Intervista ad Ambrogio Sparagna
Da anni figura di riferimento della musica tradizionale in Italia, Ambrogio Sparagna ha costruito una realtà ormai consolidata con l’Orchestra Popolare Italiana, con cui ha prodotto già alcuni ottimi dischi come La Chiara Stella. In occasione della pubblicazione dello splendido Vola, Vola, Vola, in coppia con Francesco De Gregori, lo abbiamo incontrato nel corso del Premio Nazionale Città Di Loano per la Musica Tradizionale Italiana, per discutere con lui di questo spettacolo.
La tua strada si è incrociata più volte con quella di Francesco De Gregori, a partire da La Via Dei Romei per passare ai tuoi dischi, fino al La Notte della Taranta. Come nasce Vola, Vola, Vola, questo nuovo progetto che vi vede insieme?
Avevo questo desiderio di fare qualcosa con De Gregori, sulle sue canzoni, rilette ed interpretate alla maniera popolare. Non da adesso, è una cosa recente, già da molti anni ci pensavo. Soltanto che mi sembrava giunto il momento giusto per proporla. Quindi l’estate scorsa ci siamo visti, siamo andati a mangiare una cosetta, lì dove andiamo spesso nel Quartiere Prati a Roma, e gli ho detto: “Guarda ho un’idea, mi piacerebbe rielaborare alcune tue canzoni con l’Orchestra”. Lui non mi ha nemmeno fatto finire di parlare e mi ha detto: “Si, dimmi una data che lo facciamo”. Così in maniera molto tranquilla. Poi abbiamo trovato questa prima data, il primo ottobre dello scorso anno, e abbiamo montato questo spettacolo in modo molto semplice e diretto. Abbiamo scelto dei brani che ci sembravano adatti a questo tipo di lavoro, fra l’altro lui stesso mi ha proposto alcune canzoni che non esegue molto frequentemente, ma che sono di grande interesse, come “Ipercarmela”, “Terra e Acqua”, “La Ragazza e La Miniera”, e li abbiamo riscritte, ripensandole come se stessimo lavorando su dei canti popolari. Lui mi ha chiesto di intervenire come cantante popolare. Il risultato mi sembra molto interessante e piacevole, e ha già avuto grandi riscontri. Abbiamo fatto due grandi concerti all’Auditorium, dove abbiamo avuto quasi seimila paganti; abbiamo fatto lo strapieno alla Sala Santa Cecilia, tutto esaurito in Cavea il 30 giugno. Facciamo questa tournée di solo dieci date, ne avremmo potute anche fare di più, ma lui in contemporanea ha in piedi il suo progetto per fare un disco nuovo. Va bene comunque anche così, perché questi progetti hanno una dimensione culturale importante. Quello che mi fa piacere, ovviamente, è che questo tipo di lettura che prevede l’Orchestra e Il Coro, anche se quest’ultimo non riusciamo a portarlo in tutte le data, è una lettura molto dentro al mondo popolare.
Quanto c’è di tradizionale nelle canzoni di De Gregori?
Brani come “Terra e Acqua” sono filastrocche popolari a tutti gli effetti, anche se lui le legge e le scrive da cantautore. Però io le ho ripensate come se fossero canzoni popolari. “Ipercarmela” l’ho pensata come fosse un canto di un basso napoletano, perché in realtà questa è la storia di due emigranti in una città del Nord; ho immaginato che venissero dall’hinterland campano.. L’idea è che questo tipo di repertorio si può reinterpretare magari dandogli una luce nuova, e penso che sia anche una lettura originale, mantenendo però molto integra la dimensione originaria della canzone, perché non ho alterato il senso. Ho lavorato come faccio normalmente con i canti popolari, avendo cura per il valore della parola. Questo è l’elemento che unisce quello che può essere il lavoro del cantautore e quello di chi come me si occupa di canti popolari. In questo senso il sottotitolo è molto importante: Canti Popolari e Canzoni, perchè evidenzia l’aspetto poetico e popolare delle canzoni al contempo. Non si possono separare questi due elementi, in ambito popolare la poesia è fortemente connessa alla musica e viceversa. Non c’è una separazione: la ricchezza è proprio questa. Le canzoni di De Gregori ti obbligano ad avere un’attenzione particolarissima per la parola, oltre che per la musica. La parola è sostenuta dalla musica e la musica sostiene la parola, perché il racconto del testo è così particolare che non può essere di meno.
Al disco partecipano Maria Nazionale, il Coro Popolare e gli Amarcanto...
La presenza del Coro è determinante, perché ho pensato a De Gregori come fosse un autore popolare, ma non nel senso di popolarità, perché se pensi a “La Donna Cannone” quella è una canzone popolare a tutti gli effetti, ma popolare dal mio punto di vista, come se fosse una voce del popolo. Quando canta canzoni come “San Lorenzo” o “Stelutis Alpinis”, quando entra il coro e canta, è come se lo facesse tutto il popolo italiano. Il coro ha quindi un valore simbolico. La scelta di Maria è nata perché avevo l’esperienza di San Remo e desideravo fare una cosa con lei. Francesco ad un certo punto mi ha detto che gli piaceva fare una cosa con Maria Nazionale, e a quel punto ho alzato il telefono e chiamato Maria. Amarcanto è un gruppo di giovanissimi cantori che cantano polifonia, e sono una delle realtà più interessanti della area della Romagna. Con loro abbiamo fatto parecchie iniziative collegate con Ravenna Festival, mi piaceva avere un gruppo dentro al coro che fosse capace di dare queste suggestioni polifoniche a cappella. Il Coro Popolare è un coro di centoventi persone, gente che nella vita fa altri mestieri. Invece gli Amarcanto sono giovanissimi e quasi tutti studiano al conservatorio, e fanno parte di tutti quei gruppi giovanili che stanno dentro alla musica popolare italiana. Una delle caratteristiche che mi piacciono di questo tour è che in quelle date dove è stato possibile, abbiamo avuto ed avremo degli ospiti. Per esempio, ad Udine abbiamo avuto Gabriella Gabrielli. C’è sempre questa idea di coniugare questo spettacolo con giovani o altri interpreti di musica popolare che portano i loro canti all’interno dello spettacolo.
Quindi rispetto al disco, il progetto dal vivo si evolve.
Sì, è ovvio. Questo è un progetto aperto, potrebbe andare avanti tutto il tempo che uno vuole, perché chiaramente, una delle cose a cui abbiamo pensato è proprio questo spazio centrale che può essere aperto ad interpreti che possiamo incontrare lungo il percorso, soprattutto ai giovani.
Come hai scelto invece le tue canzoni?
Scotellaro l’ho scelto perché gli ho dedicato uno spettacolo e ho musicato molte sue poesie. Stavo così attento alla poesia popolare che per me era essenziale in uno spettacolo così attento alla musica popolare: è stato ed è ancora un punto di riferimento. Alcune canzoni mie le ho scelte perché mi sembrava un modo per puntellare anche una carriera che insomma non è ormai più di poche cose. Simbolicamente, ci sono queste due o tre canzoni che hanno questo carattere.
Quali sono le difficoltà di gestione e scrittura delle partiture per un’Orchestra di strumenti popolari?
Le difficoltà ci sono in generale e sono le difficoltà di chi si occupa di canti popolari. Ribadisco che c’è una differenza tra chi lavora sulla musica e chi lavora sui canti. Quando lavori con i canti, ed io lavoro sui canti perché in Auditorium devo occuparmi della tradizione dei canti, la parola e il testo dominano sul concetto dell’elaborazione. Non si può rielaborare a prescindere dal testo. Anche se volessi fare, per così dire, un’operazione metalinguistica comunque dovrebbe essere voluta, non può essere lasciata al caso. Tutto il lavoro che io faccio, e che facciamo anche attraverso le varie esperienze quando uno mette dentro organici diversi, sta dentro l’attenzione alla poesia popolare, e questo accadeva anche quando ho lavorato alla Notte della Taranta. C’è un filo che collega questi materiali, anche nella scelta degli strumenti, del repertorio, degli arrangiamenti.
Pensi che attraverso queste operazioni pensi che il valore della musica popolare sia maggiormente riconosciuto in Italia?
Noi abbiamo una realtà unica a Roma, nel senso di un’Orchestra stabile che da quando l’abbiamo fondata nel 2007 ha avuto – non ho i dati ufficiali – dai trenta ai trentacinquemila paganti. Sono dati oggettivi, non esistono altrove altre situazioni più continuative e specifiche come questa. Noi in Auditorium abbiamo portato a cantare di un po’ tutti: cantori popolari, i protagonisti, gli anziani, abbiamo chiamato le mondine per tre anni dopo di che il Presidente della Repubblica quest’anno se l’è chiamate al Quirinale. Per me, questo è stata un segno importantissimo, non è da sottovalutare. C’è una programmazione di grande attenzione. È vero che l’Auditorium Parco della Musica è un isola felice, l’Italia non è l’Auditorium, però il fatto che ci sia e che noi quattro volte all’anno facciamo dei programmi originali e che vengono migliaia di persone che pagano un biglietto per venire a sentire i concerti. Poi da lì nasce tutto un indotto, con i ragazzi che vengono a suonare con noi che sono tutti ragazzi che vivono della musica della loro terra. Sono nate tutta una serie di esperienze collaterali: orchestre regionali, provinciali. Credo che sia una testimonianza di un mondo fortemente vitale. Poi se ragioniamo su tutto quello che è il problema dei festival e dei dischi, questo poi diventa un calderone generale, con la grave crisi che colpisce tutta la musica. Credo che le cose siano molto cambiate, l’accoglienza che sto avendo anche in questi giorni con decine di migliaia di persone che non vengono a sentire solo De Gregori ma che vengono a sentire un progetto che ha come tema i canti popolari. Non siamo qui a fare rock, uno spettacolo con un titolo più chiaro di questo Vola, Vola, Vola, una canzone abruzzese, con un sottotitolo Canti Popolari e Canzoni non so cosa si possa fare di più.
Ritieni che con questo lavoro canzone d’autore e musica popolare si riabbraccino, sia un ritorno a casa?
Sono mondi collegati, soprattutto con un certo tipo di canzone d’autore. Certo oggi è difficile anche parlare di canzone d’autore perché, insomma, è una questione in cui è difficile entrare. Il canto popolare sia una fonte di ispirazione straordinaria. Io, più passano gli anni, più ho la sensazione di non sapere nulla, eppure ho avuto il privilegio di studiare tanta cultura popolare e tanti repertori dal Nord al Sud. Certo ci sono dei repertori di elezione, che sento più vicini, come lo strambotto o come un certo tipo di poesia popolare. Probabilmente, come fanno in America se devo dire una piccola nota di osservazione, penso che i cosiddetti autori di canzoni dovrebbero vedere questo mondo con maggiore attenzione perché ci sono delle gemme di tutte le regioni italiane, che potrebbero essere di grande ispirazione per tutti i grandi interpreti della canzone italiana, cosa che succede in tutti i posti del mondo.
Anche se ora sembra scongiurato, siamo il Paese in cui con due righe in un Decreto Legge si cancella l'Istituto centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, ossia l'ex Discoteca di Stato.
