Saggio originariamente pubblicato con il titolo "Il gioco con i suoni: morfologia del gesto musicale in una prospettiva socio-educativa" di Michele Santoro, in Alessandro PONTREMOLI, "Teoria e tecniche del teatro educativo e sociale", Torino, UTET Libreria, 2005, pp. 226-246.
Il Gesto Strumentale Nel Processo Di Sviluppo Del Gioco Sonoro. Analisi Di Un'Esperienza
La testimonianza che presentiamo consiste in una selezione di materiale documentario tratto da un protocollo di osservazione realizzato in ambito educativo-terapeutico. É, in questo caso, il gesto strumentale a salire sul palcoscenico degli eventi, gesto agito, giocato intensamente sul piano dell’immaginazione fantastica da un giovane disabile.
Il lupo…e il pianoforte 1
Fernando, così chiameremo il nostro “musicista”, adolescente con diagnosi di tetraparesi spastica, “vive” su di una sedia a rotelle, a parte il momento del riposo e le varie attività di riabilitazione (fisioterapia, psicomotricità, esercizi col deambulatore) a cui partecipa; molto limitata è quindi la sua possibilità di esplorazione spontanea dello spazio circostante. La sua postura, condizionata da una accentuata ipertonicità, esibisce uno stato di continua tensione del corpo, il cui sviluppo ponderale è invece normale. La rigidezza del fisico è del resto confermata e ribadita anche da una costante apprensione psicologica. Questa insistente condizione ansiogena si manifesta con una copiosa sudorazione delle mani oltre che con una atipica forma di ossessività verbale. Fernando si rivolge infatti ai suoi interlocutori attraverso frasi stereotipate che itera, rielabora e ricompone, a suo uso e consumo, come un puzzle. Molte di queste frasi sono pronunciate da Fernando in terza persona ma, in fondo, riguardano lui stesso: “Alza la testa!”, “Che forza, Fernando” sono esempi di questa prolissità verbale, rappresentando, probabilmente, raccomandazioni indirizzate al ragazzo da parte di adulti significativi. Sono parole che girano nella testa di Fernando, il quale, mediante queste ultime, spesso imbastisce una sorta di recita: ogni frase è infatti cadenzata ed intonata in modo accentuato, declamata con versatilità (tono imperativo, conciliante, supplichevole, ecc.), indice comunque di notevole potenzialità espressiva da parte del giovane.
A livello di percezione visiva, Fernando distingue solo oggetti tridimensionali, mentre la micromotricità, infine, risulta particolarmente compromessa e limitata (non riesce, ad esempio, a prendere e trattenere nelle mani un battente o una maracas).
Estratto dal terzo incontro con Fernando (legenda: F. = Fernando; M. = l’educatore musicale):
”...F. è seduto al centro della stanza. Le braccia appoggiate largamente sui braccioli della sedia bianca, la schiena in po’ arcuata in avanti, le spalle chiuse; la testa tende ad inclinarsi verso il basso. Le mani trasudano e M. gliele asciuga. “Come stai?”, è il solito ritornello cui F. sembra far ricorso tutte le volte che è angosciato o ha paura. F. continua: “Sei un testone!”, “Ti annoi?”, “Sei un poltrone!”. “Che cosa fa un poltrone?”, gli chiede M. ”Un poltrone sta sotto il divano e legge il giornale mentre io sono in cucina”, replica F. Nel dire ciò il suo tono di voce è più deciso, addirittura un po’ risentito. M. aiuta F. lentamente ad alzarsi dalla sedia, occupando immediatamente il suo posto. F. ora è seduto su M., che fa da poltrona. Ride, è a suo agio.
