a Firenze un anno fa esatto). L’orchestra e la città di Oviedo nelle Asturie ci hanno commissionato Magna Mater Sinfonico ovvero dalla Romanza popolare alla tammurriata in sincretismo con la tradizione sinfonica. Ci sarà un passaggio tra la gaita di Hevia e la zampogna di Cernuto ma anche quella dei cilentani Kiepò (grandi suonatori di ciaramella e zampogna a chiave). Per questo progetto mi sono avvalso, e lo ringrazio assaje anticipatamente, della collaborazione e della maestria di un altro caro amico di Raito, Pietro Pisano, grande orchestratore e collaboratore di Daniel Oren. I prossimi 18 e 19 settembre saremo in Spagna con l'orchestra sinfonica di Oviedo diretta da Marzio Conti, per questo “Magna Mater sinfonico. Il viaggiò il ritmo il canto”. 

L’ultima settimana di agosto c’è Etnie a Marina di Camerota, nel Cilento ormai un classico per le cosiddette “vacanze etniche”, fatte di stage di strumenti, canto, ballo e tanta musica d’insieme.
Quest’anno è dal 24 al 31 agosto. Per il programma e tutte le altre informazioni, si può visitare il sito www.etnieonline.org. Siamo giunti ormai alla ventunesima edizione a Camerota. Ma per me è la trentesima, perché cominciai nel 1983 con il Circolo Arci Eliogabalo di Via Maroncelli 21 in Milano. A quel tempo venivano a tammurriare e tarantellare con me e Mario Salvi la mitica donna Annalisa Scarsellini, la Guidotti, il Nostrini di Radio Popolare, tanti altri milanesi agguantati dall’agro-nocerino. La prima edizione fu proprio nell’83, a Briatico (CZ), ora in provincia di Vibo, nel mitico Campeggio Kursaal, pescatori calabresi, zappatori nocerini e ballatori garganici coinvolgevano Nord Sud Ovest e Est sott’a stessa zizza….’a tradizione… che è sempre viva e nun’è morta, come qualcuno vorrebbe. Ma nuje tenimmo ‘a capa tosta. 

Cu ‘afacciamiasottoipiedivostri! 


Nando Citarella & Tamburo del Vesuvio – Carosonando (Alfa Music, 2013) 
Non si tratta di un ripensamento della produzione di Carosone, che rappresenta “l’urtext irriproducibile, che condiziona e illumina tutte le versioni successive”, scrive Giandomenico Curi nella presentazione del disco, piuttosto di renderle omaggio, assecondando la prospettiva di chi pratica le musiche di tradizione orale, ma non solo. Ne deriva che il timbro tenorile di Nando procede con la collaborazione dell’ottimo Pietro Cernuto (degli Unavantaluna), responsabile degli arrangiamenti, dei Tamburi del Vesuvio, edel quartetto di sassofoni Skato, né mancano ospiti illustri come Riccardo Tesi – il cui organetto suona in “Museca”, siglato Citarella – Paola Crisigiovanni (pianoforte in “Palazziello”) e Alberto D’alfonso (sax contralto in “Piccolino”). Citarella e Cernuto costruiscono intorno ai brani carosoniani un reticolo sonoro, attingendo a stili ed espressioni del mondo tradizione del sud Italia, inserendo tra una canzone e l’altra inediti che arricchiscono il programma del disco. Né si privano di lazzi e passaggi ironici, com’è nell’indole artistica del polistrumentista e cantante campano. Strizza l’occhio al klezmer “Bellu Guaglione”, si rivolge ai Balcani “Filangieri”, che presenta passaggi lirici su un denso tessuto di zampogna, tastiere, fiati e tamburi a cornice e un affettuoso omaggio a Matteo Salvatore. Immancabili procedure vocali e malinconie del canto mediterraneo, ma accanto agli strumenti acustici della tradizione popolare entrano in scena uno strumentario elettrico e i fiati, a confermare il sound dixie che è il marchio carosoniano. La mescolanza di elementi è travolgente, pur non apportando del tutto tratti di assoluta novità. Affondano nelle sonorità del vicino oriente, come da copione, “‘O sarracino” (ci viene in mente la versione in salsa romanes di Acquaragia Drom) e “Pasqualino Maraja”, ligi allo schema melodico e strofico originali, tra melismi, guizzi di friscaletto, rimandi alla vocalità urbana napoletana e a quella contadina, trovate citarelliane, citazioni colte. “Maruzzella” (tra le tante cover, ricordiamo una bella versione dei Bratsch), rinuncia al richiamo etnofonico della fronna iniziale, lasciando libero il mezzo soprano naturale Gabriella Aiello di muoversi all’interno della tradizione melodica partenopea, in un brano che assume sembianze di una tarantella venata d’Oriente. Riluce “Piccolissima serenata”, che espone ancora le apprezzabili doti interpretative della Aiello: canto a fil di voce; il brano si muove a tempo di calypso con pronunce swing e dixie nella parte orchestrale. Una funkeggiante “Pe Tuledo”, firmata Citarella-Cernuto, è l’incipit per una notevole versione di “Giuvanne cu a chitarra”, in cui si affaccia perfino la ellingtoniana “Caravan”. “A Nord del Garigliano” è un autobiografico multiforme inedito. Il tributo all’antica figura del pazzariello napoletano è doveroso, prima di lanciarsi nella cavalcata irresistibile di “Caravan petrol”, piena di invenzioni, furbizie artistiche e rimandi: dal vivo, sicuramente sarà travolgente. Passione e sentimento nella voce bruniana di Nando che intona “Palazziello”, firmata Rendine/Bonagura pescata dal repertorio di Bruni, ma cavallo di battaglia di tanti altri cantori della Napoli secondo novecentesca. Il maestro Cernuto rivela la sua libertà espressiva nella strumentale “Pizzitango”, cui seguono le misture di “Museca”, svettante per il duetto vocale tra Nando e Gabriella, i fraseggi dell’organetto sempre magico di Tesi, i serpeggi dei fiati. “Occhei Napulità” è l’intro di “Tu vuo’ fa l’americano”, irresistibile classico, che si snoda tra boogie e rock’n’roll, movimenti sincopati ed accelerazioni swing. Il finale con “Cantanapoli” passa in rassegna i componenti della Compagnia La Paranza e di tutti gli artisti compartecipi di questo omaggio rispettoso, come si conviene, dell’arte di un grande della musica italiana come Renato Carosone, creato dal prismatico Nando Citarella, da Nocera Inferiore. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia