“Il mio primo amore per la composizione è stato Béla Bartók. Se nati e cresciuti in Albania è impossibile non essere legati alla tradizione musicale, a una così ricca tradizione. Abbiamo sempre visto l'infinito nella tradizione”, così il musicista e compositore albanese, ma salentino di adozione, Admir Shkurtaj scrive nelle note di copertina di Mesimér, il suo album di debutto come solista, proprio ad evidenziare quel rapporto fortissimo che lo lega alla tradizione musicale della sua terra. Dopo aver iniziato la sua formazione musicale a Tirana, Shkurtaj nel 1991 si trasferisce a Lecce e da allora e ha intrapreso un personale percorso di ricerca che lo ha condotto attraverso lo studio del jazz e della musica contemporanea, passando per gli incroci tra la tradizione musicale salentina e quella balcanica. Proprio lui, infatti, è uno dei protagonisti di quel filone balkan salentino che ha visto in Opa Cupa, Talea e Ghetonìa, le sue massime espressioni. Proprio con il gruppo di Roberto Licci e Salvatore Cotardo, il musicista albanese, imbracciando la fisarmonica, diventa determinante per la caratterizzazione del loro sound, che li vede rileggere la tradizione della Grecìa Salentina attraverso la luce riflessa dei suoni provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. Il suo stile è così permeato dal suono della Terra delle Aquile, come scrive lui stesso: “E’ un fatto quasi inconscio, come scrive lo stesso Shkurtaj: “Per quanto cerco di staccarmene e di incoraggiare altre forme di “amore per il suono”, lei appare sempre. Si mimetizza persino nello stridolio della porta arrugginita, nelle gocce d'acqua sulle superfici metalliche, nella somma del vociferare nelle strade. Si possono però intraprendere percorsi dai punti sparsi della propria esistenza. La materia te lo permette. Bisogna solo aprire le orecchie! Le proprie e di chi ascolta”. Non ci sorprende, così, che per il suo disco di debutto Admir Shkurtaj abbia scelto di condurci nel cuore della sua ispirazione, e per farlo ha utilizzato un semplice pianoforte, selezionando tredici brani ed incidendoli nella Masseria Santa Lucia, nel borgo fantasma di Magurano, nelle campagne di Alessano (Le). Una scelta quest’ultima non casuale tanto per la bellezza e la suggestione del luogo, quanto per l’acustica, che esalta l’evocatività di ogni singola nota suonata. Brani autografi, canti tradizionali e pizziche vengono così destrutturate e ricostruite attraverso i canoni del jazz d’avanguardia e il peculiare stile pianistico del musicista albanese. Durante l’ascolto brillano l’inziale “Hyrie” firmata dallo stesso Shkurtaj, che ci introduce a due immaginifiche variazioni di “Agapimu Fidela Protini”, e alla splendida rilettura di “Aspro To Chartí”, tutte firmate da Salvatore Cotardo e provenienti dal repertorio dei Ghetonìa. Si prosegue con la “Tarantella del Gargano”, e il tradizionale greco “Selfo”, la cui esecuzione è ispirata da una copia de Il Manifesto del 21 gennaio 2012. Si torna al Salento prima con “To To To”, poi con “Comu è Bellu Cu Bai Pe' Mare”, in cui brilla l’ottimo assolo tra le due strofe, caratterizzate da una tonalità diversa da quella della melodia, fino a toccare la bella resa di “Kali Nifta” la cui melodia si apre alle influenze della rumba balcanica. Il vertice del disco è rappresentato da “Pizzica di Santa Lucia”, la cui rilettura si basa sul concetto di “gesto” con le dita che si rincorrono in modo naturale sulla tastiera seguendo il fluire dell’ispirazione, e la Pizzica di San Vito, dedicata all’indimenticato Giandomenico Caramia, e che si caratterizza per la particolarità della struttura che segue una immaginaria sceneggiatura sonora con cinque parti che si alternano. Suggella il disco la bella riproposizione di Luna Otrantina di Daniele Durante, le cui atmosfere notturne richiamano lo splendido cielo stellato salentino. Admir Shkurtaj con Mesimér ha dato vita ad un disco fascinoso ed originale da cui traspare non solo tutto il suo percorso musicale, ma anche la sua ricerca tra il suoni della musica contemporanea e del jazz.
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