M. gli chiede se è d’accordo a camminare un po’. F. acconsente. M. gli si colloca dietro, sostenendolo all’altezza delle ascelle. Insieme percorrono un pezzo di stanza. Tornato a sedere F. propone un altro classico: “Diciamo le capitali?”. Comincia a parlare con tono forte ed autoritario, fa associazioni sconnesse, passa da un abbozzo di discorso a un altro, ride, si diverte. Per tutta risposta, M. da una borsa di plastica tira fuori dei palloncini, ne gonfia uno e poi chiede a F. di sceglierne uno. F., alla fine, ne sceglie un palloncino blu. M. chiede a F. se lo vuole gonfiare. F. non rifiuta l’invito, però l’impresa si rivela ardua e M. lo gonfia per lui. F. e M. giocano con i palloncini, poi M., improvvisamente, prende in braccio F. e lo solleva verso alto ripetutamente, come se stesse lanciando un pallone. F. ride di gusto, è leggero, sembra soddisfatto. Il clima è molto sereno.
Ora F. e M. sono di fronte al pianoforte. M. posiziona F. in piedi sul lato delle note gravi (dietro di lui, comunque, c’è una sedia pronto ad accoglierlo). F. si aggrappa come può, è fortemente instabile tanto che perde quasi da subito l’equilibrio: le palme di entrambe le mani cadono con forza sulla tastiera, producendo due cluster pieni. F. è come immobilizzato, lo sguardo fisso sui tasti per alcuni lunghi secondi. Poi, improvvisamente, come rapito, con voce robusta, esclama: “Il lupo...”. M., nel frattempo, aziona il pedale di risonanza. F. ripete, questa volta intenzionalmente, il gesto, prima con una mano, poi con l’altra, poi ancora con le due insieme.
La vibrazione delle corde perdura per lungo tempo. F., in modo intermittente, itera la sua esclamazione; il suo è un dialogo autonomo ed esclusivo, come se nella stanza non vi fosse nessun altro. F. sperimenta il volume del suono graduando l’energia del gesto. Anche M. cerca di alternare l’uso del pedale. Ne risulta una varietà di sfumature sonore, ora più avvolgenti ora più nette nei contorni. Poi, con delicatezza, F. suona solo un tasto, dicendo sottovoce:” E’ andato via!”. Sono trascorsi, circa tre minuti dall’inizio del gioco. F. è ora accasciato sulla sedia così come all’inizio dell’incontro. ”Che ora è?”, chiede, e nella voce si risente una punta di smarrimento...”. La seconda parte di questa osservazione presenta sinteticamente, più e meglio di ogni altro discorso teorico, un po’ tutti i temi sui quali si è sviluppata la nostra indagine. La performance di Fernando rappresenta un piccolo esempio di “arte totale”. Con uno scarno canovaccio - “il lupo che appare e che poi va via” (ma non conosciamo quali altre sensazioni percorrono la mente di Fernando) -, egli mette in scena una pièce minimalista nella quale appare evidente, ed in un certo senso obbligato, l’apporto sinergico di più discipline artistiche. L’episodio, dal momento che si innesca, del tutto casualmente, il “gioco con i suoni”, è pervaso da un alto grado di astrazione dalla realtà circostante. Fernando è totalmente immerso nella rete di un gioco che si regge su di uno straordinario potere seduttivo. A Fernando sembra schiudersi l’accesso ad una facoltà illusionistica: far apparire il lupo (o forse trasformarsi egli stesso in lupo) così come provocarne il dissolvimento; ed ancora, il “terrore” e la “levità”, le loro essenze intendiamo, che si reificano attraverso la magia simbolico-evocativa del gesto musicale. Concreta, tangibile è invece la rivelazione, nella condizione di deminutio in cui vive Fernando, di una abilità reale e coinvolgente, esercitata coscientemente ed in modo intenzionale. Per una esistenza provata, segnata nel fisico, comprendere che il proprio corpo è ancora sede di potenzialità insospettate, scoprirsi Fernando capace di dosare, veicolare energia è forse un segno, l’opportunità di un riscatto. Quest’ultima riflessione ci porta a considerare in tutta la sua efficacia il versante pedagogico e terapeutico della musica. L’atto di produrre musica è così diffuso nel fare dell’uomo, talmente connaturato - si pensi, riferendoci alla nostra cultura, a quante volte canticchiamo o tamburelliamo ritmicamente con le dita, in realtà senza esserne consapevoli - da non essere spesso riconosciuto e definito nella sua valenza appunto musicale. Il senso comune spinge ad identificare la musica prima di tutto con una tecnica, e per giunta complessa.
Purtroppo, assolutamente secondario e quindi scarsamente considerato è il concetto di musicalità, elemento vitale costitutivo presente comunque in ogni individuo, ingrediente essenziale della storia personale di ciascuno. Per questo motivo si utilizza più compiutamente la definizione di identità sonora o musicale, ovvero di quel complesso di esperienze assolutamente uniche, interagenti a vario titolo e misura con l’universo sonoro di cui la biografia di ognuno è impregnata 2. Ogni individuo, anche chi sfortunatamente è affetto da una disabilità, seguendo questa impostazione, è quindi anche un contenitore di suoni, in conseguenza di un complesso lavorio svolto in itinere dalla nostra psiche, intenta ad imprimere nella memoria uditiva le tracce sonore emotivo-affettive significative della esperienza individuale, veicolate attraverso le numerose attività musicali ed eventi sonori che hanno segnato la nostra esistenza. Ma la nostra “storia sonora” non potrebbe considerarsi in sé compiuta, se dimenticassimo che in essa confluiscono anche i materiali sonori indotti dall’ambiente e dal contesto di vita, immagazzinati e fatti propri inconsapevolmente dalla nostra mente. La musicalità è “l’essere musicale”; essa esprime e riflette dunque questo complesso mondo sonoro intimo, modellato dalle scelte, dai bisogni, dai gusti custoditi in ogni soggettività, potenzialmente pronto a manifestarsi solo che il contenitore possa schiudersi. In questo contesto concettuale sarebbe importante moltiplicare i luoghi e le occasioni per esprimere le diverse musicalità; ciò significherebbe creare un’area permanente di cultura trasversale con l’incontro e l’arricchimento reciproco di realtà diverse, basate sulla collaborazione e sul concetto di “scambio” (di esperienze, di abilità, di competenze). Le accezioni del verbo “integrare”, sono, a questo proposito, illuminanti: completare, completarsi a vicenda, riunire. L’integrazione del soggetto disabile rientra pienamente in quest’ottica, non di “aiuto”, ma di “scambio”. Non esiste disabile impedito alla produzione di musica: ognuno è sicuramente “portatore” di una propria storia e cultura, ovviamente anche musicale, che si interrela con il sistema culturale in cui vive, ivi compreso il sistema musicale. Ma, e ciò ci sembra di capitale importanza, scambiando le esperienze si intravedono anche le identità, ci riconosciamo umani e basta, senza bisogno di ulteriori specificazioni. In questa, per alcuni scomoda verità, scorgiamo la funzione creativa e unificante della musica, un’arte, come ha scritto André Schaeffner, “...così necessariamente mischiata alle nostre azioni, che si realizza a dispetto di tutto, e con una fantasia o con una temerarietà di mezzi materiali che ci confonde...” 3.
