“Una volta, tanto tempo fa, ero un’aquila. Ho 23 anni, sì, ventitré. Quattro dischi miei, da me composti, registrati, suonati e cantati. Quest’ultimo l’ho registrato usando tre accordature diverse per sottolineare gli stati d’animo del disco. Una prima metà è scura, quasi dark, mentre la seconda metà è più upbeat, quasi trionfalistica. So cantare quello che sento e la cosa favolosa è che vivo e opero in un paese che valorizza questa cosa, fregandosene, laddove possibile, dei riferimenti fin troppo precisi del mio songwriting. Il disco credo si muova lungo coordinate precise, vocalmente uso il verso libero, ma qualche volta creo melodie che ricamano dolcemente idee musicali, che poi si sentono in background. Insieme a Ethan Johns, figlio d’arte, perché il suo babbino ha prodotto, vediamo... The Rolling Stones, Eric Clapton, Led Zeppelin and The Who, così, tanto per dire, ho creato un disco di un’ora e qualcosa che sa di pomeriggi oziosi e piovosi, con richiami alla psichedelia in più di un brano e la voce che va dietro allo stile di Joni Mitchell. Malgrado Ethan sia un drummer ma non solo, il disco ha un’ossatura fondamentalmente acustica, pochi gli elementi percussivi, magari qualche elemento noisy e avanguardistico, addirittura un intermezzo in odore di Philip Glass o giù di lì”. Queste potrebbero essere le parole di Laura Marling che ci racconta il suo disco, le cui canzoni sono roba seria, soprattutto se viste nell’ottica italiana. Chi crederebbe in una cantante di ventitré anni, anche se indubbiamente brillante e dotata? Vi posso assicurare che in Italia non mancano talenti puri come la Marling, ciò che manca è la capacità di far funzionare dal punto di vista manageriale fenomeni come questo. Ed è una grande tristezza pensare a quanta bella musica ci viene sottratta da chi pensa solo che il popolo sia bue.
Antonio "Rigo" Righetti