Quella che aveva fondato la Discoteca di Stato è una legge del 1939, ed era stata fondata per tutelare le voci storiche, e dentro l’alveo delle voci storiche fecero anche una sezione dedicata alla memoria delle voci della tradizione del popolo italiano. Ci sono state tutta una serie di sollevazioni popolari che hanno ridotto questa cosa. Certo spesso non ci rendiamo conto del valore assoluto del nostro patrimonio. Questo discorso vale, mutatis mutandis, per il materiale dell’Istituto Luce che presto sarà messo all’asta. Ho fatto un paio di anni fa un lavoro con Gianfranco Pannone su un film intitolato Ma Che Storia, raccontando i centocinquant’anni dell’unità d’Italia attraverso i documenti dell’Istituto Luce, che erano documenti istituzionali, quindi davano il punto di vista del potere. Quelle immagini erano talmente forti e potenti dal punto di vista della comunicazione, che io credo attraverso la vasta sapienza di Gianfranco ha dato una lettura che ha arricchito la celebrazione del centocinquantenario. Adesso abbiamo un progetto di fare un lavoro legato alla lettura della ritualità religiosa attraverso i documenti dell’Istituto Luce. Mi auguro che possa andare in porto. Sono materiali che potrebbero essere parte anche di una programmazione intelligente della televisione di stato. Abbiamo avuto problemi a far passare Ma Che Storia, c’è stato l’appoggio del Corriere della Sera. C’è un ignoranza in senso letterale di chi si occupa di queste questioni relative alla valorizzazione del patrimonio nazionale rispetto ai temi della cultura popolare. Mi viene in mente questo spettacolo su Belli che faremo a Roma in Ottobre con Massimo Popolizio in occasione dell’Ottobrata. Belli ha avuto ed ha nella letteratura italiana una posizione non all’altezza di quello che è il suo valore reale, e questo per il solo fatto che scrivesse in dialetto veniva considerato, ed in parte è ancora considerato, come un autore minore. Come se la letteratura dialettale fosse inferiore all’altre di basso profilo. Questo concetto di alto e basso, come lo insegnano all’università, non mi sembra renda giustizia . Si ripropongono le stesso questioni che sono continue nella storia della cultura italiana ovvero questa difficoltà di avere un rapporto con il popolo o si parla per conto del popolo, come i giacobini del 1799 che erano tutti aristocratici, e il popolo stesso se li è mangiati, letteralmente. Il rapporto di classe intellettuale e popolo è un problema che non si riesce a risolvere… e noi siamo una parte di questo problema, dello scollamento tra classe dirigente e popolo.
Salvatore Esposito e Ciro De Rosa
Ambrogio Sparagna, Orchestra Popolare Italiana, Coro Popolare, con la partecipazione di Francesco De Gregori – Vola, Vola, Vola, Canti Popolari e Canzoni (Auditorium Parco della Musica Records/EGEA)
Quando lo scorso anno avemmo modo di assistere alla prima del progetto Vola, Vola, Vola, presentata in occasione dell’ormai annuale Ottobrata Romana, nella bella cornice dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ci augurammo che potesse diventare presto un disco. Non era la prima volta che le strade di Ambrogio Sparagna e Francesco De Gregori si incrociavano, perché sebbene saltuaria la loro è una conoscenza e un’amicizia che ha radici lontane nel tempo. Tuttavia solo al 1996 risale il primo documento discografico ufficiale con la partecipazione di Sparagna in Fine di Un Killer su Prendere o Lasciare. Giusto un anno più tardi è Francesco De Gregori che veste i panni del cantastorie nello splendido progetto La Via Dei Romei del musicista di Formia, ed ancora successivamente lo ritroviamo ancora nel disco del 2004 di quest’ultimo nel bel duetto ne L’Onore. L’anno dopo si ritrovano nuovamente sul palco di Melpignano durante la Notte della Taranta dove Francesco De Gregori esegue