La vibrazione delle corde perdura per lungo tempo. F., in modo intermittente, itera la sua esclamazione; il suo è un dialogo autonomo ed esclusivo, come se nella stanza non vi fosse nessun altro. F. sperimenta il volume del suono graduando l’energia del gesto. Anche M. cerca di alternare l’uso del pedale. Ne risulta una varietà di sfumature sonore, ora più avvolgenti ora più nette nei contorni. Poi, con delicatezza, F. suona solo un tasto, dicendo sottovoce:” E’ andato via!”. Sono trascorsi, circa tre minuti dall’inizio del gioco. F. è ora accasciato sulla sedia così come all’inizio dell’incontro. ”Che ora è?”, chiede, e nella voce si risente una punta di smarrimento...”. La seconda parte di questa osservazione presenta sinteticamente, più e meglio di ogni altro discorso teorico, un po’ tutti i temi sui quali si è sviluppata la nostra indagine. La performance di Fernando rappresenta un piccolo esempio di “arte totale”. Con uno scarno canovaccio - “il lupo che appare e che poi va via” (ma non conosciamo quali altre sensazioni percorrono la mente di Fernando) -, egli mette in scena una pièce minimalista nella quale appare evidente, ed in un certo senso obbligato, l’apporto sinergico di più discipline artistiche. L’episodio, dal momento che si innesca, del tutto casualmente, il “gioco con i suoni”, è pervaso da un alto grado di astrazione dalla realtà circostante. Fernando è totalmente immerso nella rete di un gioco che si regge su di uno straordinario potere seduttivo. A Fernando sembra schiudersi l’accesso ad una facoltà illusionistica: far apparire il lupo (o forse trasformarsi egli stesso in lupo) così come provocarne il dissolvimento; ed ancora, il “terrore” e la “levità”, le loro essenze intendiamo, che si reificano attraverso la magia simbolico-evocativa del gesto musicale. Concreta, tangibile è invece la rivelazione, nella condizione di deminutio in cui vive Fernando, di una abilità reale e coinvolgente, esercitata coscientemente ed in modo intenzionale. Per una esistenza provata, segnata nel fisico, comprendere che il proprio corpo è ancora sede di potenzialità insospettate, scoprirsi Fernando capace di dosare, veicolare energia è forse un segno, l’opportunità di un riscatto. Quest’ultima riflessione ci porta a considerare in tutta la sua efficacia il versante pedagogico e terapeutico della musica. L’atto di produrre musica è così diffuso nel fare dell’uomo, talmente connaturato - si pensi, riferendoci alla nostra cultura, a quante volte canticchiamo o tamburelliamo ritmicamente con le dita, in realtà senza esserne consapevoli - da non essere spesso riconosciuto e definito nella sua valenza appunto musicale. Il senso comune spinge ad identificare la musica prima di tutto con una tecnica, e per giunta complessa.
Purtroppo, assolutamente secondario e quindi scarsamente considerato è il concetto di musicalità, elemento vitale costitutivo presente comunque in ogni individuo, ingrediente essenziale della storia personale di ciascuno. Per questo motivo si utilizza più compiutamente la definizione di identità sonora o musicale, ovvero di quel complesso di esperienze assolutamente uniche, interagenti a vario titolo e misura con l’universo sonoro di cui la biografia di ognuno è impregnata 2. Ogni individuo, anche chi sfortunatamente è affetto da una disabilità, seguendo questa impostazione, è quindi anche un contenitore di suoni, in conseguenza di un complesso lavorio svolto in itinere dalla nostra psiche, intenta ad imprimere nella memoria uditiva le tracce sonore emotivo-affettive significative della esperienza individuale, veicolate attraverso le numerose attività musicali ed eventi sonori che hanno segnato la nostra esistenza. Ma la nostra “storia sonora” non potrebbe considerarsi in sé compiuta, se dimenticassimo che in essa confluiscono anche i materiali sonori indotti dall’ambiente e dal contesto di vita, immagazzinati e fatti propri inconsapevolmente dalla nostra mente. La musicalità è “l’essere musicale”; essa esprime e riflette dunque questo complesso mondo sonoro intimo, modellato dalle scelte, dai bisogni, dai gusti custoditi in ogni soggettività, potenzialmente pronto a manifestarsi solo che il contenitore possa schiudersi. In questo contesto concettuale sarebbe importante moltiplicare i luoghi e le occasioni per esprimere le diverse musicalità; ciò significherebbe creare un’area permanente di cultura trasversale con l’incontro e l’arricchimento reciproco di realtà diverse, basate sulla collaborazione e sul concetto di “scambio” (di esperienze, di abilità, di competenze). Le accezioni del verbo “integrare”, sono, a questo proposito, illuminanti: completare, completarsi a vicenda, riunire. L’integrazione del soggetto disabile rientra pienamente in quest’ottica, non di “aiuto”, ma di “scambio”. Non esiste disabile impedito alla produzione di musica: ognuno è sicuramente “portatore” di una propria storia e cultura, ovviamente anche musicale, che si interrela con il sistema culturale in cui vive, ivi compreso il sistema musicale. Ma, e ciò ci sembra di capitale importanza, scambiando le esperienze si intravedono anche le identità, ci riconosciamo umani e basta, senza bisogno di ulteriori specificazioni. In questa, per alcuni scomoda verità, scorgiamo la funzione creativa e unificante della musica, un’arte, come ha scritto André Schaeffner, “...così necessariamente mischiata alle nostre azioni, che si realizza a dispetto di tutto, e con una fantasia o con una temerarietà di mezzi materiali che ci confonde...” 3.
