
Come nasce “Promises”? Quali sono state le tue ispirazioni?
“Promises” nasce da un particolare momento della mia vita in cui ho avuto la necessità di pensare a me stesso un po’ più in profondità del solito. Nel contempo eravamo nel mezzo di una campagna elettorale che non esito a definire ridicola, tutta fatta di promesse assurde fatte da parte di tutti gli schieramenti, e ho cominciato a pensare al ruolo che le promesse rivestono nella nostra vita. Siamo noi uomini che le mantengono o pagliacci che danno solo aria ai denti, come si suol dire? E poi, quanto le nostre decisioni condizionano gli altri? Una nostra promessa mancata può costituire un problema per qualcuno? Difficile dirlo, difficile quantomeno generalizzare. Questo è stato l'input "filosofico" che sta dietro la nascita di questo lavoro, che peraltro ha avuto anche una gestazione più lunga del solito, vista la pausa che ho dovuto prendermi, quindi c'è stato anche tempo di pensarci proprio bene..
Come mai la scelta, di lavorare in solitario?
Non è una novità, tutti i miei dischi solisti sono stati suonati, composti e registrati in solitaria. “Promises” è il sesto della serie, cominciata nel 2001 con “Celticaravan” e passata poi per lavori come “Indoeuropean”, “Ancestral Breath”, “Traditional” ed “Epica”. L'unico altro lavoro mio in cui ha suonato qualcun altro è stato il recente, “Terre In Vista”, che proprio per questo è uscito a nome mio e del mio amico Raffaello Simeoni.

Spero di sì; fino dall'inizio della mia esperienza con i suoni tradizionali irlandesi ho avuto sempre molto chiaro l'obbiettivo di allargare gli orizzonti e di non fermarmi alla musica suonata nelle sessions: ho avuto la fortuna di godere di una ampia formazione fatta di rock progressivo e non. di blues, di country e successivamente anche di jazz (pochino) e musica tradizionale (parecchia). Ho sempre ascoltato tutta la musica che ritengo essere buona, e quindi ho risentito, spero positivamente, di ogni ascolto fatto.
Come si inserisce questo nuovo disco nel tuo percorso musicale, nel giro di pochi anni hai messo insieme vari progetti interessantissimi dal già citato “Terre In Vista” con Raffaello Simeoni a quello su Jacopo Bordoni fino all'ultimo con i Whisky Trail, in uscita in questi giorni..
Effettivamente la mia schizofrenia positiva ha lavorato molto in questi anni, ma è proprio che sono fatto così, mi piace così tanto quello che faccio che non riesco a fermarmi; se trovo un progetto che ritengo valido lo prendo, lo gestisco e vado fino in fondo, non tanto per accumulare un punteggio, quanto per poter dire di aver provato ad esplorare una spetto diverso della musica e del mio modo di scrivere. Sono un curiosone...
A volte si parte da un ritmo di batteria, specie per quanto riguarda la musica da ballo; sono però soprattutto le suggestioni visive quelle che mi guidano, ho un approccio molto espressionista al riguardo. Per esempio il brano “Le Calvaire” è nato dalla visione di una foto di un calvario bretone (scultura antica in pietra molto diffusa in Bretagna riguardante la passione di Gesù) e da lì ho preso un ritmo di Andro cercando di evidenziare il lato emotivo della storia.
Quanto ha pesato nella tua formazione la ricerca musicale sulle fonti tradizionali anglo-sassoni ed irlandesi?
Inevitabile che abbia pesato, visto lo strumento che suono; aggiungo anche che nonostante la mia propensione a variare molto il contesto in cui lavoro ogni tanto c'è proprio il bisogno di riconciliarsi con una bella session nel pub, quasi a riscoprire e ribadire radici che non sono mie del tutto. essendo io aretino, ma che spero di aver fatte mie almeno in parte.

Domanda molto interessante: ho sempre tenuto presente di non essere particolarmente "irlandese" o rosso di capelli (grigio, casomai, a momenti...), e so perfettamente di essere italiano al 100%, ma musicalmente me ne accorsi subito, non appena mi trovai a suonare con altri musicisti irlandesi. Rispetto a loro forse pagavo pegno nella esecuzione di reels and jigs, ma quando si trattava di suonare un lament o una slow air nessuno di loro aveva il mio lirismo. Questa è una cosa che ce l'hai nel sangue, e noi italiani ce l'abbiamo; mi fa anzi molto piacere che tu l'abbia notato, significa che l'obiettivo è stato raggiunto! Per quanto riguarda il rock, non penso tanto ai Clannad, che trovo davvero splendidi ma piuttosto lirici che rock, quanto all'ultimo Michael Mc Goldrick, musicista eccelso col quale ho condiviso il palco e molti gusti: abbiamo avuto molte conversazioni in cui la nostra volontà di andare "oltre" convergeva al 100%.
Il disco svela anche un lato sorprendente ovvero alcuni dei brani e penso a “A Serius Polka” o “Swingin' Reel” evocano i passi della danza, quanto è importante per te l'aspetto coreutica della tua musica?
Suono spesso in festival celtici dove la danza è importantissima, e sono abituato a vedere gente che balla ai miei concerti. Mi piace che la gente si diverta quando suono, in qualsiasi modo lo faccia: che balli, che ascolti musica o le fregnacce che dico durante la presentazione dei pezzi....sai com'è, essere aretino in questo senso aiuta non poco!
Ovviamente avendo due mani ho un gruppo di amici che mi aiuta, sono tutti di Ferrara (il mio primo editore musicale, Stefano Trentini, è di là e mi consigliò quel gruppo) e sono con me da molti anni: Davide Candini alle tastiere, Fausto Gherardi alla batteria, Gianluca Rizzoni al basso e Roberto Romagnoli alla chitarra e al buzuki.
Ci puoi parlare della tua esperienza con i Wiskey Trail, storica band irish folk italiana?
Nei primi anni in cui cercavo di imparare a suonare le uilleann pipes mi capitò tra le mani un disco intitolato “Pooka”, e subito notai la particolarità di quei suoni che cercavano meglio l'intensità piuttosto che il volume fine a se stesso: quando scoprii che erano di Firenze pensai che sarebbe stato possibile, un giorno, suonarci insieme. Così' ci siamo incontrati, annusati per anni, fino a che la mia uscita dai Modena City Ramblers dette il via, nel 2002, a questa unione che continua ad essere sempre viva e vivace.
Si tratta di un cd dal titolo “Celtic Fragments”, e sono appunto dei "frammenti", dei piccoli quadretti anche questi decisamente di stampo espressionista, riguardanti l'Irlanda, la sua storia e le sue arti, musicali e poetiche. Dal punto di vista musicale da segnalare l'esordio discografico del mio amico Luca Busatti, che ha sostituito nel 2011 lo storico Pietro Sabatini, portando un aspetto forse più tradizionale al suono del gruppo: molti brani adesso suonano più da pub che da concerto, e suonando musica irlandese trovo che sia un aspetto importante.
Quanto ha inciso l'esperienza in questo gruppo nella tua carriera?
Grazie a loro ho apprezzato l'importanza del dettaglio nella musica, l'attenzione più completa ad ogni singolo suono che posto in un modo o in un altro può fare la differenza. Così se prima ero già complicato grazie a loro sono diventato davvero insopportabile!
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono vivo, suono e ho una gran bella famiglia. Basta così...
Massimo Giuntini – Promises (AI Music)

Salvatore Esposito