il brano di apertura cantando alcune terzine tratte dalla Divina Commedia di Dante sul ritmo della pizzica. Insomma rivederli insieme sul palco dell’Auditorium fu una bella sorpresa ma ancor di più ci sorprese che alcuni brani del cantautore romano fossero stati completamente riarrangiati come fossero dei canti popolari, centrando un sorprendente confronto tra due mondi solo in apparenza differenti come la canzone d’autore e la musica popolare. Ogni singolo brano eseguito in quel concerto vibrava di tensione creativa e di suggestione ed in questo senso l’aver coinvolto anche il Coro Popolare, composto da circa centoventi elementi e diretto da Anna Rita Colajanni, ed alcuni ospiti come Maria Nazionale e gli Amarcanto contribuì senza dubbio a creare una magia davvero unica. Non ci sorprende, dunque, che per questa versione discografica di quel progetto, sia stata fatta una selezione di quattordici brani, tra i tanti suonati proprio quel 1 ottobre del 2011, che vedono mescolare brani tradizionali, composizioni di Sparagna e di De Gregori. Oltre al già citato Coro Popolare, ad accompagnare il cantautore romano e il musicista di Maranola troviamo l’Orchestra Popolare Italiana composta da alcuni eccellenti musicisti come Erasmo Treglia (flauto, ghironda, violino), Raffaello Simeoni (voce, flauto, mandoloncello, chitarra battente), Crisiano Califano (chitarra battente e chitarra), Diego Micheli (contrabbasso), Antonio Vasta (fisarmonica, zampogna a paru e piano), Antonello Di Matteo (zampogna, oboe e clarinetto), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburello), e Ottavio Saviano (batteria, cajon). Ad aprire il disco è il saltarello “Vorrei Ballare”, a cui segue il tradizionale “Quanno So’ Mortu”, carico di pathos, cantato da Raffaello Simeoni, che ci introducono ad una sorprendente versione de “La Ragazza e La Miniera” di Francesco De Gregori, in cui brilla l’arrangiamento che valorizza al massimo tutta la poesia di questo testo. Arriva poi uno dei vertici del disco, ovvero “Ipercarmela”, introdotta dalla vibrante voce di Maria Nazionale, che sfocia in un canto in crescendo con le percussioni e la fisarmonica a guidare la linea melodica e ad accompagnare le voci della cantante napoletana e del cantautore romano. Si prosegue con quella piccola perla che è “Babbo In Prigione”, seguita da una struggente “San Lorenzo”, non cantata per molti anni, e che De Gregori riprende in duetto con il Coro Popolare. Segue “Noi Non Ci Bagneremo”, poesia di Rocco Scotellaro musicata e cantata da Sparagna e Anna Rita Colajanni, che ci introduce all’altro vertice del disco, “Santa Lucia”, con De Gregori che ancora una volta duetta sorprendentemente con Maria Nazionale. Il canto d’amore “Chi Ti Ha Dipinto” e “Canzone Pe’ Jacuruzingaru” vedono protagonista ancora una volta Sparagna alla voce, ma sul finale torna in scena ancora De Gregori, prima con il canto friulano “Stelutis Alpinis”, poi con “Dormi Piccola Carina”, cantata in duetto con il musicista maranolese. Chiudono il disco la ballata folk “Vola vola”, ispirata dalla tradizione musicale abruzzese e tratta da Per Brevità Chiamato Artista di De Gregori, e quel gioiellino che è “Piovere e Non Povere”, un tradizionale musicato da Sparagna ma con protagoniste questa volta le voci di Amarcanto. Vola, Vola, Vola è dunque un progetto che può dirsi senza dubbio riuscito, non solo per aver tentato riuscendoci l’incrocio tra canzone d’autore e musica popolare, ma soprattutto perché pone ancora una volta in evidenza la grande passione di Francesco De Gregori per la canzone popolare. Dopo Il Fischio Del Vapore in coppia con Giovanna Marini e dedicato alla canzone politica, questo nuovo progetto con Ambrogio Sparagna contribuisce ad evidenziare il suo legame molto forte con le radici della nostra tradizione.
Salvatore Esposito