Quasi Una Conclusione.
Con lo stesso effetto di propagazione a cerchi concentrici che un “sasso lanciato in uno stagno” suscita, le parole gioco e suono hanno provocato, nel corso di questa riflessione, una serie di connessioni concettuali tendenti ad allargare l’ambito di ricerca. E’ perciò necessario, in sede di ipotesi conclusive, tentare una operazione di sintesi.
Nel nostro studio si è cercato di evidenziare quanto sia coinvolgente l’impatto tra l’essere umano ed il mondo dei suoni. L’incontro tra questi due microcosmi non può che produrre una struttura animata, un organismo vivente che ha nel principio del movimento il suo presupposto tipico e determinante. D’altra parte, se l’origine della musica è da ricercarsi nel corpo umano, parimenti anche la danza denota la stessa radice. Una sorgente comune che si estende anche al teatro, poiché il suolo della danza, lo spazio coreutico, sta alla base egualmente del fatto teatrale. Ma il gioco, in particolare quello infantile, è anche, ineccepibilmente, teatro allo stato puro. Il cerchio si chiude, sostanziando l’intreccio tra queste espressioni artistiche ed imponendo anche uno studio approfondito, una formazione comune e parallela degli educatori che operano con le arti in ambito socio-educativo.
Di movimento si nutre quindi il “gioco con i suoni”, il cui meccanismo d’avvio e sviluppo attraversa con una linea di continuità il mondo del gioco infantile, taluni aspetti del gioco musicale degli adulti ma anche il gioco musicale del soggetto disabile.
Il gioco con i suoni, una volta messo in moto, cattura in maniera completa l’attenzione della persona orientandola sul suono e sulle sue componenti. Si configura così una sorta di primato del gioco, il quale sembra disporre totalmente di chi al gioco, appunto, partecipa. Questo incontro avviene in uno spazio creativo, un ambiente che ri-suona poiché l’essenza umana è in primis stratificazione sonora, uno spazio che offre a volte occasioni di apprendimento, spesso di socializzazione, senza dubbio di comunicazione. E’ in questo spazio, in cui decisivi saranno la sensibilità e l’abilità di intervento dell’educatore musicale, che individuiamo l’origine di ogni attività terapeutico-musicale.
Note
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1 La breve esperienza che presentiamo proviene dall’archivio di lavoro di chi scrive.
2 A questo proposito, cfr.: DEMETRIO, Duccio, Il metodo biografico. Ricostruire l’identità musicale a partire da sé, «Progetto uomo-musica», 1994, 5, pp. 43-47; inoltre: FERRARI, Franca, Ripartire dall’identità musicale, in Pedagogia della musica: un panorama, a cura di Mario Piatti, Bologna, Clueb 1994, pp. 131-145.
3 SCHAEFFNER, André, Origine degli strumenti musicali, introduzione all’edizione italiana di Diego Carpitella, Palermo, Sellerio 1978, p. 23 (ediz. orig.: Origine des instruments de musique, Paris-Den Haag, Mouton & Co and Maison des Sciences de l’Homme 1936).
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