Mino De Santis, un Verga minore prestato al cantautorato

Mino De Santis, l’ho conosciuto qualche anno fa a casa di un amico comune, che di tanto in tanto durante l’inverno, organizzava delle serata tra gli appassionati di arte, ed in particolare di musica. Ricordo molto bene quella sera, come al solito a farla da padrone era sempre il tamburello ad accompagnare lunghissime pizze, che sono sempre uno spasso. Tra un bicchiere e un canto ho notato questo ragazzo, Mino, che se ne stava lì taciturno e riservato. Una volta usciti di scena i tamburelli, quando era ormai sera tarda, gli amici lo incitarono a cantare qualche brano suo. Dopo essersi fatto pregare per un po’, perché è molto timido, cominciò a suonare e a cantare accompagnato dalla sua chitarra. Ben presto si fece silenzio e tutti presero ad ascoltarlo mentre snocciolava i suoi testi. Questo è Mino De Santis, un poeta che arriva al cuore di chi lo ascolta, facendo non solo ridere, ma soprattutto riflettere. Quando canta “Il Cane” fotografa perfettamente una metafora sulla libertà con il cane bello ma randagio e quello che ha un padrone che lo tiene a guinzaglio. 
Ogni sua riflessione arriva diretta in poche parole e ben presto si comprende subito qual è la morale dietro ogni sua storia. Tutti i testi di Mino sono così, dei quadri veristi, e perciò mi piace definirlo come “il Verga di Tuglie”, perché con una canzone riesce a cogliere ogni spaccato della realtà quotidiana. Solo lui riesce a dipingere il Salento con semplicità ed ironia, trovando le rime giuste, gli incastri di parole e modi di dire di paese, che sono così affascinanti da ricordare direttamente il parlare della gente comune, di gente umile, lavoratrice, una lingua paesana ma allo stesso tempo colta. Che dire poi di Arbu Te Ulia, nessun poeta, scrittore o pittore ha parlato mai in modo così intenso di questa pianta. Ricordo che quando ascoltai per la prima volta questo brano, eravamo proprio nella sua Tuglie, una sera di un paio di anni fa. Mi vennero i brividi mentre ascoltavo quelle parole, e rimasi così impressionato che chiesi subito il testo a Mino, il quale me lo passò subito, così la rilessi. La sua era una descrizione perfetta di quest’albero, che assieme ad altri milioni compongono il meraviglioso ed immenso bosco di ulivi, presente nel Salento, il grande polmone della nostra terra. Chi, come me, da agricoltore conosce questa pianta non può che emozionarsi nell’ascoltare questa canzone. Frase dopo frase, scopriamo la sua storia, la storia di un albero che è lì da oltre cento anni e non si è mai mosso da quella terra rossa. A cambiare la sua storia centenaria è però un’uomo che per sete di ricchezza, vende la pianta ad un ricco del Nord, e così quell’ulivo finisce ad abbellire una villa, patendo il freddo e il gelo. L’ulivo, nonostante tutto, resta sempre in silenzio, senza lamentarsi, ma anzi l’autore si chiede se avesse avuto una voce quell’albero avrebbe mai chiesto dei suoi antenati che lo avevano curato sin da quando era una pianticella. 
L’ulivo è una di quelle piante che nei primi anni necessitano molte cure e danno pochi frutti, ogni agricoltore è sempre nello scovare i rodilegno che insieme alla siccità estiva sono i principali fattori di morte di questa pianta. L’albero di ulivo era anche i luogo sotto il quale le donne che raccoglievano i frutti cantavano, raccontavano storie di un tempo passato, si scambiavano indovinelli e favole per far sembrare più breve e meno intensa la loro giornata lavorativa. Erano giornate di duro lavoro, che servivano ad arricchire solo i ricchi latifondisti, che probabilmente non apprezzava nemmeno quelle piante come facevano invece i suoi agricoltori. Questa è una pianta speciale di cui si mangiano i frutti, e dalla loro trasformazione si ricava l’olio, proprio quello che è alla base della dieta mediterranea, che si utilizzava per fare medicamenti e per l’illuminazione. "Tortu e stratortu e chinu te nuti" l’albero di ulivo è rimasto per secoli sotto le intemperie con la pioggia e i fulmini che lo hanno colpito e il vento che ha accarezzato le sue folte fronte, su di esso hanno fatto nido gli uccelli, hanno trovato riparo insetti e lumache, così "fujazza dopu fujazza", noi andremo via e lui resterà lì come un guardiano perenne, spettatore di altre storie, di altri scempi dell’uomo, e forse lui avrà la fortuna di vedere ancora due innamorati abbracciarsi sotto la sua ombra. Ad impreziosire questo brano c’è poi la parte musicale, una cornice perfetta per questo testo denso di poesia, costruito con grande cura dal maestro Coluccia che ne ha curato l’arrangiamento e nel quale brilla anche la voce di Dario Muci, che duetta con il cantautore di Tuglie. Mino riesce a comporre centinaia di brani, e pensare che voleva tenerli tutti in un cassetto! Gli amici che hanno sempre creduto in lui, lo hanno incitato a fare un disco ed è nato così Scarcagnizzu, un piccolo capolavoro direi, nato grazie alla lungimiranza del Fondo Verri. Un album ogni brano sembra essere più affascinante dell’altro, dove, tra una risata e un pensiero profondo, riesce a catturare in modo totale l’ascoltatore. E’ però nei suoi concerti che si apprezza a pieno il suo cantautorato, ogni volta infatti tira fuori dal cilindro un brano nuovo come Lu Bonacciu, La Prostituta, e tante altre che meriterebbero di essere incisi prima o poi. Mino è, dunque, un poeta amico che canta in dialetto usando le parole del popolo e difficilmente non lascia traccia perché prima o poi qualcuno si rivede in un suo brano. Chi ascolta le sue canzoni si può riconoscere nel cavallo di Cavaddhu Malecarne, o nel padre di Lu Masculazzu, ma può anche emozionarsi per Salentu... Mino De Santis è un Verga minore che ha abbracciato la musica.. 


Raffaele Cristian Palano
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